7 Maggio 2021

Qual è la reale situazione di Milano?

Qual è la reale situazione di Milano? Perché come abbiamo scritto pure Albertini ha mollato la città. E poco dopo Letizia Moratti ha dichiarato di aver rifiutato la candidatura a sindaco offertale pochi mesi prima. Sono già due ex sindaci a rifiutare quella che sembra una patata bollente. E allora il dubbio sale: qual è la reale situazione di Milano? C’è forse qualche buco di bilancio non comunicato? C’è qualche carta fuori posto o un grosso pericolo all’orizzonte? Perché stanno gettando la spugna personaggi con le spalle larghe, gente già stata eletta a Palazzo Marino. Viene dunque il dubbio che siano persone informate nel dettaglio di come sono messe le cose nel Comune di Milano. La carica è importante e non forse non rende ricchi, ma si è al timone di una delle città più note del mondo. Un fulcro culturale ed economico di rilevanza globale e il non secondario piacere di aver servito la comunità. O almeno di averci provato. Invece nulla, si trova solo un milanese fuori dai circoli politici. Forse è perché lui non sa cosa lo aspetti veramente e gli altri sì? Che il bilancio sia ottimistico lo avevano sottolineato i revisori dei conti, ma da qui a immaginare che nessuno si voglia candidare nel centro destra ce ne passava. Perché il bilancio comunale è stato gonfiato per intercettare quanti più fondi europei possibili, dunque non può essere quello il motivo. A meno che non ci sia qualcos’altro di non chiarito che però i politici di livello conoscono e dunque evitano. Ci sono troppi problemi in generale o c’è qualcosa che spaventa più di altro? Sala è un avversario forte, ma ha commesso tanti errori e in questi cinque anni l’unico risultato grosso, le Olimpiadi 2026, è stato conseguito in team con altri. Su tanti temi si potrebbe proporre alla città un’altra visione. Altri approcci all’Amministrazione pubblica per la città. Invece niente: è un fuggi fuggi.

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2500 pezzi da cento

30 aprile 1993. Facci ha scritto un libro sulla giornata dell’assedio e del linciaggio delle monetine contro Craxi all’Hotel Raphael, in Largo Febo a Roma. L’autore ne parla come L’ultimo giorno di una Repubblica, parere già espresso negli ultimi venti anni. Definisce poi il 30 aprile anche il giorno de la fine della politica, introducendo, con visione profetica retrodatata, tutti i suoi successivi sostituti, dai fax ai post ai meet up, ai video fatti in casa per youtube, agli odi di masse isolate davanti ai non partecipati talk, agli insulti ed aggressioni sempre bullistici, sia fisici che virtuali, fondati sul non razionale vaffa. La presa d’atto pubblica della violenza da pogrom insita in quel 30 aprile, rea confessa nelle parole di chi ha ancora il rimpianto di non aver ucciso quel giorno il Cinghialone, secondo l’espressione usata all’epoca dai Feltri, è oggi possibile, dato un nuovo clima nazionale. Lo dimostra il consenso per i libri pubblicati da Zurlo e Sallusti sulla magistratura, che ne inchiodano tic, difetti e spaventose contraddizioni ed illegalità su cui media e rete martellano da mesi. Lo dimostra la resa al gigantesco potere dei trend economici e delle trasformazioni da questi indotte; la scarsa considerazione per le aggregazioni politiche e la speranza in gerarchie forti. Lo dimostrano l’arresto di Battisti e la richiesta d’estradizione dei brigatisti francesi. L’asse mediano si è spostato visibilmente a destra e non solo perché i partiti di destra tout court hanno già il sostegno, da soli, di metà del paese. Soprattutto perché anche la sinistra ha sposato ideali di destra, e più aristocratica, dei primi. Non potrebbe che essere di destra per rimanere fazione di regime in un mondo di destra. Si sa che per alcuni la rivoluzione russa nasce nel 1905, per altri nel 1917. La fine della politica può essere il 30 aprile oppure il 28 marzo dell’anno dopo della vittoria elettorale, esemplificato nel Fede su Rete4 di Berlusconi ha vinto contro tutto e contro tutti. Al contrario del ’92 quando il metodo proporzionale premiò, anche sotto la grandine giudiziaria, i vecchi partiti, nel ’94 si usò un maggioritario corretto dall’attuale inquilino del Quirinale, con vittoria misurata per coalizioni coatte; un passo verso il modello della Rinascita di Gelli, cui si inchinò anche Mattarella. L’avere evocato l’attuazione di una Rinascita aveva in altri tempi dannato Craxi (e successivamente dannerà D’Alema). La fine della politica fu la damnatio fisica di Bettino oppure la vittoria di Berlusconi oppure la fine del proporzionale? O fu il 29 aprile 1993, giorno del voto sulle autorizzazioni a procedere per giudizio e perquisizione per corruzione e ricettazione contro il leader socialista, accettate dalla Giunta senza un fiato (il cui presidente Vairo al momento buono si diede malato). Coincidenza vuole che fosse lo stesso giorno della condanna a Previti per il Lodo Mondadori (dove si difendeva Repubblica dalle grinfie di Arcore. Nei media le donne nelle vesti delle contesse Vacca ed Ariosto venivano esibite nella loro dignità di divertissement dei potenti). L’Aula si accasciò sotto tre pagine fitte nella trascrizione ufficiale di reato e di concorso, reiterate negli stessi estremi, ripetuti senza requie, per un lunghissimo elenco penale di responsabilità concentrate negli appalti dell’universo mondo; ma alla fine l’Aula negò 4 autorizzazioni su 6. Occhetto, Rutelli, Ayala fecero subito indignati una conferenza stampa, rimandando al comizio di Piazza Navona del giorno dopo, dove ebbero l’intuizione di paragonare il voto parlamentare agli omicidi mafiosi. L’indignazione fra i partecipanti era a mille, con grande soddisfazione di D’Alema in giro per la piazza, proprio come quando osserva il suo ministro Speranza. Armati di tante parole, in migliaia si lanciarono nel budello di Largo Febo ad attendere Craxi sotto casa sua per colpirlo con ogni oggetto possibile ma soprattutto con circa 2500 pezzi da 100 e 500 lire, vere munizioni che fecero sangue. Un anno di propaganda, arresti, intimidazioni, falsificazioni era giunto al suo culmine; ma era un concentrato recente che bolliva da più di un decennio. Berlinguer aveva dannato Craxi ed i giudici, come l’Inquisizione, cercavano confessioni a riguardo. Fu Berlinguer come Sansone a non ammettere l’esistenza della politica senza il Pci? O furono i tre porcellini seguaci, Occhetto, Rutelli, Ayala? Oppure si è rivelato vero il postulato Frigerio secondo i magistrati i governi degli anni ’60 e la cultura consociativa avevano diffuso pratiche illecite? Quest’ultima condanna del centrosinistra appare una foto dell’oggi. Il tempo lascia tutto dietro di sé. Ha fatto dimenticare Natali, Dini, Larini, Querci, Radaelli, Zaffra, Milani, Manzi, Troielli, Chiesa. L’on. Pinza che ottenne il voto favorevole a Craxi, Vereni che lo voleva morto. Feltri, Bontempo, Rondolino che lo odiarono e cambiarono opinione. La Meloni, lanciatrice, un po’ meno. Passa il Mixer di Minoli, non le giornaliste di Rai3. Spariti Occhetto, Ayala, Fede; non Rutelli che l’ha odiato, ma cui la parodia guzzantiana ha onesso perdono. A torto. Ligresti non c’è più. La splendida, graffiante ed epigrammatica penna di Facci si esercita abitualmente sul vasto ventaglio delle nuove parole d’ordine; e lui le distrugge tutte senza pietà sia che si tratti di clima, di gattini che del debito. E’ probabilmente il retaggio dell’esordio giornalistico quando seguiva le cronache giudiziarie di Mani Pulite da appestato, come cronista dell’Avanti, il giornale dei ladri; lui che era più radicale che socialista. All’epoca Zurlo, cronista per l’Europeo degli antefatti della Milano da bere, era fra quelli che lo schifavano. Quando tratta di Craxi, Facci diventa meno tagliente e più autobiografico. Racconta in larga parte quel che vide ed ascoltò, perché è quasi sempre, un autore che è anche attore presente, un confessore di particolari realistici, un ingenuo gaffeur che descrive presenze terze, contraddizioni e confusioni che venivano e vengono in mente. Facci rifiuterebbe d’essere etichettato come giornalista di destra, anche se i giornali che lo ospitano lo sono. Si limita a scrivere pezzi antiregime. Zurlo e Sallusti sono diversamente morbidi. Elencano fatti, date, cifre come vengono loro raccontate o come si deducono dalle relazioni ufficiali emendate e già sbanchettate. Non affondano con teorie, ricostruzioni, analogie che accusino gli istituti

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Covid: 2.151 casi e 35 i decessi

Con 54.722 tamponi effettuati, sono 2.151 i nuovi positivi in Lombardia con il tasso di positività in crescita al 3,9% (ieri 3%). Sono in calo sia i ricoverati in terapia intensiva (-6, 513) che negli altri reparti (-116, 3.072). I decessi sono 35 per un totale complessivo di 33.081 morti in regione dall’inizio della pandemia. I dati di ieri:  i tamponi effettuati: 54.722 (di cui 36.254 molecolari e 18.468 antigenici) totale complessivo: 9.724.314  i nuovi casi positivi: 2.151 (di cui 103 ‘debolmente positivi’)  i guariti/dimessi totale complessivo: 732.612 (+1.352), di cui 3.567 dimessi e 729.045 guariti  in terapia intensiva: 513 (-6)  i ricoverati non in terapia intensiva: 3.072 (-116)  i decessi, totale complessivo: 33.081 (+35) I nuovi casi per provincia: Milano: 622 di cui 232 a Milano città; Bergamo: 242; Brescia: 206; Como: 186; Cremona: 105; Lecco: 57; Lodi: 25; Mantova: 100; Monza e Brianza: 174; Pavia: 84; Sondrio: 47; Varese: 250.

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Moratti: ho rifiutato la candidatura a sindaco

“Mi era stato chiesto, ma precedentemente al mio impegno in Regione, che ritengo prioritario perché vedo che la sanità è un punto cardine per poter avere altre garanzie come quella del diritto allo studio, alla salute e al lavoro. La mia scelta è stata quella di impegnarmi nell’ambito della sanità: così la vicepresidente della Lombardia, Letizia Moratti, a “Oggi è un altro giorno” su Rai1, ha risposto alla domanda se fosse stata interpellata come possibile candidato sindaco del centrodestra a Milano. Non ha rivelato chi le abbia fatto l’offerta, se Salvini o Berlusconi: “Quando si dice un no, non è carino dire a chi lo si è detto”. ANSA

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Albertini rinuncia. Ira di Salvini verso gli alleati

Grazie, ma no grazie: è questo il succo della lettera aperta pubblicata oggi su Libero indirizzata al direttore Pietro Senaldi, a Vittorio Feltri, a Pino Farinotti, e ai milanesi con cui Gabriele Albertini si è sfilato dalla corsa a sindaco di Milano per il centrodestra per motivi familiari. C’è stata, ha spiegato, la tentazione di accettare ma “mi sono fermato davanti alla mia famiglia ‘bicellulare’, (siamo solo in due a vivere insieme) ed a mia moglie non potevo infliggere un disagio, per Lei così insopportabile, per un terzo quinquiennio! Ecco allora, che, dopo averVi ringraziato, Vi chiedo scusa, miei Cari Concittadini!”. L’ex sindaco però non ha rinunciato a un colpo di scena: “se fossi stato candidato e se fossi stato eletto – ha rivelato -, ecco il mio primo atto, da sindaco di Milano: chiedere a Beppe Sala, d’entrare nella Giunta Municipale, come vicesindaco, d’unirsi a me nel Governo della Città, magari, accompagnato da alcuni assessori, suggeriti da Lui e/o dalle forze politiche responsabili che lo sostengono” perché siamo in “tempi particolari” e “gravi”. Secondo Albertini la città “sempre, anticipatrice di ogni ‘nuovo corso’, per l’Italia deve vivere la sua, immancabile rinascita, con una ritrovata, inusitata, potente, implacabile concordia delle Sue forze politiche e sociali, delle Sue imprese e dei Suoi lavoratori e di tutti i Suoi cittadini”. Rivelazione per cui il sindaco Sala ha ringraziato. “E’ un gentiluomo e non lo scopriamo certamente oggi. Ora però – ha aggiunto – mi attende una sfida impegnativa: convincerlo a votare per il suo futuro, mancato vice 🙂 “. “Sono mesi che cerco di costruire e unire il centrodestra in vista delle amministrative. A Roma e Milano avevamo i candidati giusti: Bertolaso e Albertini, ma altri hanno detto No per settimane e mesi e loro hanno perso la pazienza”: così il segretario della Lega Matteo Salvini ha commentato il passo indietro dell’ex sindaco di Milano. “Ora spero che chi non era d’accordo – ha aggiunto – abbia proposte alternative, perché sia nella Capitale che nel capoluogo lombardo possiamo e dobbiamo vincere. Entro poche settimane dobbiamo decidere”.

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