The Gangs of Rizzoli Street

The Gangs of Rizzoli Street“Ci vediamo a Cre”, “Alle 16 alle Popo”. Quest’angolo di estrema periferia Nord Est di Milano con il Covid ha scoperto la popolarità. Adesso è una zona che richiama adolescenti da via Feltre, Quartiere Adriano, Segrate e anche Vimodrone. Parliamo di una porzione davvero piccola di città, ricompresa tra la stazione di Crescenzago (da cui Cre) e le ultime case popolari sulla sinistra della strada, fino al civico 87. Due complessi di case popolari (le case Popo) e tre di case private. Epicentro di tutto l’arena delle case popolari che vanno dai civici 13 al 45. Dove il fenomeno è nato, in maniera apparentemente innocua. La zona è popolare anche tra i ragazzi di comunità, quando hanno due o tre giorni “liberi”, per esempio sotto natale. Insomma, è un luogo dove si può incontrare più o meno di tutto.

Primavera ed estate

Con la chiusura delle scuole ed i pochi casi di Covid, i giovani avevano bisogno di un posto dove trovarsi. L’arena delle case popolari è ideale. Lontana dalla strada, protetta su tre lati da edifici con doppie porte che consentono di entrare ed uscire dal complesso facilmente (non sono quasi mai chiuse) e con una popolazione straordinariamente accogliente. I ragazzi passano parola. E i numeri salgono. Parliamo di una cinquantina fissi dentro e qualche decina attorno. Milano, effettivamente, pare restia a fermarsi.

Autunno ed inverno

Il problema degli assembramenti dei giovani, oltre che sanitario, è che se non controllati non spingono il meglio di loro ad emergere. Chi frequenta le Popo non è necessariamente un cattivo ragazzo. Ma la pressione dei coetanei è forte. E comincia a girare la droga. Conseguentemente, alcuni gruppi più agguerriti iniziano ad imporsi. Già dalla fine dell’estate iniziano i primi episodi di violenza. Dal complesso di case popolari 13-45 ci si sposta verso le case private. Si verificano piccoli furti. Ma il clima diventa pesante. Così alcuni gruppi iniziano ad esplorare. Arrivando all’altro blocco di case popolari di via Rizzoli, il 73-87. Qui il clima è meno accogliente. Le case si sviluppano orizzontalmente, danno direttamente sulla strada. La popolazione è meno accomodante. Insomma, i numeri non raggiungono mai nulla di paragonabile. Però la preoccupazione per gli atteggiamenti serpeggia.

Le avvisaglie

A Capodanno la prima bravata. Nell’androne di uno dei civici viene fatta esplodere una fontana., il tipico botto di capodanno. L’unica vittima è una pianta incolpevole. Ma ovviamente si sviluppano delle fiamme e l’incendio va domato con un estintore. È un primo atto che serve, oltre che a sconfiggere la noia da lockdown, a vedere fin dove arriva l’impunità. Nel frattempo la compagnia nelle altre case popolari aumenta di numero e le passeggiate sono più lunghe e più frequenti. Qualcosa bolle in pentola.

L’incendio

Il 10 gennaio, come vi abbiamo riportato, succede un alterco tra uno dei gruppi più agguerriti e qualcuno dei residenti storici. Nulla di grave, pare sul momento. Ma qui si tratta di mostrare chi è il più forte. Così, individuato un divano in un sottoscala, si passa alle vie di fatto. Si dà fuoco al mobile e parte il delirio. Nessuno per fortuna si fa male. Ma il rischio c’è stato.

I giorni successivi

Complice la zona rossa, l’aumentata presenza della polizia e la generale sensazione che stavolta la si sia fatta grossa, la pressione sull’intera via Rizzoli cala. Ma è calma apparente. Già sette giorni dopo il numero e la frequenza dei passaggi è tornato quello di prima. I ragazzi arrivano già nel primo pomeriggio e restano fino a sera. Il picco si ha tra le 15 e le 17. Il freddo non incoraggia a restare durante la notte. Per ora.

I problemi

Intanto, e senza rimuginarci troppo, non esiste una sola norma anticontagio che venga rispettata seriamente. Se dovesse scoppiare un focolaio avremmo un terreno ideale per la ripresa dell’epidemia. Non ha senso chiudere le superiori per lasciare aperte le arene delle case popolari.

Ovviamente c’è un altro problema non secondario. I residenti sanno, vedono, ma parlano molto poco. Qui qualcuno ha trovato un mercato di adolescenti annoiati alla ricerca di sensazioni forti. In un’area in cui, anche nei migliori di periodi, c’erano quattro o cinque centri importanti di spaccio. Che, al momento, saranno anche contenti. Ma che non sono in grado di gestire la situazione e potrebbero decidere di risolvere il problema dei piantagrane con metodi decisamente spicci.

E c’è una grande incognita. Vista la predisposizione alla prevaricazione, c’è da domandarsi se questo non stia diventando un terreno fertile per la nascita di bande organizzate. Minorenni che rischiano poco, vicino ad adulti con zero scrupoli. Cosa potrebbe mai andare storto? Ecco, forse è il caso di rivoltare questa zolla prima che dia origine a un verminaio.

Le forze dell’ordine hanno fatto molto. In questi giorni sono fisicamente presenti e controllano. Ma Milano è grande, non si può creare un presidio fisso in questo lembo di terra. C’è bisogno di un’azione decisa, radicale. Non è mai auspicabile che davanti a dei sedicenni si facciano tintinnare le manette, ma in 9 mesi di tempo la situazione ha fatto a tempo ad incistirsi. Qualcuno deve pagare, se vogliamo che non esploda il bubbone. E forse un po’ di sano timor panico potrebbe risvegliare qualche coscienza che tende all’atrofia.

Le paure

I cittadini sono sempre più spavgentati. Non per la delinquenza o il piccolo spaccio. Ma per l’assoluta mancanza di scrupolo nell’uso della violenza. L’età media è avanzata. C’è stanchezza, tanta. Per difendere questi pochi metri di asfalto nella campagna con vista San Raffaele, molti di loro per anni hanno fatto la ronda. Per proteggere le proprie famiglie ed i propri figli. Ora l’età e l’umidità sconsigliano di riprendere i giri. Ci vorrebbe un aiuto qualificato. Senza lasciare la cosa all’improvvisazione.

Prima, soprattutto, che il fenomeno si cronicizzi ed invada le cantine. Se questo dovesse succedere e i giri di ricognizione guardano sempre più spesso in basso, non se ne uscirebbe più. E da una versione pandemica dei Ragazzi della via Pal, rischieremmo di passare a qualcosa di più pericoloso. E drammaticamente violento.

Luca Rampazzo