L’Irlanda del Nord: la storia si ripete?

porteNegli ultimi giorni, in tutti i giornali internazionali, l’Irlanda del Nord torna ad essere al centro del dibattito pubblico. Tornano le violenze, notti di caos e disordini. Ma tutti noi sappiamo che non è la prima volta e si teme che possa tornare il periodo buio e catastrofico delle Troubles, la guerra civile che tra il 1970 e il 1998 che creò tantissime vittime e portò sofferenze alla popolazione nord irlandese.

Cosa sta succedendo e soprattutto come siamo arrivati fin qui?

Nel 1920 il parlamento britannico approvò il Government of Ireland Act, chiamata anche legge dell’autogoverno, ha permesso parte dell’Irlanda (EIRE) di potersi autogovernare: divisi in 26 contee indipendenti e 6 contee dell’Irlanda del Nord.

Cosa prevedeva questa legge? Si trattava di due distinte istituzioni: uno riguardava l’Irlanda del Nord e l’altra riguardava il resto dell’isola. Fino al 1972, anno in cui iniziarono le Troubles, le sei contee nord irlandesi godevano di autonomia all’interno del Regno Unito, ma dagli anni ’70 la situazione cambiò drasticamente e il governo britannico prese in mano il destino dei nord irlandesi gestendoli direttamente.

Da qui il caos. Anni di guerra civile che provocò morti e traumi fino al 1998.

Il 10 aprile del 1998 con il Good Friday Agreement, chiamato anche Belfast Agreement, accadde quello che sembrava la svolta dopo anni e anni di guerra civile, si trattava di un accordo tra i maggiori partiti dell’Irlanda del Nord (escluso il DUP) e un accordo internazionale tra UK e Dublino. L’Accordo del Venerdì Santo sanciva (apparentemente) la fine di una guerra culturale tra unionisti e nazionalisti e la svolta per una popolazione fortemente traumatizzata.

C’è un problema di fondo. Nel cuore dell’Europa troviamo una cultura smaccatamente diversa che convive all’interno dello stesso territorio e un popolo fortemente squarciato. Cattolici e protestanti conducono una vita separata, letteralmente: hobby, cultura, sport, festività, visioni completamente diverse. Belfast gode di 48 muri che circondano la città e che divide destini in aree per i protestanti e altre aree per i cattolici. Muri, barriere, cancelli, strade interrotte, checkpoint e zone di coprifuoco sorvegliate. Da una parte i cattolici che vorrebbero unirsi all’EIRE, dall’altra i protestanti, fedeli all’Inghilterra. Una convivenza difficile, e un caso complesso sotto l’ottica geopolitica, in tutto ciò si è aggiunta la Brexit che ha complicato ancora di più la gestione di Belfast.

Stare con Dublino quindi in UE oppure seguire le sorti inglesi? Questo è il punto.

C’è un immobilismo politico sconvolgente, né il maggior partito cattolico come lo Sinn Fein, né gli unionisti, riescono a cicatrizzare le ferite profonde di questa mancata società nordirlandese, eppure governano insieme. Ogni decisione ha un carattere politico e ogni mossa può essere vista come una provocazione. La speranza delle nuove generazioni sembrano ancora non sorgere perché il 90% dei ragazzi e ragazze nord irlandesi frequentano scuole separate per credo religioso e soprattutto molti gruppi di giovani hanno preso parte alle proteste degli ultimi giorni.

Andiamo al punto. Cosa sta succedendo? Le ragioni di questo conflitto sono: da un lato la cattiva amministrazione tra i due partiti al governo, nazionalisti e unionisti insieme, divisi sul destino dell’Irlanda del Nord; dall’altro lato le conseguenze economiche e amministrative a seguito della Brexit. Il confine fisico tra EIRE e Irlanda del Nord farebbe scaldare gli animi ai nazionalisti, mentre l’annessione all’Eire creerebbe scontento agli unionisti. Che fare?

Boris Johnson ha adottato un protocollo che garantisce la permanenza dell’Irlanda del Nord nel mercato comune dell’unione europea, quindi una libera circolazione delle merci con il resto dell’isola. Agli occhi degli unionisti sarebbe una strategia per avvicinare l’Irlanda del Nord all’Eire, quindi allontanarsi un poco alla volta da Londra. Insomma, in bilico in questa situazione complessa, le vittime restano pur sempre i nord irlandesi, che si trovano per l’ennesima volta in preda alle decisioni altrui.