Djana Pavlovic

Borseggiatrici di Milano, Pavlovic (Movimento Kethane): “Questa è una campagna d’odio contro rom e sinti”

Borseggiatrici di Milano, Pavlovic (Movimento Kethane): “Questa è una campagna d’odio contro rom e sinti” . L’attivista si è rivolta all’Adnkronos per contestare la grande attenzione dei programmi Mediaset sul tema: “Questa è una campagna di odio nei confronti di tutti i rom e sinti, le borseggiatrici non sono un esercito che invade l’Italia tale da dover essere su tutte le reti della Mediaset, su tutte le trasmissioni, di fare dibattiti di ore su una dozzina di ragazze”. A parlare con Adnkronos è Dijana Pavlovic, attivista per i diritti della comunità Rom e Sinti portavoce del Movimento Kethane, sulla recente attenzione mediatica, soprattutto della Mediaset, sulle borseggiatrici rom in Italia che ha trovato spazio pure in rete e sui social. “Queste ladre – continua Pavlovic – vanno sicuramente arrestate, portate a processo, e punite, ma sono 5 settimane che se ne parla: siamo ancora in un pericolo di una guerra mondiale, stiamo affrontando una crisi energetica, economica, ambientale, una messa in discussione dei valori democratici, un aumento vertiginoso della povertà, non riusciamo a spendere i soldi del pnrr, e da più di un mese le reti Mediaset propongono come problema più importante per l’Italia e per la sicurezza nelle città le borseggiatrici rom. Dare un peso giusto alle cose non significa che non bisogna parlarne, ma bisogna farlo in maniera onesta e reale: c’è una ‘caccia’ incredibile al personaggio nei campi rom disponibile a collegarsi e a raccontare una visione della comunità ridicola, di gente che approva l’operato di ladri e borseggiatrici”. “Fanno questi servizi, mi permetto di dire, di dubbia serietà e professionalità giornalistica nelle ‘basi delle borseggiatrici’ dove trovano persone che, per ignoranza o sfinimento, finiscono per dire la cosa che serve. C’è un problema di istigazione all’odio razziale che disegna tutte le rom come criminali e borseggiatrici, e legittima le persone a filmarle, svergognarle, additarle, e addirittura ad aggredirle pure se innocenti. Questi incidenti poi finiscono in rete e amplificano la violenza. A chi andiamo a raccontare questa ingiustizia poi? Chi ci ascolta? Viviamo ancora in un sistema democratico, civile, e non passiamo aggredire con calci, pugni e spray al peperoncino queste criminali, che sono comunque giovani donne: chi fa questa violenza fa un crimine peggiore delle borseggiatrici, perché queste ragazze commettono un reato contro il patrimonio, ma chi le aggredisce commette un reato contro la persona”. “I responsabili di questo clima di terribile insicurezza per rom e sinti sono questo genere di trasmissioni, che rappresentano la nostra comunità attraverso la lente di borseggiatrici e, non contenti, di parassiti che vivono nelle case popolari, che le occupano e nessuno fa niente, che vanno nei campi a fare le basi, dove alla fine non si capisce neanche dove stanno in questi servizi che si contraddicono l’un l’altro (stanno nelle case occupate o nei campi?)”. Nella puntata scorsa di ‘Dritto e Rovescio’, e di cui ero ospite, mentre aspettavo di entrare in studio, c’erano due donne rom che condividevano le difficoltà che incontrano a relazionarsi con la stampa e i giornalisti e rivendicavano la loro estraneità ai crimini delle borseggiatrici condannandole. E mentre loro stavano parlando, il ‘sottopancia’ sullo schermo leggeva ‘le donne rom che difendono le borseggiatrici’. Io mi sono rifiutata di fare parte di questa mala-informazione e ho lasciato la trasmissione. La mia presenza a ‘Dritto e Rovescio’ dimostrerebbe, a detta della Mediaset, un par condicio di cronaca per cui io potrei dire la mia, all’interno di una macchina però costruita ad hoc per gettare fango non tanto sulle borseggiatrici, ma su tutta la comunità rom e sinti italiana. C’è quindi un problema di istigazione all’odio razziale, di sicurezza delle nostre comunità, di corretta informazione nel nostro paese, di propaganda”.

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L’8 aprile è giornata internazionale del popolo romanì

L’8 aprile è giornata internazionale del popolo romanì. A ricordarlo in questa lettera alla sua comunità di riferimento è Djana Pavlovic che scrive gli auguri per la ricorrenza dopo aver diffuso nelle scorse settimana la canzone rom antivirus: L’8 Aprile 1971 il primo Congresso Mondiale Romani, scegliendo nome, inno e bandiera, chiedeva l’autodeterminazione di rom e sinti e l’unità internazionale, spianando la strada alla rivendicazione del riconoscimento di una nazione romanì senza uno Stato. Tale affermazione è stata ufficialmente fatta al quinto Congresso Mondiale Romani nel 2001. Ma fu in gran parte ignorata dai politici, e negli anni successivi, le ambizioni per una nazione romanì svanirono. La paura e la confusione su ciò che una nazione romanì potrebbe significare hanno contribuito alla scomparsa dell’idea. Si temeva che la lealtà tra le popolazioni Rom, Sinti, Manush, Kalè e Romanichals potesse entrare in conflitto con la lealtà nei confronti del proprio Stato nazionale, e che una nazione romanì potesse essere vista come una rivendicazione territoriale che portasse all’esodo e quindi anche a spargimento di sangue. Allo stesso modo, c’è stata confusione sul fatto che una rivendicazione per una nazione romanì mettesse in discussione la nostra cittadinanza esistente o lo status di minoranza nazionale. Questa confusione si riflette ogni anno l’8 Aprile, quando, in memoria di quel congresso, si celebra la Giornata internazionale della nazione romanì. Si è perso il riferimento all’identità politica in eventi organizzati da istituzioni o associazioni che raccontano il loro lavoro sulla povertà, sull’istruzione, sull’occupazione, sugli sgomberi e sui fondi dell’UE per aiutare rom e sinti o per commemorare il Porrajmos, anche se ci sono altri giorni dedicati al lutto di questa nostra storia. Questo tipo di eventi, certo non sbagliati di per sé, non riescono però a esprimere adeguatamente il significato dell’autodeterminazione e dell’unità internazionale, entrambi al centro dell’aspirazione all’identità politica che si è affermata al primo Congresso Mondiale Romani. Questo 8 Aprile, non sarà come quelli precedenti. Gli eventi, giusti o sbagliati che siano, saranno solo online, e saranno segnati dalle condizioni drammatiche delle nostre comunità in tutta Europa ai tempi di COVID 19. Per generazioni, abbiamo vissuto in condizioni più difficili di chiunque altro. I governi e i politici ci hanno ignorato, discriminato e perseguitato. Abbiamo dato a loro i nostri voti, le tasse e lealtà ai nostri Paesi. In cambio abbiamo avuto umiliazione, razzismo e povertà come nessun altro. Ora, il virus attacca tutti, ma noi corriamo un rischio maggiore, affronteremo conseguenze più dure di chiunque altro: il rischio immediato di infettarsi nelle comunità segregate e senza appropriate condizioni igienico sanitarie; il rischio di non essere curati; il rischio di essere accusati di essere una minaccia per gli altri. Vedremo gravi conseguenze sull’educazione dei nostri figli, sulle nostre possibilità di guadagnare un reddito, il rischio di attacchi dell’estrema destra, e più diventeremo poveri, ovviamente più diventeremo vulnerabili e vittime di manipolazione politica. Ma mai come ora il profondo significato dell’8 Aprile ci sta indicando la strada. E’ una grande sfida per noi, per i nostri attivisti, per i nostri leader. In questo ultimo mese la nostra rete in Albania, Bosnia, Bulgaria, Ungheria, Kosovo, Montenegro, Macedonia, Romania, Serbia, Spagna, Slovacchia e Italia con 1200 attivisti ha raggiunto e aiutato 396 comunità per una popolazione di 1.052.316 persone. Tutto questo con una strategia comune e con principi condivisi: solidarietà, autogoverno, responsabilità e leadership collettiva. Noi, oggi più che mai dobbiamo fare la nostra parte per proteggere noi stessi, le nostre famiglie e i più vulnerabili tra di noi. Il nostro movimento internazionale deve dare la voce alle nostre comunità e organizzare il nostro potere collettivo in modo che la politica non possa più ignorarci. Questo 8 Aprile dobbiamo trovare il coraggio di affermare che ci consideriamo parte di una grande comunità, di un popolo. Dobbiamo mettere al centro della nostra lotta il nostro presente drammatico e affrontarlo non da una posizione di debolezza, apatia e disperazione, ma con dignità, fiducia e forza. Quindi Bahtalo Romano Dives, buona Giornata internazionale del popolo romanì. (Dijana Pavlovic)

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