Cosa ne sarà dell’Oasi di Bande Nere?

OasiNon brillerà per particolare originalità come incipit, ma nel quartiere Ebraico c’è inquietudine. E questo, pur senza grosse ambizioni di scoop, è un fatto. Il secondo fatto è che il convitto dell’Oasi San Francesco è chiuso dal 31 marzo. Il terzo fatto è che nessuno (o quasi, ci arriveremo) sa cosa diventerà questa struttura ricettiva. Incastonata in un contesto residenziale, tranquillo, quasi a parte rispetto al resto di Milano, era un luogo dove si accoglievano con pochi soldi parenti di malati, turisti di passaggio e umanità varia. Nel complesso c’era anche l’oratorio della vicina parrocchia. Nella stessa strada, inoltre, si trova una comunità Ebraica, già duramente provata dai fatti di violenza di qualche anno fa e giustamente protetta.

Ora, dicono i ben informati, è stata acquistata dalla Fondazione San Carlo Borromeo. Che ha tra i suoi scopi sociali l’accoglienza. Accoglienza che, va da sé, potrebbe riguardare persone di ogni nazionalità. E da qui sono partite le preoccupazioni dei residenti, alimentate da un silenzio che sta facendo crescere le paure di ora in ora.

“Capiamoci, aiutare tutti è una cosa meritevole” chiarisce subito il dottor Patrizio, residente. “Ma un po’ più di dialogo non farebbe male. Questo è un contesto molto particolare, residenziale all’estremo. Le stanze sono quasi 150. Si possono ipotizzare quindi qualche centinaio di ospiti. La zona non ha punti di ritrovo per così tanta gente. È un quartiere di una volta, con un piccolo supermercato, due bar e due parrucchieri. Insomma, prima di creare un centro di accoglienza qui bisognerebbe parlare con i residenti. Fino ad ora solo abbiamo ricevuto solo silenzio. Non credo sia il modo migliore per instaurare una buona e duratura collaborazione”.

“Il presidente Santo Minniti” gli fa eco un altro residente “afferma su Facebook di aver parlato con la proprietà e che nulla sarebbe stato deciso. Esclude, però, che l’Oasi diverrà un centro di accoglienza per i migranti. Questo, però, a prescindere dalla umana solidarietà che si deve sempre avere per chiunque, ancor più per persone in difficoltà, è un modo di procedere inadeguato e non conforme ad una giusta relazione tra istituzioni e cittadini. Il dovere di qualsiasi amministrazione locale, come istituzione, è di riferire pubblicamente tutto ciò di cui è a conoscenza nelle giuste sedi istituzionali, aprendosi al dialogo preventivo con la cittadinanza.

E magari coinvolgere la proprietà in questo. Altrimenti l’effetto che si va a generare è quello di creare un velo opaco sotto il quale si può nascondere di tutto. E le paure e i dubbi, umani, si rincorrono, ancor più in un periodo già di per sè incerto e vago come quello pandemico che tutti noi viviamo. Inoltre, mi permetta di dubitare che si possa acquistare una tale struttura, di per sè complessa e vasta anche per dimensioni, senza sapere cosa farsene e senza a monte averne definito in tutto o in parte la destinazione d’uso. In ogni caso sono tutti dubbi che una pubblica assemblea fugherebbe in modo chiaro, trasparente ed esaustivo”.

“Da Consigliere di un Municipio confinante” afferma il Consigliere Franco Vassallo “mi associo alle giuste e sensate richieste dei cittadini. Se la paura ha messo radici, la si può sradicare solo col dialogo. Le mezze affermazioni, l’ironia per gli avversari, il sottile dileggio non contribuiscono in alcun modo a migliorare il clima. O ad aprire porte che si sono chiuse di scatto di fronte a ipotesi nate dal silenzio della proprietà”.

Insomma, siamo di fronte ad un caso che si potrebbe risolvere nello spazio di un’ora in una pubblica assemblea. Anche a distanza, se necessario. Perché per sopire i timori spesso fa più una buona parola che dei post incendiari su Facebook.