Dal 1814 ad oggi: come sono cambiati gli equilibri mondiali?

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Dal 1814 ad oggi: come sono cambiati gli equilibri mondiali? In questo articolo si desira ripercorrere alcune tappe della storia che fanno riflettere sul sistema geopolitico, economico e “di balance of power” attuale. Con il XIX secolo il sistema europeo raggiunge il suo apogeo nel contesto mondiale attraverso un processo di dilatazione-dispersione. Questa ricostruzione avvenne fra il 1814 e il 1815. In questo periodo fu impostata la versione più organica ed esemplare del sistema degli Stati europei. Tutto ciò che stiamo vivendo nel 2020 è lo specchio della storia che ci ha preceduto, il nostro sistema si sta avviando probabilmente verso una svolta ancora più radicale rispetto a quella del 1815 o del XX secolo, il mondo era chiaramente diverso, le necessità erano altre, ma il potere si basava, si basa e si baserà sempre sulla solita dottrina, il tutto dipende da come si sfrutta e con che fine. Se prima vi era un forte desiderio di ricostruire un sistema di poteri e di unione, ora come ora, il nostro sistema mondiale e democratico, cosa vuole costruire? Che fini e obiettivi vi sono? Rendere democratico ciò che non è consolidato, o far entrare ancora più in coma la democrazia in alcuni paesi? Le cinque grandi potenze riunitesi al congresso di Vienna fra l’autunno del 1814 e la primavera del 1815 sono le cinque grandi potenze: Francia, Inghilterra, Russia, Austria e Prussia. Hanno fatto bene a comprendere nelle grandi potenze la Francia? La domanda che si ponevano è un po’ simile a quella che ci poniamo noi quando ci chiediamo “ma i paesi ex sovietici, dopo l’apertura nel 2004, hanno un senso all’interno dell’Unione Europea?”. Non c’è dubbio, nel trattato del 9 marzo 1814 a Chaumont furono definiti gli impegni dell’ultima coalizione antifrancese e che quindi veniva prefigurato un sistema a quattro potenze, un po’ come quello che ci poniamo noi contro i sistemi anti-democratici.

La strategia è quella. La situazione che affrontarono le leaders power europee, contro l’aggressiva Francia napoleonica, possiamo considerarle le sole a “parlare in nome dell’Europa” al punto che erano già la base del futuro progetto europeo. Per circa 25 anni il sistema degli Stati europei fu travolto dalla Rivoluzione francese e dall’esperimento dell’Impero napoleonico: un processo breve ma scioccante. In quel periodo fu impostata la versione più organica ed esemplare del sistema degli Stati europei. La ricostruzione fu essenzialmente l’opera delle grandi potenze, che ne approfittarono per confermare la loro funzione e distinguere il loro status nella comunità internazionale. Dopo il trattato del 9 marzo 1814 a Chaumont avvenne il cd. “miracolo europeo” si intende il successo di diversi Stati per mettere a frutto una situazione geopolitica dell’Europa ad un certo momento della sua storia. D’altra parte dopo la stagione liberale del 1814 e 1815, la potenza più intransigente fu, senza alcun dubbio, la Russia con Alessandro I e con Nicola II.

Nella guerra di Crimea dal 1853 al 1856 si scontrarono i custodi dell’assolutismo monarchico, ponendo fine a una epoca classica di solidarietà conservatrice, inaugurando fra i due Stati tradizionalisti una fase di rivalità di interessi e di politiche nazionali nell’Europa orientale balcanica. Questa fase del sistema europeo termina con la guerra di Crimea che per la prima volta dal 1815 contrappose le grandi potenze del congresso di Vienna. In poche parole l’equilibrio crollò. Questa breve storia, avvenuta in un periodo estremamente affascinante, che talvolta viene trascurato e considerato solo come un approfondimento di una parte antecedente ai nostri tempi, è in realtà radice del nostro presente. È puro trasformismo mondiale, perché se ci fermiamo anche solo un secondo ad osservare i cambiamenti globali ci rendiamo conto di quanto siano cambiate le frontiere e con esse i confini. È ragionevole porsi una domanda: da cosa derivano questi confini? Dal potere del singolo uomo o dalla necessità di cambiare continuamente? È un potere dal basso o declinato dall’alto? Analizzando il mondo del XXI secolo, colpito da una pandemia che ha messo in ginocchio anche i poteri forti, riflettiamo su un punto: quanto siamo fragili?

Se il congresso di Vienna era solo un compromesso, una scusa per eliminare Napoleone e le sue barbarie, che compromesso siamo disposti a trovare per eliminare le barbarie di una malattia a livello mondiale? Gli americani, con le nuove elezioni, sembrano fuoriusciti dall’isolazionismo che li ha colpiti durante il corso dell’ultimo mandato repubblicano; è sempre affascinante notare come ogni isolazionismo abbia un carattere diverso, l’isolazionismo trumpiano infatti è diverso dall’isolamento britannico di Boris Johnson dall’Europa. L’isolazionismo è un enigma ricco di contraddizioni e paradossi. I suoi termini e limiti vanno compresi analizzando la politica isolazionista del XIX nel quale gli Stati Uniti si mantennero sostanzialmente estranei alla centralità del “sistema degli Stati europei”. È evidente come Trump si sia voluto mantenere distaccato dall’Europa, durante la sua prima e probabilmente ultima presidenza americana: non è un amante né dell’Europa né dei compromessi. Ripercorrendo la politica americana, si osserva che nel XIX secolo si siano evitati relazioni con governi europei, ripetendo ininterrottamente “l’America agli americani”, motto che ricorda “Make America great again!” di Trump.

Insomma un castello di sabbia, la dottrina Trumpiana non ha funzionato come non funzionò la dottrina Monroe del 1823 e la politica del Roolback di Eisenhower. Se l’obiettivo del mondo è quello di gestire e placare grandi potenze mondiali come la Russia o la Corea del Nord dovremo iniziare a svegliarci da questo stato di coma e cominciare ad esportare senza aver paura e senza nasconderci dietro poveri slogan patriottici. Come europei dovremmo recuperare quello che i socialisti tedeschi chiamavano «Lebensraum», un nuovo spazio vitale e mondiale che raccolga tutte le forze democratiche e che le inietti all’interno di sistemi malati. Se la missione del mondo è dettata dalla pace e dalla democrazia allora non possiamo permettere che i paesi malati minaccino di infettare i guariti. Con le elezioni negli Stati Uniti, la Casa Bianca si sta concentrando su temi cari come l’Europa e le democrazie, mentre nella Russia di Putin mascherata in una falsa democrazia, sono scoppiati scontri, nello spazio post-sovietico, dunque in quello che Mosca in fondo considera ancora una sua proprietà. Dall’Ucraina alla Bielorussia invasa da manifestazioni e un grido di speranza, fino al Caucaso, dove si è visto la ripresa del conflitto tra Armenia e Azerbaijian per il Karabakh.

Mentre i paesi orientali costruiscono il più importante accordo chiamato «RCEP», che vede unito 14 paesi e quindi il 1\3 della popolazione mondiale ed economica, l’Europa in silenzio si rifugia dietro le fragili certezze. Settimane fa, a Pechino, si è tenuto il Plenum del partito comunista cinese, momento in cui il comitato centrale del partito prende delle decisioni. Quest’anno hanno discusso di indipendenza tecnologica e autosufficienza e di voler rafforzare l’esercito nazionale pianificando un nuovo programma dal 2020-2027. La lunga pianificazione del sistema cinese, estremamente strategica, presenta uno scenario che mette, senza alcun dubbio, in difficoltà l’altra parte dell’emisfero che non fa più conti con una visione ampia del mondo, ma con una miopia che li metterà in bilico su un filo di lana.

Marianna D’Antona