Editoriali

La grande Milano passa dal ferro

La grande Milano passa dal ferro. Il sogno anni ’60 di una mobilità principalmente su gomma può finalmente  essere accantonato grazie all’ultimo progetto di cui si parla: Next, un unico sistema di trasporti tra Milano, Monza, Lodi e Pavia. La gran parte dei territori coinvolti sono già di fatto connessi socialmente e a volte anche con infrastrutture di diverso tipo: ci sono le strade, ma anche un sistema ferroviario di base nonché un sistema di vie d’acqua. E presto sarà disponibile anche un vero aeroporto cittadino con l’ammodernamento di Linate e la sua connessione via ferro alla città. Si potrebbe quindi ipotizzare davvero una grande Milano con una molteplicità di sistemi di spostamento di velocità differenti a disposizione di 4,5 milioni di abitanti delle tre province. Per non parlare di quelli che sarebbero attirati da un sistema integrato del genere che solo per come è impostato ora vale 1 miliardo di euro all’anno. La cordata di privati c’è e si dichiara pronta a partire, ma il dubbio resta: finirà in nulla come spesso accade o l’unico effetto sarà veder lievitare ancora le tariffe del trasporto pubblico locale? Il futuro della grande Milano passa dal ferro, questo è fuor di dubbio: solo le metropolitane hanno davvero trasformato le periferie in nuovi centri città. Solo il trasporto su ferro efficiente può favorire un vero sviluppo territoriale. Le auto private servono più a inquinare che a trasporti su lunga percorrenza. La Pianura Padana è stretta e lunga e su ferro la si può percorrere tutta in tre ore. Così come Linate sarà presa d’assalto ancora di più dopo la riapertura se ci si potrà arrivare in metro con due euro. Magari senza limiti di orario, speriamo noi: il ferro garantisce la possibilità di spostarsi con costi sostenibili, oltre a permettere un minor inquinamento ambientale rispetto ad altri sistemi di trasporto. La grande Milano passa dal ferro per questo: sono le rotaie a svolgere il ruolo di infrastruttura delle infrastrutture, una base in grado di sostenere milioni di persone.

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Il Rinascente tentativo di uccidere il commercio

Il Rinascente tentativo di uccidere il commercio torna alla ribalta. Rinascente e altri megastore hanno deciso di raddoppiare il black friday, ovvero l’abitudine americana di vendere una volta all’anno sotto costo i propri prodotti. Per rilanciare le vendite il celebre centro commerciale di piazza Duomo e altri hanno deciso di raddoppiare l’appuntamento suscitando la rivolta dei piccoli commercianti: «Così si danneggiano i piccoli – commenta Gabriel Meghnagi, presidente della rete associativa delle vie -. Una cosa è il black friday , un’altra le ricorrenze inventate. Chi non può fare ribassi perché finora ha lavorato poco ci rimette». Tutto legale, perché la legge consente di applicare sconti prima del 6 luglio (giorno della partenza ufficiale dei saldi), ma non per questo giusto: liberalizzare è giusto, ma forse non si è pensato a sufficienza a come bilanciare le possibilità di avere un servizio dai colossi così come dai piccoli. Se chi non può e non potrà mai competere con chi fa gli sconti, alla lunga chiuderà, ma essere costretti a rivolgersi a un unico venditore per mancanza di competitor non è libertà né concorrenza. La libertà è tale se offre una scelta tra almeno tre opzioni, ma in questi giorni stiamo assistendo all’ennesimo tentativo di uccidere il piccolo commercio. Si spera che quei pochi liberali rimasti in giro ascoltino il grido di chi lavora e non lascino cadere la città in mano agli stranieri.  

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La triste estate dello Scarioni

Una triste estate per il centro balneare Scarioni. La notizia in fondo era chiara per tutti, ma aspettavamo che qualcuno avesse il coraggio di dirlo ad alta voce. Ora è successo: “Ieri ho, abbiamo, ricevuto una brutta notizia. Molto probabilmente il Centro Balneare Scarioni non aprirà. Una doccia fredda, che forse non arriva inaspettata, ma che fa comunque molto male a chi, come me, è molto affezionato a quella piscina – ha scritto Stefano Indovino, capogruppo Pd in Consiglio municipale – È anni che cerco una soluzione per quel luogo, chiedendo chiarezza. O un investimento cospicuo del Comune e Milanosport o la ricerca di un privato interessato a rilanciare l’impianto”. Una ricerca che non ha dato frutti a quanto pare e che peserà su molti: sta arrivando un’ondata di caldo pesantissima e un centro in grado di accogliere centinaia di persone al giorno, persone che vivono nelle periferie, avrebbe rappresentato una boccata d’aria per i più sfortunati. Invece niente, si prospetta una triste estate per lo Scarioni. Difficile che il sindaco Sala se ne occupi o tiri fuori uno dei suoi conigli dal cappello. Serve un progetto serio e lungo e lui non ha tempo, nè tanto meno saprebbe dove trovare i soldi. Insomma crediamo onestamente che sia un problema al di sopra delle sue possibilità. Ci vorrebbe una predisposizione al lavoro anche per chi vive oltre i limiti del 20121 che Beppe non ha. A lui e al Pd in questi anni è interessato più chi era chic e possibilmente non povero. Quindi, temiamo, la triste estate dello Scarioni finirà solo quando la situazione sarà così compromessa da rendere necessario l’abbattimento della struttura, magari per gli ennesimi palazzoni.

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Forza Italia è ora di dimissioni o di partenze?

Giulio Gallera sembra uno dei pochi ad aver visto giusto in quest’ultima tornata elettorale. Da subito ha puntato su Lara Comi e, nonostante un’inchiesta che comunque l’ha lasciata a piede libero, lei è stata tra i campioni delle preferenze. Soprattutto in un partito in cui molti sembrano con un piede sull’uscio. Vero è che chi voleva davvero andarsene è andato, tipo Maullu in FdI e Sardone nella Lega (per altro con fortune molto diverse). Ma da Giovanni Toti in giù sono tanti quelli che sperano in dimissioni o comunque di un passo indietro del cerchio magico che non permette al leader di vedere cosa succede intorno. Ma vedremo prima un passo indietro di chi ha oggettive responsabilità sull’ultima batosta elettorale o passi verso altrove di chi ha ancora voti? Gallera è stato chiaro in una delle ultime interviste: serve un cambio, se no sono pronto a prendere un’altra strada con Toti e chi ci sta. L’assessore regionale al Welfare si è guadagnato molti appoggi oltre a quelli che già aveva grazie ai tanti incarichi che ha ricoperto. Ora bisognerà vedere come deciderà di spendere il suo futuro. E i suoi voti. L’uomo che da tanto tempo lavora alla sua candidatura a sindaco di Milano è oggi infatti in una impasse: da un lato ha un partito che, soprattutto a Milano, può ancora dire la sua, dall’altro una dirigenza (fino ad arrivare a certi capetti) che si è dimostrata incapace di agire per il bene della squadra. Presentarsi alle comunali con la stessa bandiera sarebbe quasi un suicidio se i graduati del partito non cantano una musica diversa da quella che ha portato Forza Italia a sbattere. Maullu tra i transfughi sarebbe quello che ha avuto un risultato negativo, ma forse le sue settemila preferenze sarebbero servite a Forza Italia. Per non parlare di Silvia Sardone e le sue 44,000 facevano tanto schifo? Ha quadruplicato quelle prese alle ultime regionali e all’orizzonte tra gli azzurri non sembra che ci siano nomi in grado di fare altrettanto. Visti questi due clamorosi errori, oggi come oggi che intende fare Forza Italia? E’ ora di dimissioni e di partenze?

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Cinquantamila sfumature di miopia politica

Cinquantamila sfumature di miopia politica. A Milano si festeggia o si trova il modo di festeggiare nonostante gli unici a poter brindare a cuor leggero siano i leghisti e in parte Fratelli d’Italia. I più assurdi di tutti sembrano i dem: sono contenti di avere sempre gli stessi elettori (in numeri assoluti non sono cresciuti dalle ultime elezioni) e soprattutto di confermarsi partito fighetto: festeggiano perché sono avanti di parecchi punti rispetto alla Lega, ma questo vantaggio su Milano si traduce in cinquantamila voti. Cinquantamila sfumature di miopia politica diremmo noi: avete contro un partito guidato da Matteo Salvini, , forte di due milioni di preferenze personali, e gioite per cinquantamila voti di vantaggio? Le grandi opere sono in ritardo quasi romano (la metro 4, ad esempio, doveva essere finita tutta entro il 2015), il bilancio è talmente messo male da dover aumentare ancora il biglietto Atm, nelle periferie vi odiano e voi festeggiate? Per gli amici della Lega è comunque una buona notizia, perché invece loro ci sono nelle periferie e si occupano di far aggiustare marciapiedi, aumentare i controlli, avviare nuovi servizi e via dicendo. Lavorano anche se non sono in centro, per quelle persone senza istruzioni che gli house organ democratici si divertono a sbeffeggiare perché hanno la terza media. Ai suoi inizi la sinistra voleva dire proprio stare dalla parte di chi non capiva un tubo, o al massimo solo quello. Oggi il campione è Pisapia, ricco figlio di ricchi, con la parlata da salottiero, ma che ci piace tanto perché è sempre stato molto rosso. Dentro. Nelle sue magioni il popolo ci è entrato solo come cameriere o pulisci cessi, ma tant’è. Vale forse un sesto dei voti di Salvini, ma festeggiano. Pisapia, Sala, nessuno che venga dal Giambellino. Queste periferie, che il sindaco Sala conosce così bene da farsi i selfie con i capi famiglia di chi gestisce il racket delle occupazioni abusive, in fondo alla sinistra odierna non piacciono. Ma nelle cinquantamila sfumature di miopia politica non c’è solo il Pd: Forza Italia ha tutte le sue responsabilità. I casi Tatarella e Altitonante sono stati senza dubbio una mazzata importante, ma tra capigruppo in Consiglio comunale e coordinamento cittadino non mancano ulteriori responsabilità. E sempre parlando di quelli che consideriamo altri yes man senza futuro, il pesce puzza dalla testa: sono i piani alti del partito ad aver clamorosamente cannato tutte le scelte possibili. Erano così concentrati sullo spartirsi il potere riflesso rimasto da non capire che stavano andando a sbattere. Hanno perseverato sulla strada sbagliata e inevitabilmente hanno trovato il diavolo. Il caso Sardone è stato solo uno degli esempi lampanti della capacità ormai persa di gestire le risorse: perché non trovare il modo di valorizzarla? Perché se uno brilla troppo, magari oscura gli altri. Un ragionamento da cinquantamila sfumature di miopia politica che fa capire quanto gli attuali dirigenti non siano adatti a governare: se non sanno gestire al meglio le risorse di un partito passato ormai alla cifra singola, come potrebbero mai guidare una potenza economica? Per di più in un momento di fragilità. Per il partito ormai centrista è il momento di una seria riflessione. I nomi forti sono spariti verso altri lidi e probabilmente gli ultimi li seguiranno a breve. Nel complesso, la politica milanese ad eccezione di Matteo Salvini sembra messa come le sue squadre di calcio: ci sono ancora dei tifosi, ma ormai si accontentano di risultati buoni per provinciali come la Fiorentina. Finché non ritroveranno buoni comandanti e la fame che ora hanno altri partiti, non vinceranno più niente se non buoni piazzamenti in classifica.  

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Tutto come previsto

Tutto come previsto. Il primo dato delle elezioni europee 2019 in Italia è che per una volta le previsioni erano azzeccate. Matteo Salvini è andato talmente bene che forse batterà il record storico di Berlusconi, i Cinque Stelle confermano di aver perso gran parte dei loro sostenitori (circa sei milioni in meno), Forza Italia vive ancora ma con percentuali che ricordano più l’Udc  quando andava bene, il Partito Democratico conferma di avere un solido zoccolo elettorale (il numero dei votanti è all’incirca uguale a quando c’era Renzi), Fratelli d’Italia avanza e entra definitivamente tra i partiti rilevanti, tra chi non è passato fanno capolino anche in Italia i Verdi. Per una volta dunque è andato tutto come previsto. Ora in tanti tremano perché il sovranismo in Italia, cioè Lega e Fratelli d’Italia, contano più del 40 per cento. Matteo Salvini ha tutto in mano: in Parlamento al momento è la minoranza della forza di governo e in tanti pensano che forse gli converrebbe tornare alle urne anche in Italia per confermare il risultato. Ma in fondo perché dovrebbe? E’ già nel palazzo dove voleva arrivare, esporsi ora chiedendo la presidenza del Consiglio potrebbe voler dire farsi del male da solo. A breve finirà il settennato di Sergio Mattarella, lasciateci dire che sarebbe anche ora essendo stato pure peggio del già pessimo Napolitano, e il governo del cambiamento potrebbe dunque mettere qualcuno non ex Pd (o di quell’area) sul colle più alto. Fossimo in Salvini metteremo proprio Salvini. A quel punto avrebbe il controllo anche del Parlamento, ma Salvini non può. Limiti d’età. Dunque, come gli consigliava qualcuno dei suoi, ora potrebbe essere il momento di stare dentro il Ministero a lavorare. Portare a casa altri risultati, eleggere un nuovo presidente della Repubblica e tanti altri piccoli passi per rafforzarsi nelle istituzioni dove in tanti ancora non lo apprezzano. Forza Italia cosa farà? Toti lascia, ma lo sapevano già tutti. Quanti pezzi confluiranno in Fratelli d’Italia? Meloni ha dimostrato di avere testa e consistenza. Qualcuno si sposterà nel Pd, ma anche di questo si parla ormai da anni e saranno comunque in difficoltà a passare a sinistra. C’è un certo caos in arrivo, dunque. Ancora una volta: tutto come previsto.  

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