Nome dell'autore: Antonio Barbato

Nato nel 1962 a Avellino, Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana, laureato in scienze politiche, è stato Comandante della Polizia Locale di Milano. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Ha pubblicato una decina di libri con diverse case editrici. Ha effettuato docenze presso l’Università Europea di Roma, di Bologna, Bocconi, Insubria e Iulm, su sicurezza urbana, intelligenza artificiale e terrorismo. Ha organizzato eventi sportivi internazionali per le forze di polizia e polizia locale.

La grande Milano sprovvista di wc durante la pandemia

La grande Milano sprovvista di wc durante la pandemia. E li vedi, gambe storte, sguardi persi, occhi spalancati, in alcuni casi con volti bianchi come cenci e fronti sudaticce, non importa se indossano jeans e giacconi impataccati, oppure abiti firmati, non importa se portano capelli lunghi, corti, siano calvi. Ciò che conta è che da esseri umani miti e gentili, sembrano trasformarsi in brutti ceffi che paiono aggirarsi furtivi per le vie della nostra metropoli, con uno sguardi modello Jack Nicholson in Schining, non per trucidare i passanti, ma alla disperata ricerca di un wc per fare pipì (notare la rima)… Il loro unico obiettivo è trovare al più presto un luogo consono all’espletamento dei propri bisogni corporali. Quando scappa, scappa! Non c’è verso, ti devi liberare di quel fardello che opprime. Eccolo il bar che appare improvvisamente come un miraggio. “Adesso entro, ordino un caffè, e mentre me lo preparano, chiedo del bagno, se non me la faccio addosso prima!” Cosi, in giro per la Milano colorata di rosso o arancione, per lavoro, di passaggio, per sbrigare incombenze, l’homo sapiens, annebbiato da una vescica pulsante e quasi incontinente, immaginando di essere ancora in condizione di pre-pandemia, spalanca la porta del bar, con la stessa soddisfazione che leggi negli occhi di un bambino quando scarta un regalo di Natale, ordina il caffè, e crepi l’avarizia, anche un bel icchiere d’acqua, paga e, finalmente, chiede: “Mi scusi mi indica la Toilette?”. In quel preciso momento, accade qualcosa che voi umani… Come in un film muto, le parole lasciano lo spazio alle espressioni del viso dei due “attori principali”, il cliente e il barman, che in pochissimi secondi paiono recitare quasi meglio di Douglas Fairbanks e Buster Keaton. La scena: il giovanotto che sta dietro il banco scuote la testa da destra a sinistra e da sinistra a destra, indicando un inequivocabile NO, lo sguardo inebetito del cliente, che spalanca gli occhi incredulo, e ripete il gesto del barman, scuotendo anch’egli la testa da destra a sinistra, da sinistra a destra, con sguardo atterrito, incredulo, mentre ripete quel NO, in forma interrogativa. Scene intense, forti, drammatiche…Dopo lo smarrimento di entrambi, del barman che comincia a rendersi conto del danno involontario prodotto al proprio cliente, del cliente che sembra avere preso una badilata sul frontespizio facciale, dalle labbra del cliente escono le prime flebili parole: “Ma come? Sono venuto a bere il caffè per fare pipì…” “Mi spiace i bagni sono chiusi al pubblico, sono le norme anti covid…”. Momenti che non si augurano neppure al peggior nemico! Si tratta di un momento molto delicato e, soprattutto, condiviso con chi ti sta intorno, di solito sconosciuti, così, mentre il rattrappimento fisico del cliente si manifesta nel peggiore dei modi, quasi convulsivamente, i commenti degli astanti che guardano il malcapitato con sguardi compassionevoli si susseguono: “Poveretto, deve stare proprio male.” “A me è capitato l’altro giorno, ho fatto come i cani, siepina, et volià.” “Io l’ho fatta dentro il portone aperto di un condominio…”. Così, trangugiato il caffè, il malcapitato esce fuori di corsa per cercare bagni pubblici, wc chimici, un luogo appartato. Nisba! Nel frattempo, passa Fido con il padrone, marcando il territorio, uno spruzzino sul marciapiede, sulla colonna, nell’area cani… Ed è proprio all’area cani che pensa lo sventurato divenuto ormai paonazzo: “Perché non hanno pensato all’area umani? Una volta c’erano i bagni pubblici, i Vespasiani, dove li hanno nascosti?”. Ovviamente a noi non interessa come sia andata a finire la storia, la speranza è che il poveretto abbia potuto fare ciò che doveva fare, lontano da sguardi indiscreti e da improperi di passanti: “Guarda quel pirla che piscia dietro l’angolo e non è nemmeno giovane, roba da matti.” A noi ciò che interessa è che a Milano, metropoli europea, città dai primati nazionali e internazionali, non ci siano bagni pubblici facilmente reperibili. Dove vanno quelli che lavorano in strada che erano abituati alle toilettes dei locali pubblici? Parlo dei tassisti, dei poliziotti, dei venditori ambulanti ai mercati, tanto per citarne alcuni. Possibile che le istituzioni non abbiano pensato a loro? Invece sì! Niente WC chimici in giro per Milano, tranne quelli regalati, di recente, ai tassisti della stazione centrale, da un consigliere comunale. Che dire, speriamo che la pandemia finisca presto, così da poter tornare a frequentare i bar, le trattorie, i ristoranti, devastati dalla chiusura delle attività, che hanno un bisogno vitale di tornare a lavorare. Che aprano i locali pubblici è un bene per tutti noi clienti che, oltre a poterci accomodare, per sorbire un caffè, mangiare una pizza o un risottino, seduti comodamente a un tavolino (notare la seconda rima), invece che mangiare e bere in strada come disperati scappati di casa, e perché no, tornare ad approfittare dei wc dei locali pubblici, visto che altri non ce ne sono e la loro istallazione non sembra essere una priorità. Occorre far sentire in coro le nostre voci e pretendere che non venga mortificato il nostro diritto a fare pipì, anche quando non siamo nei pressi di casa. A proposito, un consiglio, non bevete troppo!

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Assessori in fuga da Milano: collera del Pd o paura della sconfitta?

Assessori in fuga da Milano: collera del Pd o paura della sconfitta? E’ di queste ore la notizia di due assessori della Giunta Sala che stanno partendo per altri lidi: Pierfrancesco Maran, che entrerà a far parte dello staff di Enrico Giovannini al ministero dei trasporti e delle opere pubbliche; Filippo Del Corno, che entrerà a far parte della segreteria nazionale del PD di Gianni Letta. Insomma, tutti in viaggio per Roma, tranne Beppe Sala che a Roma, con altri incarichi, molto più importanti di quelli che assumeranno Maran e Del Corno, ovviamente, avrebbe voluto andarci e di corsa, piuttosto che riproporsi come sindaco di Milano. Che la ricandidatura fosse un ripiego lo si era capito da quando Sala aveva deciso di prendersi una lunga pausa di riflessione, prima di dare il via libera al secondo mandato, cosa che ha fatto il 7 dicembre 2020, annunciandolo senza troppa convinzione, probabilmente, dopo avere compreso, chiaramente, che Conte, Zingaretti e Di Maio, a Roma proprio non ce lo volevano. A onore del vero, nemmeno l’amico Draghi gli ha fatto una proposta successivamente, cosa che se fosse accaduta, gli avrebbe dato il la per sganciarsi da Milano, con una motivazione di alto profilo, cioè di essere stato chiamato a dare il proprio contributo alla rinascita dell’Italia post pandemia. Tornando a noi, francamente, credo che la scelta di Sala di accreditarsi come ecologista convinto, abbia generato una frattura non di poco conto tra lui e i DEM. L’unica cosa di verde che ha prodotto fino a ora questa scelta è, quanto pare, la rabbia dei dirigenti lombardi e nazionali del PD. Come ho già avuto occasione di dire, i DEM hanno vissuto la giravolta di Sala come un vero e proprio tradimento, fatto a tradimento, nei confronti di chi, da Sala, si aspettava coerenza e riconoscenza, per tutto quanto era stato fatto dal partito per sostenerlo politicamente oltre che elettoralmente, e magari nemmeno quello! Di sicuro il PD non si aspettava una scelta di esclusione, di relegazione ai margini, perché di questo si è trattato. La scelta di Sala deve essere stata interpretata anche come il tentativo di trascinare a forza verso di sé la coalizione: io sono in grado di vincere le elezioni a Milano, faccio ciò che ritengo più giusto, se non volete perdere le elezioni, dovete prendere atto delle mie scelte e adeguarvi, punto! Già nei mesi precedenti alla svolta verde, Sala si era esposto, facendo intendere chiaramente che, in caso di vittoria a Milano, non avrebbe riconfermato almeno due degli assessori DEM, Maran e Granelli. Mentre Granelli, uomo mite e accondiscendente, umile servitore del bene comune, era pronto anche ad accettare che Sala gli stroncasse la carriera politica, senza replicare, in nome della coesione sociale e della fede politica, magari puntando a candidarsi come presidente di un municipio, non altrettanto disponibile appariva il giovane Maran che, giustamente, non volendosi far rottamare da Sala e finire la propria carriera politica in qualche municipio di periferia, aveva deciso di anticipare le mosse di Sala, cercando altre collocazioni, magari dirigendosi a Roma con il primo treno o aero disponibile. Per quanto riguarda Del Corno, lo aveva già detto in tempi non sospetti, che questo sarebbe stato il suo ultimo mandato, a prescindere da tutto. Che si tratti di ricerca di nuove opportunità, per la consapevolezza di non averne più a fianco di Sala, o molto più semplicemente, che si sia creata una condizione di incompatibilità e di differenza di vedute, non ha alcuna importanza, il dato certo è che due assessori, Maran e Del Corno, hanno deciso di abbandonare l’Arca di Sala, senza troppi rimpianti, forse anche con un senso di liberazione. Il terzo lo ha dismesso proprio lui, senza farsi troppi problemi e, tutto questo, insieme all’adesione ai Verdi Europei, per il PD, deve essere sembrato un po’ troppo. Forse coloro che gli sono stati al fianco, in questi anni, pensavano di trovare maggiore accoglienza da parte di Sala. Maran a inizio mandato avrebbe gradito continuare a portare avanti i progetti di mobilità, Granelli avrebbe voluto continuare a portare avanti i progetti di sicurezza, legati alla coesione sociale. Sala ha fatto altre scelte, non li ha accontentati, dando un segno di discontinuità, come si dice oggi. Così, i due assessori di punta nella consigliatura Pisapia, si sono trovati, di fatto, ad essere interlocutori di secondo piano e di questo, ne sono certo, perché conosco entrambi, ne hanno sofferto molto. Non mi soffermo sulle azioni politiche dei tre assessori uscenti che, credo, abbiano cercato di interpretare nel migliore dei modi possibili, i propri mandati, anche se non sempre ci sono riusciti, ciò che mi pare essere un punto fermo, è che nessuno di loro avesse intenzione di ritirarsi dalla vita politica e che, tutti e tre, si siano “ribellati” al diktat di Sala, facendo tre scelte politiche diverse, ma pur sempre scelte politiche. Mentre Granelli, forse anche perché meno forte politicamente degli altri due, ha deciso di non abbandonare la nave, nel caso di Maran e Del Corno, appena è stato loro possibile, hanno preso la palla al balzo, sbattendo la porta in faccia al sindaco. D’altronde chi semina vento… Sala sempre più solo, sempre più legato ai calzini arcobaleno, alle interviste di Vanity Fair, al Green che non riesce a interpretare, anche se cerca di cavalcarlo, pare avere perso di vista che assessori come Maran, Granelli e Del Corno, indipendentemente da quanto, e come quel quanto abbiano fatto per Milano, gli sono stati sempre fedeli, lo abbiano accontentato, lo abbiano sostenuto, si siano presi delle responsabilità mettendoci la faccia, facendo in modo che il Sindaco rimanesse sempre fuori dalle peggiori critiche da parte di cittadini e media. Basti pensare a tutti gli insulti che ha collezionato Granelli per realizzare le piste ciclabili, assumendosi anche responsabilità che non erano sue… Che, dopo la svolta verde, sia cambiato qualcosa nell’assetto politico della Milano guidata da Sala, è sotto gli occhi di tutti, che il PD non abbia intenzione di essere trattato come un utile

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Le molte, forse troppe, svolte politiche di Beppe Sala

Le molte, forse troppe, svolte politiche di Beppe Sala. Beppe Sala ha annunciato la propria svolta politica, l’ennesima, aderendo ai Verdi Europei, una galassia ecologista che ha ottenuto importanti consensi in alcune nazioni del nord Europa, meno in Italia. La sua decisione ha gettato nel panico coloro che – non conoscendolo bene – da lui si sarebbero aspettati riconoscenza, per il sostegno politico nei propri confronti in questi ultimi anni. Al di là delle dichiarazioni di circostanza da parte di molti esponenti politici del PD meneghino, la cosa non è stata gradita per nulla, anche perché arrivata in concomitanza dell’assemblea nazionale del PD, convocata per nominare il nuovo segretario dopo le dimissioni di Zingaretti. Significativa la reazione all’annuncio di Sala da parte di Luigi Corbani, ex vicesindaco di Milano, con un post su Facebook: “Il giorno prima della assemblea nazionale del PD, trovo la intervista del sindaco di Milano su “Repubblica” di ieri, abbastanza offensiva verso il PD e gli elettori del PD che lo hanno sostenuto in questi anni, e con pazienza immensa hanno sopportato per dieci mesi il tira e molla sulla sua ricandidatura. (mi candido o non mi candido? farò sapere). Che cosa vuol dire “Verde europeo”? In quest’anno di tribolazioni per il Covid, dove era il Comune di Milano? Si è nascosto dietro la competenza nazionale e regionale, ma i cittadini sono milanesi e non hanno gli ospedali a 15 minuti, e non hanno avuto nel Comune sia per la sanità che per le questioni economiche una sponda, un punto di riferimento. Non bastava Salvini col rosario e l’invocazione della Madonna, ci voleva anche il Sindaco con la preghiera laica alla Madonnina?   La salute dei milanesi non è parte di una politica ambientalista ed ecologista? E dove è la politica ambientalista del Sindaco in questi anni? Le piste ciclabili? Le aree ferroviarie? L’area C e B? Il Pirellino e la Torre botanica?  E che destino avranno le aree di Città Studi? Ma c’è una cosa che in questi cinque anni ha contraddistinto la politica comunale? Sono veramente stupito o meglio allibito da dichiarazioni superficiali e da un partito che subisce un trattamento da zerbino (fra l’altro, qualche tempo fa aveva dichiarato che sceglieva lui il successore, come se fosse un monarca)”. State tutti tranquilli, Beppe Sala è fatto così, ha cercato di scalare il PD, non ci è riuscito perché non glielo hanno permesso, ora ci prova con un’altra forza politica che, al contrario del PD, ha bisogno di un leader, di un Ronaldo, come è stato definito dai verdi. Sala non è uomo che si accontenta facilmente, è uno che, quando si parla di carriera, da pragmatico qual’è, non fa sconti a nessuno, perseguendo i propri obiettivi in modo scientifico. Basti dare una breve occhiata al suo curriculum personale per capire di che pasta è fatto: assunto nel 1994 come direttore del controllo di gestione e della pianificazione strategica del settore pneumatici di Pirelli, ricopre altri più importanti incarichi all’interno dell’azienda; tra il 2003 e il 2006 ricopre la carica di direttore generale di Telecom Italia; nel 2009 di direttore generale del comune di Milano; successivamente, di presidente di A2A; Infine, nel 2013, di commissario unico delegato del governo per l’EXPO, nominato dal premier Enrico Letta che, come tutti ricorderete, poi verrà spodestato da Matteo Renzi, nel febbraio 2014, con un breve passaggio di campanella. Una carriera da top manager, quella di Sala, che prosegue anche dopo il cambio di vertice tra Letta e Renzi, infatti, Renzi abbraccia la causa Expo, non lo sostituisce con un altro manager, anzi lo sostiene con forza. Basti solo rammentare le dichiarazioni entusiastiche del Premier Renzi, riportate da un articolo del Fatto Quotidiano, datato 27 aprile 2015, a pochi giorni dall’apertura dei cancelli dell’esposizione internazionale: “Siamo a quota dieci milioni di biglietti venduti. I padiglioni sono molto belli. Che forte l’Italia che non si rassegna”. In questa prima fase “politica” della sua carriera, come possiamo notare, Beppe Sala, passa con nonchalance dal centro destra di Letizia Moratti, al centro sinistra di Enrico Letta, per poi schierarsi con Matteo Renzi, nemico giurato di Letta. E’ proprio durante lo svolgimento di Expo che Sala, spinto con forza da Renzi, al quale non poteva certo dire no, accetta la proposta di candidarsi a sindaco di Milano, una volta finito Expo. L’occasione concreta per entrare in politica è scandita da due circostanze, tra loro avulse ma complementari. La prima, è la decisione di Giuliano Pisapia di non ricandidarsi, come d’altronde aveva promesso di fare, lasciando così il posto vacante, altrimenti Sala non avrebbe trovato spazio per candidarsi a Milano. La seconda, è proprio la sponsorizzazione diretta di Matteo Renzi che, in un momento di grande consenso popolare e “prepotenza” politica, volendo piazzare uomini e donne fidati in tutte le istituzioni (locali e nazionali), decide che Sala deve diventare sindaco di Milano, e lo appoggia con determinazione durante le primarie del centro sinistra, durante le quali Sala non si risparmia. Degna di nota è, infatti, la “conversione” di Sala al comunismo, infatti, pur di ingraziarsi la parte più radicale dello schieramento di centro sinistra, critica sulla sua candidatura, pubblica un’immagine su Istagram che lo ritrae nelle vesti di Che Guevara, con tanto di “Hasta la victoria siempre”. Sala vince le primarie contro Francesca Balzani e Pierfrancesco Majorino, e Il 19 giugno 2016 viene eletto sindaco di Milano. Pochi mesi dopo, novembre 2016, calava il gelo tra Sala e Renzi a seguito della “scomparsa” dalla legge di bilancio dei fondi per la liquidazione della società Expo, e il trasferimento del campus della Statale sull’area dell’ex sito espositivo. Sala, da tempo, aveva fiutato la fase di declino di Renzi, in difficoltà per avere voluto forzare la mano sulla riforma costituzionale, cosiddetta “Renzi Boschi” (che si prefiggeva il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL, e la revisione del titolo V° della parte II^ della Costituzione). Renzi perdeva e si dimetteva, Sala tirava un bel

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Tre punti sensati per rifondare la Polizia locale di Milano

Tre punti sensati per rifondare la Polizia locale di Milano. Negli ultimi anni, la polizia locale di Milano è stata sottoposta a una vera e propria “restaurazione”, nel senso storico del termine. Da moderni agenti della polizia locale, i Ghisa sono tornati a essere i vecchi vigili urbani degli anni ’70! Un percorso, quello della Giunta Sala, intriso di quella ideologia egualitaria, che considera tutti identici, con stessi diritti e doveri, indipendentemente dalle funzioni svolte che, per contratto, norme, e attività, sono diverse. Tutti impiegati comunali, per la gioia e il sollazzo di amministratori incompetenti e sindacati conniventi! Come si fa a non capire che un impiegato dell’anagrafe che lavora dalle 9 alle 16, sabati, domeniche e festivi esclusi, non fa le stesse cose di un “Ghisa”, comandato 24 ore su 24, sabati, domeniche e feste incluse? Come si fa a non comprendere che funzioni e responsabilità sono diverse e maggiori, disciplinarmente, amministrativamente e penalmente? Forse è proprio per questa concezione totalizzante e livellante delle funzioni, che i Ghisa, durante la prima fase della pandemia, sono stati costretti dall’assessore alla sicurezza Scavuzzo a “stare in panchina”, come gli altri dipendenti comunali. Tradotto in soldoni, obbligati a rimanere a casa in ferie forzate o in smartworking. Trasformando i poliziotti locali in dipendenti comunali, la Giunta Sala ha ridotto, nei fatti, la “potenza di fuoco dei Ghisa”, con ripercussioni che sono sotto gli occhi di tutti. Distrarre dai propri compiti istituzionali la polizia locale, limitarne le funzioni, non assumere nuovi operatori in numero congruo, non formare quelli in servizio, non dotarli di tutti gli strumenti di lavoro, diminuire drasticamente i servizi, diminuire gli investimenti sulla sicurezza, e molto altro ancora, ha contribuito con certezza matematica a rendere Milano meno sicura, meno attraente, meno inclusiva… Basti solo pensare che i pochi Ghisa assunti non hanno nemmeno il tesserino di riconoscimento. Un pezzo di carta plastificato. Questo è puro disinteresse verso chi lavora, sciatteria. Non si era mai vista una cosa del genere in quasi 170 anni di storia del Corpo! I risultati di queste scelte si sono riverberati negativamente su gran parte di quel personale che ha sempre dato più del dovuto e che, nato per fare uno specifico mestiere, si è trovato a farne un altro, con evidenti ricadute sulla motivazione. Se chiedete oggi a un qualsiasi agente della polizia locale di Milano cosa pensa del proprio lavoro, vi risponderà che ha perso la passione, che il Corpo al quale appartiene è appiattito, che non è governato da logiche meritocratiche, che da parte dell’attuale amministrazione non vi è alcuna attenzione nei confronti di chi lavora in strada e rischia salute e vita, se non quella di sfruttare la polizia locale quando si vuole fare propaganda politica. Come cambiare rotta? Indipendentemente dall’approvazione della legge chimera (quella di riforma delle Polizie locali), alla quale io stesso lavoro da anni in prima persona, tema che deve essere affrontato dal Governo in carica, proprio per eliminare equivoci e storture, su Milano provo ad anticipare tre azioni concrete che possono contribuire a migliorare l’assetto attuale del Corpo 1°) ISTITUZIONE DI UNA COMMISSIONE DI INCHIESTA CONSIGLIARE che faccia il punto proprio sulla modifica dell’assetto della polizia locale di Milano, che verifichi le condizioni di lavoro alle quali è stato relegato il Corpo che, tempo addietro, era considerato il più efficiente d’Italia. Poi si deve fare luce su alcune vicende scottanti, perché da queste occorre ripartire per rifondare un Corpo che ha perso la guida e la visione del proprio operare. Si deve affrontare il tema degli scandali giudiziario mediatici che hanno coinvolto i Ghisa in questi ultimi due anni (quello del nucleo antidroga portato alla ribalta da un servizio delle IENE; quello del nucleo anticovid sorpreso a festeggiare senza mascherine e distanziamento, mentre i cittadini erano costretti in casa dagli obblighi determinati dai vari DPCM; quello dei sindacalisti che cancellavano multe agli amici degli amici; quello degli agenti che si davano alla fuga dopo avere investito un pedone con l’auto di servizio; quello dell’intervento anomalo del comandante della polizia locale nell’incidente mortale causato dalla figlia di due noti magistrati milanesi, etc.). Occorre anche che la commissione d’inchiesta apra uno specifico capitolo sul suicidio di quattro donne in divisa in meno di due anni, in questo caso avvalendosi di psicologi e sociologi, per provare a dare risposta nel merito del disagio evidente della categoria. Negare che esista un problema di disaffezione nell’appartenenza o di controllo della struttura, a mio modesto parere, è parte fondante della causa stessa. 2) SELEZIONARE UN NUOVO REPARTO INVESTIGATIVO INTERNO: in questi anni si è assistito troppe volte all’apertura di “indagini interne” da parte di agenti e ufficiali contro altri agenti e ufficiali, a volte condotte in modo cialtronesco e dilettantistico, su fatti spesso inesistenti o insussistenti, a volte motivati addirittura da rivalità politiche e sindacali, tanto da dare l’idea che alcune di queste “indagini” fossero state utilizzate per intimidire, per neutralizzare “avversari” o persone scomode, pertanto, come strumenti di repressione, di controllo. Il dubbio sovviene perché mentre si svolgevano indagini farsa contro i “nemici interni”, di contro, gli stessi “investigatori” parevano non accorgersi di nullafacenti travestiti da dirigenti sindacali che, sfrontati, impuniti, beandosi tronfi dei propri privilegi, commettevano le peggiori nefandezze, come cancellare multe agli amici o usare permessi per farsi gli affaracci propri! Occorre fare pulizia, eliminando queste pericolose deviazioni. Se all’interno del Corpo è giusto che ci sia un organismo che indaghi sugli eventuali comportamenti scorretti da parte degli operatori, una sezione investigativa interna, occorre che questa struttura garantisca però il principio che chi viene indagato deve avere la certezza che i colleghi che lo mettono sotto inchiesta siano i più capaci, i più neutrali, i più trasparenti possibili, e non i più sindacalizzati, i più raccomandati e i più inclini a fare favori ai potenti di turno. Rifondare l’investigativa interna è essenziale e non più procrastinabile. 3) ABOLIRE IL BADGE: nonostante la pervicacia dell’amministrazione Sala, la verità è che l’esperimento dell’adozione di questo sistema di controllo delle presenze è fallito

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Suicidi nella Polizia locale: e se non fosse un caso?

Suicidi nella Polizia locale: e se non fosse un caso? Ecco i motivi per i quali sala non deve impedire la commissione d’inchiesta richiesta da De Corato. Secondo l’OMS (World Health Statistics 2019: monitoring health for the SDGs, sustainable development goals), in Italia, il suicidio è una scelta prevalentemente maschile e, solo in modo residuale, femminile (l’80% dei casi di suicidio è riferibile a individui di sesso maschile). Pertanto, pure inquadrato nel dato elevato dei suicidi delle forze dell’ordine, la serie di suicidi femminili della Polizia Locale di Milano (quattro casi in meno di due anni), rappresenta un’anomalia che merita una riflessione accurata. La letteratura in materia, soprattutto francese, ha iniziato da tempo ad interessarsi ai fenomeni dei “picchi suicidari”. Famoso rimane quello di France Télécom che, fra il 2008 e il 2010, portò a ben cinquantotto suicidi. Successivamente fu la volta de “la Poste”, anche qui, con decine di suicidi. Questi eventi avevano in comune il collocarsi in una situazione di crisi per una profonda ristrutturazione societaria, la conseguente caduta di percezione del ruolo, l’aumento dell’angoscia per il futuro. La situazione di tensione era stata l’elemento deflagrante, in grado di rompere equilibri psicologici precari, e di sfociare nella scelta estrema di molti lavoratori e lavoratrici. Possiamo serenamente escludere che dinamiche interne all’organizzazione della Polizia Locale di Milano abbiano giocato lo stesso ruolo di rottura degli equilibri? Di queste dinamiche interne ne cito alcune, a mero titolo di esempio: 1) la percezione di non essere importanti per l’Amministrazione, le cui azioni sono state elaborate da molti, a torto o a ragione, come una sorta di rivalsa contro una categoria invisa (si veda non tanto la questione dell’introduzione del badge quanto la sua dinamica – improvvisata, raffazzonata e dai chiari profili punitivi); 2) la degenerazione dei rapporti con la catena di comando, percepita sempre più distante, algida e indifferente alle problematiche soggettive del Corpo; 3) l’odio sociale per il ruolo e le mansioni svolte, non adeguatamente delimitato dai vertici, ormai da anni silenti su ogni cosa succeda ai lavoratori e alle lavoratrici della polizia locale di Milano; 4) il senso di abbandono e di marginalizzazione del ruolo ricoperto con forte misconoscimento dell’impegno prestato; 5) Problemi nei rapporti con gli ufficiali e colleghi con possibili fenomeni di molestia di genere (per favore non facciamo i puritani che questi fenomeni sono diffusi). La richiesta della commissione di indagine, quindi, nasce proprio come risposta NECESSARIA alla domanda posta a titolo di questo ragionamento: “E se non fosse un caso?” Chi ha già accettato che lo sia, commette un tragico errore. Si faccia in modo che delle persone esperte, analizzino il sussistere o meno di elementi migliorabili, indicando riorganizzazioni percorribili e l’introduzione di correttivi e controlli. Io sono convinto sia possibile farlo. Spero che se ne convinca anche il sindaco Sala, permettendo, senza se e senza ma, che si apra un dibattito pubblico sulla questione, anche se siamo in campagna elettorale.

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Quel silenzio sulle quattro vigilesse suicide in meno di due anni

Quel silenzio sulle quattro vigilesse suicide in meno di due anni. Provate a pensare: prendere l’arma laddove è custodita, un comodino, un cassetto, un armadio, caricarla come se si fosse davanti a una minaccia imminente, come può accadere in servizio quando ci si trovi di fronte a un rapinatore armato, deciso a tutto, dal quale occorre difendersi per un potenziale pericolo alla propria e altrui integrità fisica, scarrellare la pistola, puntare la canna verso se stessi, cuore, testa, e poi spingere il dito sul grilletto, il proiettile che penetra le tue carni irrimediabilmente. Una sequenza di gesti che lascia il tempo di pensare a quello che si sta facendo, pertanto, almeno in quel preciso momento, voluta, ragionata, meditata, consapevole. Che quattro donne della polizia locale di Milano abbiano deciso di farla finita in meno di due anni, pone una serie di quesiti: Ci si era accorti del disagio? Si è fatto qualcosa per evitare che il disagio si trasformasse in tragedia? Vi erano state richieste d’aiuto che avrebbero potuto, se esaudite, evitare il peggio? Oltre a indagare sulle motivazioni personali che portano un individuo a compiere un gesto così profondo e totalizzante, in casi come questi, occorre comprendere quali siano le relazioni tra il suicidio e la professione che si svolge. Immaginiamo sempre che le persone in divisa siano forti, miticamente invincibili, eroiche, non sempre è così, la fragilità pervade tutti gli esseri umani, anche quelli in divisa. Secondo i dati forniti dall’Organizzazione Governativa “CERCHIOBLU”, i suicidi tra gli operatori delle forze di polizia sono un fenomeno endemico e ben conosciuto. Nonostante ciò, pochi o nulli risultano essere gli interventi utili a fermare questa scia di sangue da autodistruzione. Un fenomeno che deve essere affrontato una volta per tutte, perché racconta di un disagio strisciante che non trova forma di attenuazione sui luoghi di lavoro. Senza voler fare analisi compiute che risultano assai difficili e complesse, ciò che voglio porre in evidenza è che il lavoro (che occupa un ampio spazio temporale della nostra vita quotidiana) è uno dei contesti in cui si attivano e si smorzano determinate tendenze, e ciò è strettamente correlato al tipo di condizione psicologica che si vivono proprio sui luoghi di lavoro. Soprattutto se si svolge una professione dove è facile che la tenuta psicologica sia sollecitata da eventi traumatici (coinvolgimento in un conflitto a fuoco, interventi su incidenti mortali con presenza di cadaveri, scontri fisici e verbali con persone riottose, etc.), da tensioni tra sottoposti e superiori (tipiche di professioni dove la gerarchia è notoriamente marcata), dallo svolgere orari diversi dal “normale”, che mettano in discussione un’ottimale gestione della famiglia (turni notturni, serali, sabati, domeniche o feste comandate), e molto altro ancora. A mio avviso è proprio sul luogo di lavoro che si potrebbe fare qualcosa per limitare questi fenomeni e, purtroppo, è proprio lì che, attualmente, mancano progetti e relativi supporti. Per le informazioni in mio possesso, almeno due delle vittime della polizia locale di Milano avevano palesato alcuni disagi di origine personale e lavorativa. Avevano chiesto aiuto ma nessuno si era preoccupato di tendere loro la mano. Indifferenza, menefreghismo, insensibilità? Non lo sappiamo, però una cosa è certa, bisogna fare chiarezza, e se per fare chiarezza su queste morti occorre una commissione d’inchiesta del comune di Milano, ben venga! Anche se, dalle dichiarazioni dell’assessore alla sicurezza della Regione Lombardia, Riccardo De Corato (che è anche consigliere comunale), la maggioranza che governa Milano sta cercando in ogni modo di boicottarla. Capisco che siamo in campagna elettorale, ma esigenze di chiarezza andrebbero perseguite sempre, come si sulo dire, senza se e senza ma…    

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