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Elezioni 2022: che ne sarà dell’Italia?

Elezioni 2022: che ne sarà dell’Italia? Quella che nei fatti è già iniziata si prospetta una campagna elettorale aspra e senza esclusione di colpi. Sarà velocissima, la più veloce credo della storia parlamentare italiana, questo dato inciderà moltissimo sull’organizzazione e gestione dei comitati elettorali e di tutta la campagna in generale. Si ambienterà in un Paese che vive una crisi che ha pochi precedenti: pandemia che ancora perversa; crisi economica, la reazione dei mercati alla crisi di Governo era prevedibile ma le cose non sarebbero andate bene per l’Italia nemmeno se Draghi fosse stato confermato a palazzo Chigi. L’Italia, dopo la guerra di Putin e le sanzioni europee, è l’anello debole dell’Europa: ha tanto debito, una burocrazia disfunzionale con una spesa fuori controllo, e un sistema industriale sul punto di morire per mancanza di energia. La crescita sostenuta ipotizzata per il 2022 sembra un lontano miraggio: l’effetto guerra si fa sentire sul Vecchio Continente ed è solo l’inizio. Chi il 25 settembre uscirà vincitore dalle urne riceverà una pesante eredità, ci sarà bisogno di un lavoro concreto, forte, certosino. Ci sarà bisogno delle persone giuste ai posti giusti di comando, non dei soliti noti professionisti occupanti di poltrone di governi di ogni sorta, ma di capacità pervasa di passione e di voglia vera di migliorare lo stato delle cose e soprattutto di amore viscerale per la nostra Italia e i suoi figli, i nostri figli. Ed io sono fiduciosa: si può fare, siamo italiani! di Rosangela Cesareo, esperta di comunicazione e relazioni istituzionali

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Un mondo sempre più sorprendente: per una volta i politici lavorano d’estate

Un mondo sempre più sorprendente: per una volta i politici lavorano d’estate. Dobbiamo dirlo perché spesso in questo periodo storico sembra esserci un piacere morboso nel ripeterci come stiamo per morire male. Possibilmente poveri, malati e in modi terribili. Siamo la generazione cresciuta con le teste mozzate dell’Isis, le persone bruciate vive, intere nazioni ridotte peggio dell’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Siamo quelli che ricorderanno le statue distrutte in Afghanistan, Iraq, Olanda, America. Degli Stati Uniti ricorderemo le Torri Gemelle distrutte e l’assalto al Parlamento da una banda di scappati di casa vestiti da capo indiano dei film di John Wayne. Le epidemie che hanno fermato il mondo, roba con effetti più devastanti dell’Aids per il secondo Novecento. Tanto che la nuova Aids, il vaiolo delle scimmie, preoccupa molto meno gli esperti di quell’eredità del secolo passato. La crisi energetica è stabile come quella economica. Insomma la realtà fa abbastanza schifo. Specialmente per chi ha visto la fine di tempi molto diversi. E dunque ce la raccontiamo questa disgrazia chiamata presente, ma stiamo perdendo il gusto di vedere gli aspetti positivi. Dopo trent’anni di manettarismo come soluzione di tutti i mali disprezziamo la politica profondamente, tanto che persino i democratici preferiscono sostituire il Parlamento con Monti e Draghi. Eppure viviamo in un mondo sempre più sorprendente: per una volta i politici lavorano d’estate. Perché l’ultimo sussulto di vita politico ha costretto tutti i politici a organizzarsi in fretta e furia per le elezioni nazionali del 25 settembre. E allora perché non cogliere anche questo aspetto positivo? In fondo siamo bravi a sottolineare “il vero problema” “la vera emergenza” e così via. Per una volta troviamo una spigolatura positiva. I politici lavorano, pure in estate. Riconosciamolo. Non vuol dire assolverli per tutto il resto, ma solo constatare che per una volta nella grande confusione sotto il cielo c’è anche qualche spiraglio di luce.

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Le elezioni e il problema pecunia

Le elezioni e il problema pecunia. Perché questo è un tema centrale per le prossime consultazioni del 25 settembre. Da una parte c’è sicuramente il tema della poltrona: ogni chiappa sistemata sono introiti certi per chi si siede, ma pure per il suo partito. E moltiplicato per decine e decine di eletti, si parla pure sempre di milioni. Ma ancora prima di questo aspetto c’è il costo della democrazia, quello che secondo alcuni con problemi di realismo non dovrebbe esistere: ma fare una campagna elettorale costa. I volantini, le giornata in giro, la presenza su internet e sui cartelloni pubblicitari. Tutte questioni che prevedono costi, perché le persone mangiano, bevono, dormono e lavorano. Dunque vanno pagate. Checché ne pensino le persone che vivono di stipendi fissi, magari presi quando venivano dati a chiunque. E allora adesso i partiti si trovano con questa scomoda situazione da gestire. Perché la Lega ha i conti monitorati dai prelievi imposti dalla magistratura. Forza Italia non può più contare sul Berlusconi che spendeva e spandeva. Il Partito Democratico è stato devastato dalle continue scissioni che si sono portate via voti e risorse e ora ha i conti traballanti. II Movimento 5 Stelle non sa nemmeno chi si può candidare e chi no, dunque quasi potrebbe desiderare di dover discutere di pecunia. Ma tutti gli altri partiti e movimenti non sono messi molto meglio, anche perché i capi politici di solito sono bravi a spendere i soldi pubblici, non quelli che guadagnano. Ecco dunque che le elezioni e il problema pecunia si fanno più vividi: senza non si vince, ma il popolo italiano ha preferito cancellare i finanziamenti pubblici ai partiti, così ora si presentano solo formazioni politiche che devono piegarsi agli interessi degli investitori. Un colpo di genio, verrebbe da dire. Perché a meno di miracoli il problema delle elezioni e della pecunia per vincerle non potrà risolversi che così.

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