Sugli attacchi hacker nel Lazio non ci avete capito un tubo

Sugli attacchi hacker nel Lazio non ci avete capito un tubo. Perché è da anni che chi scrive organizza corsi sulla cybersecurity per giornalisti e tutt’oggi in tantissimi “posti fissi” non ne sanno un fico secco. Perché non l’hanno mai considerata un’emergenza, così come la parte politica a cui se si parla di infrastrutture pensano alle autostrade in cemento. Come se la maggior parte delle cose che si sposta fossero le persone e le automobili e non i dati. Come se a Carini in Sicilia non ci fosse uno dei più grandi passi avanti per l’economia italiana e la regione fosse importante per gli arancini e le arance. Il Novecento va archiviato in fretta, molto in fretta, prima di veder collassare il Paese sotto il peso dell’inadeguatezza chi ha la posizione e le risorse per cambiare le cose. Non possiamo semplicemente dire “massì”, o straparlare di terrorismo di fronte a uno strumento che usa pure l’Italia. Ci sono virus su virus che l’Italia, non qualche singolo proprio pezzi dello Stato, crea e testa in nazioni di secondaria importanza. Oppure li usa per indagini nazionali e non infettando i computer altrui. Per questo diciamo che sugli attacchi hacker nel Lazio non ci avete capito un tubo. Perché chi si cimenta nell’ennesima analisi da nove colonne non ha gli strumenti culturali per affrontare il tema, si tratta di persone che segna su post-it le proprie password che tra l’altro spesso sono “123” o il nome di parenti e amici. Perché tanto cosa vuoi che succeda? Succede che se la propria sicurezza informatica viene affidata “ammiocugino” così come la creazione delle piattaforme nazionali poi pure due sfigati in Bielorussia ti possono danneggiare ben più di un bombarolo alla stazione di Bologna. Perché checché ne pensino quelli che comandano, o che credono di poter non essere toccati dalle novità del mondo, la Storia è andata avanti. E non possiamo trasformarci in una nazione da terzo mondo perché “mia nonna mica lo usa il computer”. Perché la nonna in questione deve adattarsi ai tempi come tutti, altrimenti potremmo girare a cavallo in autostrada senza problemi. Invece il Novecento ha pensionato i cavalli, tornati come nel Medioevo appannaggio di ricchi e viziosi. E ora bisogna iniziare a ragionare sul pensionare il Novecento con i suoi miti delle ciminiere che in realtà hanno distrutto l’ambiente. E sul problema della pummarola in spiaggia con il suv in doppia fila. Iniziamo a pensare a investire sulle infrastrutture vere, le reti che permettono di curarsi delle persone anche a distanza, come sarà sempre più necessario. Perché le reti non servono solo per pubblicare idiozie sui social, quella è una magnifica estrinsecazione delle creatività umana. Quella vitalità visibile proprio nella produzione di sciocchezze in qualunque contesto, ma che non deve far passare in secondo piano la vera importanza del digitale. Lo abbiamo imparato con la dad, durante la quale in tanti non avevano il segnale per seguire le lezioni. Ma perché? Perché la scuola deve essere un parcheggio per figli? Perché non si possono sviluppare sistemi diversi di organizzazione sociale? Perché sugli attacchi hacker nel Lazio non ci avete capito un tubo. Ma il prezzo lo pagheremo tutti, a partire dai laziali.

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