Il Referendum e le distanze tra giornali e realtà

Il Referendum e le distanze tra giornali e realtà. Ormai è una regola: quando Corriere e Repubblica votano per qualcosa, gli italiani si esprimeranno in senso opposto. Questo perché la tendenza del mondo del giornalismo è di essere rinchiusi nella propria bolla. Mentre celebri penne scrivono che Facebook ti fa vivere in una bolla in cui tutti sono d’accordo con te e quindi non va bene, vivono esattamente alla stessa maniera. Se chi ha soldi e potere dice qualcosa, loro lo scrivono come fosse verità e non un qualunque don Ferrante. In parte il problema è sicuramente dovuto a editori sempre meno forti e sempre più parte di sistemi imprenditoriali perché senza una società forte alle spalle nessun giornalista potrà veramente svolgere il suo lavoro. Ma crediamo che il problema più sostanziale sia la comodità dei circolini da posto fisso. Gli stessi commentatori da sentire, come se il pubblico non aspettasse altro che i soliti tromboni ottantenni alla Sapelli. Non capiscono un tubo di oggi, ma hanno sedici contratti di lavoro perché in Italia il lavoro arriva se hai una posizione: è il motivo per il quale gente perennemente in televisione o sui giornali a esprimere i pensierini sviluppati tra il caffè e la sosta in bagno in teoria ha sei lavori. Tutti ben pagati, spesso da enti pubblici. Poi va in tv a strologare sui giovani, magari come i figli di Elsa Fornero piazzati in ameni e ben remunerati posti pubblici. Insomma molti giornalisti si crogiolano nel mondo dei ricchi, un mondo tanto vuoto di persone rilevanti in quest’epoca che a tirare la carretta ci sono solo Elkann e una banda di arzilli ottantenni. Una vita che non gli appartiene, ma che anelano. E dunque smettono subito di svolgere il loro mestiere, ascoltano sempre le stesse persone perché “si è sempre fatto così” o perché “mia nonna non capisce”. A parte il disprezzo per le capacità mentali della terza età, i giornali hanno scavato una distanza con il pubblico. La piccola borghesia si è assottigliata in quest’epoca, non ispira più nessuno, così come hanno fallito le lauree massificate creando una generazione impreparata a tutto, sia alla conoscenza che all’ignoranza. La teoria del popolo ha fallito e il popolo ora passa ai fatti: le masse sono di nuovo in movimento, ma con identità diverse e incomprensibili per chi nei giornali celebra la morte di Rossana Rossanda come fosse una donna di 40 anni. Ma siamo prigionieri del Novecento, con giornali e giornalisti ancora convinti che stiamo vivendo dopo gli anni ’60. Invece siamo all’inizio degli anni Venti. Forse il giornalista è un mestiere che andrebbe svolto solo per un periodo. Dopo va imposto un cambiamento. Altrimenti si vive come quella che oggi chiamano sinistra: nei centri storici a violentare l’italiano in stile Laura Boldrini. E il popolo fuori le mura a morire di fame. In difesa del giornalismo va detto che tutto ciò che è scritto o espressione dell’ingegno umano è vissuto in Italia come uno strumento per servire i potenti (vedasi i vari Dante e compagnia), quindi ci vogliono giganti per cambiare verso, ma al momento non se ne vedono all’orizzonte.