Nome dell'autore: Michelangelo Bonessa

Giornalista per inclinazione allo scrivere e al non essere allineato, direttore editoriale dell'Osservatore Meneghino per le mille e imperscrutabili vie della vita. Ho scritto per Narcomafie, Corriere, Giornale, Fattoquotidiano, LaPrealpina, Stile, 2duerighe.com, MilanoPost, l'Esagono e molti altri.

Insegnanti in fuga dalle scuole milanesi

Insegnanti in fuga dalle scuole milanesi. Le segnalazioni si moltiplicano da istituto a istituto per un fenomeno che spiega una volta ancora quanto sia bello avere un posto di lavoro pubblico: molti docenti si stanno mettendo in malattia da settimane, forse sperando in un altro lockdown o comunque nella didattica a distanza per non svolgere normalmente il proprio lavoro. La paura o la pigrizia? Non è certo cosa spinga chi vive di soldi pubblici ad aggirare le regole, ma la vita di quelli che Checco Zalone ha definito i posti fissi è diversa. Sicuramente i genitori sono sul piede di guerra per l’assenza degli insegnanti e per le modalità in cui avviene: come ha spiegato uno di loro, i certificati di malattia vengono mandati di settimana in settimana causando almeno due disservizi. Il primo è la mancanza del docente, il secondo è l’impossibilità di sostituire gli assenti con supplenti: è troppo breve il periodo di assenza. Così da settimane gli alunni non hanno avuto quello per cui i genitori pagano. E nemmeno un servizio sostitutivo, perché per i posti fissi il posto di lavoro è una proprietà a cui non vogliono nemmeno rischiare di rinunciare: se non ci sono loro, non ci deve essere nessuno. Così il pubblico paga due volte: personale che non svolge il proprio compito e figli che non imparano. Ma gli insegnanti in fuga dalle scuole milanesi possono fregarsene (secondo il vecchio motto fascista) perché il loro contratti sono solidissimi, quindi nessuno di loro sta rischiando di rimanere a casa definitivamente. Nel mondo privato verrebbero giustamente licenziati malamente, con anche un comprensibile disprezzo da parte dei colleghi e di chiunque conosca il modo di comportarsi. Invece la “postofissità” raccontata da Zalone permette tutto. Anche di calpestare i diritti dei bambini.

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Sala tenta di fermare il lockdown

Sala tenta di fermare il lockdown. Il primo cittadino di Milano in questi giorni sta cercando di rappresentare la voce del buonsenso mentre tutti sembrano aver perso la testa nell’ormai ex locomotiva economica italiana. “Non va bene andare da 100 a zero ed è quello che si sta facendo oggi. Non voglio passare per il paladino del ‘non si chiude’ , mi stanno ributtando addosso la frase del ‘Milano non si ferma’ di alcuni mesi fa – ha detto Giuseppe Sala – Voglio che venga fatto con buon senso, chiudere si può – ha concluso – ma prima di decidere di chiudere bisogna dire a chi viene chiuso come lo aiutiamo. Io mi batterò su questo”. Una posizione attendista che ricalca quella sulla didattica a distanza (DaD) assunta dal sindaco meneghino: la scuola è essenziale non solo per gli alunni, ma anche per le famiglie: sono riti consolidati e avere i bambini a scuola permette ai genitori di lavorare o avere il tempo per altre incombenze. Il valore dell’apertura delle scuole è dunque molteplice perché non riguarda solo un aspetto della vita quotidiana. L’aspetto psicologico di mantenere aperte le scuole inoltre è altrettanto importante perché aiuta le famiglie a mantenere un’idea di normalità quanto mai essenziale in un momento di panico e paura generalizzato. Il futuro è incerto e forse quello che serve agli italiani ora è una cerimonia comune e tranquillizzante come il tè delle cinque per i britannici, un modo per continuare a vivere nonostante il martellamento attuato dal virus al nostro stile di vita.

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Da sabato allo spazio PIME la mostra “Da sfondo a soggetto: anche il paesaggio vuole la sua parte”

Da sabato allo spazio PIME la mostra “Da sfondo a soggetto: anche il paesaggio vuole la sua parte”. Nel corso del XVII secolo, l’elemento ‘paesaggio’ sullo sfondo dei dipinti ha iniziato a mostrarsi, fino a diventare protagonista delle tele. Da allora, le sue evoluzioni sono state molteplici, inaspettate, affascinanti e numerosi artisti si sono dedicati ad esprimere se stessi e le loro emozioni proprio attraverso il paesaggio. Per imparare anche oggi l’arte di raccontare lo spazio che ci circonda con la fotografia, il Museo Popoli e Culture del PIME invita gli appassionati al workshop “Da sfondo a soggetto: anche il paesaggio vuole la sua parte” sabato 7 Novembre dalle ore 10.30 alle 15.30. Durante la mattina verranno presentati e analizzati dipinti, fotografie e opere sonore realizzati da diversi artisti in diversi periodi storici, per scovare i punti di tangenza e le divergenze nelle eterogenee interpretazioni di uno stesso soggetto. L’analisi prenderà avvio dagli incredibili scatti esposti nella mostra “Ogni cosa è fotografata. La Cina attraverso lo sguardo di Leone nani” – in corso al museo fino al 31 dicembre -,realizzati dal missionario Padre Leone Nani durante la sua permanenza in Cina, dal 1904 al 1914, come esempio di una grande padronanza tecnica del mezzo fotografico, una notevole felicità compositiva e, in generale, un atteggiamento di generosa curiosità nei confronti di ciò che incontrava. Dopo una breve pausa per il pranzo, ogni partecipante sceglierà un artista o un’opera a cui ispirarsi per scattare con fotocamera digitale o telefono il paesaggio urbano. A fare da sfondo, il vicino quartiere City Life che si trasformerà nel “campo da gioco” in cui ci si muoverà per osservare, comporre, fotografare. Al termine delle riprese ognuno selezionerà la sua immagine migliore per presentarla al resto del gruppo e commentarla insieme. Il laboratorio è a cura di Alice Civaj e Meri Valenti, operatrici della onlus Passato Prossimo, associazione culturale impegnata a favorire la conoscenza, la diffusione e l’amore per l’arte e la storia. Costo: € 3,00 di ingresso ridotto + 15,00 euro a partecipante per il workshop (pranzo escluso). Il numero degli accessi al museo è limitato e contingentato nell’ambito delle misure di contrasto al Covid19, pertanto è necessaria la prenotazione, fino ad esaurimento posti, tramite l’apposito form online pubblicato qualche giorno prima nella sezione dedicata del sito https://www.pimemilano.com/News-Museo/da-sfondo-a-soggetto-anche-il-paesaggio-vuole-la-sua-parte.html. All’ingresso il personale misura la temperatura corporea e si sanificano le mani con la soluzione igienizzante disponibile. Ai visitatori con una temperatura pari o superiore a 37,5° purtroppo non può essere consentito l’accesso. All’interno del museo e durante il laboratorio, è obbligatorio mantenere la distanza di almeno 1 metro tra i visitatori e indossare la mascherina. Nuovo Centro PIME Il PIME è il più antico istituto missionario italiano. Nacque nel 1850 come seminario lombardo per le missioni estere. Nel 2019, si è provveduto alla dismissione del polo romano concentrando le attività a Milano per una scelta di sobrietà e risparmio economico, al fine di dare più servizi. Il nuovo Cento PIME milanese, con ingresso in via Monterosa 81, oggi offre il teatro da 600 posti, una libreria, il Museo Popoli e Culture ristrutturato e dotato di tecnologia interattiva, una caffetteria culturale, uno Store per lo shopping equo e solidale e dei prodotti delle cooperative sociali attive in Italia; la Biblioteca con il suo patrimonio di 43.000 volumi, una nutrita emeroteca, una sala lettura aperta alla cittadinanza con particolare attenzione ai giovani studenti; una nuova sala polivalente e altri spazi per appuntamenti culturali e proposte per il tempo libero per tutte le età. Il PIME pubblica anche la rivista Mondo e Missione. L’Ufficio Educazione Mondialità del PIME organizza attività con i ragazzi delle scuole e degli oratori. Tutte le info sul sito www.pimemilano.com

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Una copertina di Charlie Hebdo scatena la furia di Erdogan

Una copertina di Charlie Hebdo scatena la furia di Erdogan. Abbiamo deciso di riproporvela perché sul tema della concezione della libertà di stampa per l’Islam ci siamo scottati. Proprio Charlie Hebdo divenne il simbolo di questa relazione complicata quando la redazione del periodico francese fu sterminata da fanatici che colpivano per vendicare l’onore di Maometto. Oggi lo stesso settimanale ha causato una vera e propria crisi diplomatica: il capo di Stato turco ha minacciato ripercussioni legali e diplomatiche per la pubblicazione della prima pagina che vi riportiamo. Poi bisognerà vedere quale tribunale potrebbe imporre a un giornale europeo di adeguarsi a un sultanato di fatto come quella turca. Rimane comunque un fatto che incrina i rapporti con la nazione musulmana proprio a pochi giorni dalla decapitazione del professor Samuel Paty, il 16 ottobre, avvenuta sempre per aver mostrato vignette ironiche su Maometto. La tensione non sembra dunque destinata a scemare, specialmente adesso che la Francia ha avviato un nuovo lockdown. Un nemico esterno su cui scaricare la tensione potrebbe essere utile per i francesi, però le comunità musulmane sono molto inserite nella società. La stessa Turchia può contare su reti di moschee amiche su tutto il territorio francese. Quindi da conflitto col nemico esterno, si rischierebbe di virare verso uno interno lacerando ancora di più il tessuto sociale. Intanto l’Europa si ritrova di nuovo davanti al dubbio Carlie Hebdo: hanno ragione o no a pubblicare prime pagine volgari e insultanti per qualcuno? Sono domande essenziali in un’epoca in cui le statue vengono abbattute. Saremo ancora un continente dove si può parlare e comunicare liberamente le proprie idee? Oppure l’ansia di non offendere nessuno verrà posta prima della necessità di essere liberi nel parlare e nel pensare. Il mondo è cambiato molto, non ci sono più solo due blocchi, ma un magma mutevole. Quindi per non irritare nessuno bisognerebbe limitare moltissimo ogni comunicazione.

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Sul corteo violento di Milano l’allarme “al fascista” cancella la notizia

Sul corteo violento di Milano l’allarme “al fascista” cancella la notizia. L’allarme sul ritorno del fascismo è ancora uno di quei temi che unisce moltissimi italiani, riflesso tipico di un Paese ormai senza valori e idee. Però la sua riproposizione a ripetizione causa non pochi problemi, come la perdita del contatto con la realtà nel caso del corteo violento di Milano e i suoi partecipanti: infatti sul corteo violento di Milano l’allarme “al fascista” cancella la notizia. Anche se qualcuno l’aveva riportata: “La vera novità di ieri sera sono i più giovani, nordafricani di seconda o terza generazione che comunicavano in arabo, si davano la carica a vicenda in perfetto milanese e cantavano in gruppo slogan francesi tipici delle banlieue – ha scritto l’Ansa – Per molti di loro era la prima manifestazione, non sapevano neppure distinguere i lacrimogeni dallo spray al peperoncino. Eppure è stata la parte più attiva, violenta e pericolosa perché davvero imprevedibile”. Sfortunatamente nei giorni successivi il racconto generale invece ha parlato solo di: fascisti, commercianti a favore o contro le proteste, il poco appassionante dibattito su “c’erano o no i commercianti in strada”, eccetera. Non una parola su quella che l’Ansa stessa reputa giustamente la notizia: la novità è la diversa composizione sociale dei manifestanti perché è il sintomo di come si stia evolvendo la società italiana e milanese. Poco tempo fa un centro studi milanese ha realizzato uno studio su come si stesse modificando la geografia abitativa della provincia milanese e il risultato era semplice: si sta concretizzando un rischio banlieue, nel senso che nelle zone periferiche si stanno concentrando gli immigrati. In parte per questioni di costo, in parte perché non hanno l’esigenza di vivere nel capoluogo. Ma il risultato è lo stesso: si sta rischiando uno schema alla francese, con Parigi circondata da paesini in cui si concentrano immigrati e le fasce più deboli della popolazione. Persone che poi si sono riversate in massa a mettere a ferro e fuoco la capitale francese rendendo noto a livello mondiale il termine banlieue. Oggi Milano rischia lo stesso effetto e come dimostra la manifestazione violenta dell’altro giorno il processo è già in atto. Con le stesse dinamiche. Però tutti preferiscono pensare alla minaccia fascista. E intanto ci si perde il presente.

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Rivolta a Napoli, Potere al Popolo: in piazza non c’era la destra

Rivolta a Napoli, Potere al Popolo: in piazza non c’era la destra. Il resoconto di uno dei portavoce di Potere al Popolo smentisce le prime ricostruzioni di una piazza spinta dalla destra. Qualche isolato personaggio c’è stato, ma nulla di rilevante. Ecco il resoconto: Ero in piazza a Napoli stasera. Non volevo scrivere nulla perché su FB si finisce a fare le tifoserie e la situazione – sociale e sanitaria – è complessa e delicata. Però sto leggendo in rete cose inaccettabili e vorrei provare a far capire, anche fuori Napoli, cos’è successo, rispondendo alle domande più comuni. Cercherò di essere obbiettivo al massimo, poi ognuno si fa le sue opinioni. Abbiate un po’ di pazienza. 1. CHE È SUCCESSO NELLE ULTIME SETTIMANE? A Napoli (ma piazze ci sono in diverse città campane) è successa una cosa semplice: sono state introdotte da De Luca misure di chiusura per certe attività commerciali senza prevedere compensazioni economiche. Per cui alcuni commercianti, soprattutto del mondo di bar, ristoranti e pizzerie, da giorni hanno incominciato a muoversi, per cercare di ottenere o che queste misure vengano ritirate, o che vengano dati dei sussidi. 2. PERCHÉ LA PROTESTA HA PRESO FORME COSÌ FORTI? Per diversi motivi: innanzitutto in questi mesi sono stati consumati risparmi, la fame è maggiore, l’esasperazione psicologica è cresciuta. All’inizio, quando a Bergamo c’erano le bare ovunque, la malattia spaventava, ora i numeri bassi dell’estate danno l’illusione che il virus sia “una semplice influenza”. Infine a marzo il Governo dava aiuti, ora ha chiarito che non ci sono soldi; De Luca che distribuì fondi a pioggia per farsi rieleggere ora non ha messo nulla sul piatto. D’altronde che queste categorie di autonomi abbiano negli ultimi anni dimostrato attitudine allo scontro (si pensi ai Forconi) deriva dal fatto che a) sia la fascia sociale che abbia visto più rapidamente decadere il suo status con la crisi (mentre i lavoratori dipendenti sono ormai pressati da decenni, iper-controllati sul posto di lavoro, spesso frenati dai sindacati nell’organizzarsi); b) la sua cultura sia egemone in Italia e in particolare a Napoli, dove esistono ancora molte categorie di autonomi rispetto ad altri paesi europei in cui la dimensione di impresa è più grossa e ci sono in proporzione più lavoratori dipendenti. 3. PERCHÉ A NAPOLI SUCCEDE STO CASINO E A MILANO NO? C’ENTRA LA CAMORRA O IL FATTO CHE I NAPOLETANI SONO BARBARI? Ovviamente no. I media nazionali si comportano come i peggiori complottisti: cercano una spiegazione elementare e morale a una dinamica sociale (come se la camorra non fosse quella ad esempio dei Centri d’analisi privati che stanno lucrando su questa situazione, dei grandi costruttori che hanno avuto appalti da De Luca, degli usurai che ora vedranno aumentare il loro potere etc…). Semplicemente a Napoli l’indebitamento di questa categoria è maggiore, i servizi forniti dalle istituzioni sono molto più scadenti, e quindi minore la fiducia che si prova, le associazioni di categorie e i corpi intermedi molto più deboli, maggiore è la pressione sociale. In ultimo, c’è una maggiore vicinanza e scambio fra sottoproletariato (quelli che vivono ai margini della società, di espedienti, di piccoli circuiti criminali) e piccola borghesia (quelli che possiedono mezzi di produzione autonomi e che possono anche “sfondare”): si passa spesso dall’una o l’altra categoria, mantenendo però quel radicamento sociale e una certa attitudine al conflitto. 4. HANNO RAGIONE A PROTESTARE? Certamente sì, chi porta la responsabilità di questa situazione è De Luca. Ovviamente bisogna precisare che quando parliamo di piccola borghesia, dentro c’è di tutto. C’è il commerciante onesto che ha pagato la qualsiasi e non ce la fa a mandare avanti la sua famiglia, e c’è l’imprenditore che incassa 15.000 euro a serata senza fare mezzo contratto ai suoi lavoratori – che piange miseria in tv ma continua a incassare (lo so per certo). C’erano in piazza a fare i capipopolo dei noti evasori fiscali e dei veri sfruttatori. E c’erano però anche i loro lavoratori a nero che si aggrappano a quello che hanno, attività a conduzione familiare, amici del quartiere che fanno una vita di merda… La maggior parte di loro ha ragione a protestare: De Luca e il Governo in questi otto mesi non hanno fatto nulla per evitare la seconda ondata che si sapeva sarebbe arrivata. Ora arrivano a chiudere – e questo, per i dati che ci forniscono i nostri compagni che lavorano negli ospedali, è ormai scritto – senza però immaginare misure di reddito e assistenza. Condannano così la gente alla fame – e ad essere arruolata dalla camorra… 5. SÌ, I MOTIVI CI SONO, MA LA VIOLENZA? In realtà da giorni c’è uno scontro sotterraneo in questa mobilitazione. Chi ha qualcosa da perdere, come i commercianti più grossi o qualche capopopolo che mira a una promozione politica, è contro la violenza e vuole intavolare una trattativa, è disposto ad applaudire la polizia etc. Segmenti più sottoproletari, invece, che frequentano anche l’ambiente di stadio e che hanno anche una propensione allo scontro organizzato con le forze dell’ordine, hanno più interesse a giocarsi una partita su quel tavolo, per vari motivi, dal puro nichilismo all’acquisizione di prestigio personale o di banda. Questa differenza oggi è esplosa in piazza, quando i cortei di fatto erano divisi in due e alcuni organizzatori hanno da subito preso le distanze dall’altro spezzone. Il punto però non è identificare i primi come buoni e i secondi come cattivi (si potrebbe rovesciare il punto di vista e dire: i primi però pensano ai fatti loro e i secondi invece esprimono un malessere complessivo). Secondo me il punto è: violenza a che scopo, organizzata come, verso chi? E’ evidente che quanto successo oggi ha i connotati di una protesta che parla solo al proprio mondo, che parla la lingua della disperazione, e che produce nel resto delle classi popolari un effetto respingente… 6. SÌ MA C’ERANO I FASCISTI, FORZA NUOVA HA DETTO DI VOLER PARTECIPARE… Io di fascisti non ne ho visti. Non escludo che qualcuno di simpatie fasciste si sia

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