We all live in a yellow Lombardy

We all live in a yellow Lombardy. E’ fatta: la Lombardia è gialla ufficialmente. Anche ufficialmente, perché dopo il pateracchio sui dati trasmessi all’Iss ci sono sempre state almeno due versioni dei fatti. Chi ha letto questo libro sa quanto siano importanti i punti di vista e quanto vari i modi di raccontare qualcosa, ma lo scontro sui dati è stato surreale. L’unico aspetto importante è che sia parte del passato e che il passaggio in zona gialla segni come sembra un alleggerimento delle tensioni tra Roma e Milano: tecnicamente la regione doveva rimanere arancione per le regole in vigore attualmente, ma sembra aver prevalso il buon senso di Roberto Speranza, ministro della Salute, che ha decretato il passaggio in giallo. Se avesse deciso diversamente si sarebbe potuto contestarlo politicamente, ma non legalmente. Invece grazie al buon senso We all live in a yellow Lombardy. E vorremmo continuare, quindi la politica locale dovrebbe cogliere l’occasione per spiegare le vele a un vento diverso, un vento positivo che possa ricostruire quello spirito comunitario di Expo 2015 che è il suo unico vero retaggio positivo. Non sono stati i miliardi spesi come sempre a caso a rivitalizzare la città, ma vent’anni in cui le forze politiche pure nelle giuste differente hanno portato avanti un’idea di città. Uno sforzo costante che ha trovato il suo apice nel concentrare le forze in un unico grande evento di portata mondiale. Milano e la Lombardia devono ritrovare il filo lasciato andare. Se vogliamo una luce in fondo al tunnel a cui mirare, pensiamo alle Olimpiadi 2026. Costruiamo insieme un’altra idea di città dopo quella del cibo. E se serve nel mentre litighiamo pure, ma stringiamci a coorte verso un futuro più sereno. Se vinciamo tutti, non ci sarà nessun vero perdente e riemergeremo dalla fossa delle pandemie in cui siamo immersi.