Nel corso di una cerimonia svolta in Piazza della Repubblica (un tempo Piazza Fiume) le istituzioni milanesi hanno celebrato il “Giorno del Ricordo”, istituito esattamente venti anni fa per commemorare le vittime delle foibe e dell’esodo Giuliano Dalmata.
Un giorno in cui, ha detto il Sindaco Giuseppe Sala nel corso del suo intervento “l’Italia fa i conti con una tragedia a lungo negata”, un momento, ha aggiunto “in cui le istituzioni e ogni parte politica hanno il dovere morale e civile di commemorare il sacrificio di migliaia di italiani e degli esuli dalla Venezia Giulia, dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, con la stessa unità mostrata nell’approvazione del Giorno del Ricordo o nella costruzione di questo monumento”, per poi definire quanto avvenuto allora “una macchia indelebile della nostra storia. Per questo è fondamentale ricordare e tramandare, al fine di scongiurare sia l’odio che il negazionismo, mali che abbiamo il dovere di estirpare. Una necessità ancora più avvertita in questa epoca di emergenze e di guerre”.
Presente alla cerimonia, insieme a vari esponenti di FdI, anche il Ministro del Turismo, Daniela Santanchè che, dopo avere deposto una corona di fiori ai piedi del monumento ha spiegato:“Siamo presenti sempre per lo stesso motivo: la storia deve essere raccontata tutta. E come abbiamo sentito dalle parole di oggi, questa storia è stata per tanti anni dimenticata e negata. Adesso questa parte di storia si racconta e vogliamo che si continui a raccontare, perché è giusto che le nuove generazioni conoscano tutta la storia della nostra nazione”.
Pietro Tarticchio, testimone dell’esodo giuliano-dalmata, che ebbe 7 componenti dellaa famiglia infoibati e grazie al cui instancabile lavoro il monumento fu inaugurato nel 2020, alla presenza dei sindaci di Milano, Trieste e Gorizia, di varie associazioni e delle Comunità istriane e di Fiume, non è potuto essere presente per problemi di salute e in sua vece ha preso la parola la figlia Barbara, per narrare : “Mio padre racconta di come hanno prelevato il nonno, la notte, quando sono entrati in casa i partigiani di Tito con la bustina rossa. Ricorda il terrore, gli scarponi chiodati. Ricorda che gli annodarono i polsi con il filo di ferro, che lo spinsero fuori con il calcio del fucile. Ricorda dov’era imprigionato, lo vedeva da una finestra, c’era una grata. Era rasato, emaciato, sembrava torturato”.
“Mio padre è stato ‘fortunato’ – ha aggiunto – perché non ha vissuto la realtà dei campi profughi. Però ha vissuto l’accoglienza con la diffidenza. Agli italiani non tornava che alcuni scappassero dal paradiso comunista di Tito: dovevano restare lì, era una vita meravigliosa. Se venivano via voleva dire che erano fascisti o, in ogni caso, chissà cosa avevano fatto per farli venire via. L’accoglienza non fu delle migliori in un primo momento”.
“Era un’Italia così – ha commentato Barbara Tarticchio -. Gli esuli arrivavano in un’Italia da ricostruire. ‘Rubano lavoro’, si diceva. In realtà non rubavano niente a nessuno, però c’era fame di lavoro e quest’ondata ne aveva bisogno. Non erano i tempi giusti. Forse politicamente si è tenuto a insabbiare, a nascondere questa storia, dopodiché è venuta fuori…e, – ha concluso – grazie al cielo, c’è un Giorno del Ricordo”.