Dire fare continuare
Dire fare continuare. Perché un conto sono gli annunci, un conto le azioni pensate nel tempo continuo. Oggi come oggi siamo prigionieri di un eterno presente. Solo pochissimi esempi di persistenza resistono all’isteria del tempo. Tutto il resto va a ritmo di social. Soprattutto a spessore di social, cioè nullo. Ciò che accade si misura in base alla dimensione fisica di un titolo o di un’installazione: un esempio sono i sottomarini, le lumache o le mega installazioni comparse nel cuore delle città che lasciano vaghi ricordi visivi e nessuno di contenuto. Chi ricorda qual era la compagnia navale e perché installò una gigantesca prua che usciva dal Palazzo della Borsa milanese? O perché Milano si trovò cosparsa di lumache rosa giganti? O di mucche (che vennero pure “rapite)? Lo stesso effetto si ha con ForestaMI, come dimostra l’articolo di apertura di oggi. Perché un conto è distribuire migliaia di alberelli delocalizzando in stile ikea la parte noiosa del lavoro, un conto è pensare che funzioni nel tempo. Oggi forse ci sarebbe più bisogno di dire fare continuare. Perché la continuazione nel tempo è l’aspetto che dà il significato. La storia si segna con singoli eventi specifici, ma perché sono parte di percorsi di lungo respiro. Di continuazioni. Di persistenze. All’interno di questi sentieri c’è posto per interpretazioni, adattamenti al presente e tanta flessibilità, ma la strada deve essere una. Deve esserci una continuazione, altrimenti si finisce che si piantano alberi che non cresceranno. Si piantano alberi come si prende un aperitivo, proseguendo nella costruzione di una città che non ha senso. Un luogo che potrebbe pure non esistere, perché si fanno i soldi con consulenze e si spendono in cazzeggio. Dietro al continuare del nostro titolo, c’è il significato dell’anima di una città. Anima che perderemo, se non troveremo di nuovo il bandolo della matassa.
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