Meeting con l’assassino

Meeting con l’assassino. Ora, Biden non sa come prepararsi per l’incontro con l’Assassino. Forse con una nutrita schiera di guardie del corpo, dietro lo scudo delle quali colloquiare o ancora forse con un giubbotto antiproiettile molto tecnologico. L’anziano esponente democratico teme anche bevande, cibi e cerbottane tanto più che i russi hanno minacciato un summit lunghissimo, di 6 ore, per prendere probabilmente Biden per fame. L’uomo più forte del pianeta, con al seguito trenta eserciti nell’armata che è stata definita la più potente della storia, ha i suoi timori. Gli alleati non hanno attenuato i timori, in particolare i tedeschi, i più deliziati della definizione presidenziale di Putin killer. Il comune dolo tedescoamericano per i diritti umani e per la persecuzione dell’oppositore russo Navalny ha evitato, per contrappasso, sanzioni sul Nord Stream 2, la Nord Stream AG che lo costruisce e sul suo ceo Warnig, già agente Stasi e collega di Putin, quand’era spia a Dresda per il Kgb. All’incontro tra i due presidenti del 16 giugno non ci saranno così fughe di gas. Il gasdotto, anzi, il suo raddoppio, che unisce Russia e Germania, nella tradizione di Rapallo, caccia il resto dell’Occidente dall’Europa centrale e costituisce oggettivo ostacolo all’avvicinamento ucraino. Paradossalmente lo fa in nome del principio cardine occidentale, quello ecologico. L’eliminazione del carbone tedesco entro il 2030 è possibile solo grazie ai Nord Stream. L’UE nel ’90 importava da Mosca il 55% dell’energia necessaria; nel 2010 il 27%, dopo le sanzioni del ’14 il 30% ed oggi il 41%. Il vincolo ecologico vale più di tutte le sanzioni e lotte diplomatiche. Putin in Svizzera si siederà con il punto principale già incamerato, e non per sua richiesta.
Est ed Ovest si incontrano prima e dopo le elezioni. In Russia a settembre si vota per la Duma. A luglio ’20 si è svolto il referendum sulle modifiche costituzionali che permette a Putin altri due mandati seieannali (nel 2024 e nel 2030). Sulla carta potere fino a 86 anni, per 36 anni, superando i 29 anni di Stalin, ma non i 43 di Pietro il Grande. Ogni volta che si vota in Russia, i sondaggi occidentali sembrano quelli di Rai3 o la 7 per il Pd. Prima rilevano il calo del partito di maggioranza, Edinnaya Rossia; poi mancata la previsione, passano ai brogli, imbrogli, regali e imposizioni. Si resta, arcigni e sospettosi, sul 76,69% per la terza elezione di Putin nel ’18; sul 48,77% nelle elezioni locali del ’20, dove Russia Unita ha perso solo a Tomsk, a Novosibirsk e Tambov, a favore di candidati vicini a Navanlyj, ma anche dall’opposto di Rodina (Madrepatria). La riforma, approvata dal parlamento e dalla Corte Costituzionale, poi votata a luglio ’20, è passata con il 77,9% sul 64% degli elettori. Sembra quasi suggerita da Conte, infatti elimina il vincolo dei due mandati. L’avvelenamento di Navalny da Novichok, in volo di ritorno in Russia, dopo le cure tedesche, il suo ennesimo incarceramento in Russia, le rivolte siberiane e dell’estremo oriente hanno fatto esplodere la pubblicistica occidentale, scioccata poi dalla messa fuorilegge del partito anticorruzione. Anche nel 2011 si erano diffuse proteste in tutta la Russia, veicolate dall’uso social di VKontakte su Internet. Il vaso di Mosca, preso dal lato delle rivolte di piazza, ha un fondo infinito, come ci ha ricordato Graziosi nell’unica vera storia dell’Urss in circolazione, nella quale ha elencato le tantissime sollevazioni avutesi durante il potere comunista che mai ne venne intaccato. Alla fine però le crepe sulla demotura russa si limitano al consenso sceso al 60%, in un paese dove il Covid ha lasciato 650.000 morti (tanti ma meno di Usa e Brasile) nell’ambito di un sistema sanitario deficitario malgrado la diffusione del proprio vaccino fin dall’agosto ’20 (che Putin ha fatto somministrare anche alla figlia); un paese dove il Pil previsto è più 4% a 4,5 punti di inflazione.
Inutile sperare sulla fine del consenso. Al summit il presidente russo va con un forte mandato elettorale, magari con la pecca di sostenere quello bielorusso rieletto con elezioni assai più discutibili. Sarà più che ottantenne se vincerà tutti i mandati possibili. Biden è già ora quasi ottantenne, al primo mandato dopo mezzo secolo da congressman. E’ l’America che è divisissima su idee, visioni, politiche, non la Russia. Così il problema elettorale si sposta da Mosca a Washington, dove si temono le ombre del Russiagate in ogni dove. Perché in 81 milioni hanno votato per Biden ma 74 per Trump (34% astenuti) ed i due elettorati non sono mescolabili soprattutto se la realpolitik conduce Biden a proseguire le politiche trumpiane. L’incubo dell’hacker russo è perfettamente legale. E’Kasperskj il cui antivirus ha conquistato il mercato Usa. E’ Snowden le cui rivelazioni e fuga nel 2013 vengono protette in Russia. E’ il Codice Durov descritto dal giornalista Kononov. I fratelli Durov, Pavel e Nikolai, l’uno vissuto a Torino, l’altro a Bonn, inventano nel 2006 da palazzo Singer sulla prospettiva Nevski, VKontakte, piattaforma universitaria che si fa grande social network, più semplice, più veloce, condensato di YouTube, Facebook e Spotify.Malgrado l’amicizia con Surkov, ideologo di Russia Unita, nel 2012 l’United capital, fondo vicino al Cremlino, compra la maggioranza di VK; Pavel vende il suo 12% e nel 2014 non è più Ad. Lascia un social da 500 milioni di iscritti con il logo del cane che pernacchia il potere. L’anno prima però Pavel, stesso anno di nascita di lancia Telegram, l’app di messaggistica istantanea all’insegna della privacy più stretta. Ragion per cui la nuova società si sposta con il proprietario, Isole americane Saint Kitts e Nevis, Finlandia, Indonesia, ora Dubai. Gli avvocati rispondono da Berlino. Se VK era russo, ancora oggi frequentato da occidentali putiniani, Telegram è globale, vicino a 500 milioni di utenti; minacciato parimenti in Cina, in Iran, in Europa ed a Mosca. In Russia non c’era un Icann ed il Roskomnadzor, l’organo sulle comunicazioni, si è evoluto inseguendo Vk e Telegram. Alla sbarra alla Duma, Pavel nel ’18 non cede sull’identità dei clienti; al contrario di Zuckerberg che al Congresso confessa sulla vendita a Cambridge Analityca. Comincia la fuga da parte del 1,6 miliardi di utenti di Whatsup. E’ stata l’America, non la Russia a far fare retromarcia a Telegram sulla criptovaluta Gram.
Per Limes trent’anni dopo la fine dell’Urss, Mosca è ancora il nemico perfetto dell’Occidente. In particolare per l’Occidente anglosassone, che è quello che comanda. Le accuse restano vaghe però. Mosca vuole disgregare l’Unione europea? E’ la Ue che è ondivaga. La Russia vuole dividere la Nato? Erdogan sembra la talpa perfetta allo scopo. Chi uccide di più? Chi processa di più? I processi internazionali li facevano i comunisti orientali, oggi li fanno gli occidentali. I diritti umani sono il nodo dirimente? I diritti umani sono un’arma finissima, per palati di grand gourmet che difficilmente delizia i paesi europei orientali, le aree europee soggette a forte criminalità ed a residenzialità non europea. Non parliamo del vasto mondo, anche di nuove realtà economiche emergenti, dove tali diritti non esistono. I diritti umani spesso non sono rispettati neanche nei pochi (e grandi ) paesi occidentali che se ne fanno vanto. Comunque necessitano di grandi innalzamenti di reddito ed in Russia la sociale è di 130 euro.
I russi hanno fatto propaganda per un secolo fondandosi su un pensiero politico europeo, per un certo tempo assunto a scienza; e non si erano mai sentiti accusare di aggressione, falsificazione di elezioni o di notizie false. Neanche quando finanziavano a piene mani partiti, giornali ed aziende europei. Inutile sostenere oggi che la loro propaganda sia un fake. Sono opinioni diverse sostenute dalla forza, di fronte alla quale si mobilitano altre forze. Si chiamano relazioni diplomatiche. Buona fortuna comunque alle guardie del corpo. (continua)