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La metropolitana 4 e il fallimento di Pietro Salini

La metropolitana 4 e il fallimento di Pietro Salini. Milano, la metropoli italiana che ha sempre rappresentato un modello di efficienza e innovazione, è recentemente diventata il palcoscenico di un’opera di promesse non mantenute e aspirazioni fallite. Il caso della Metro 4 di Milano, incompleta nonostante le promesse di essere pronta per l’Expo 2015, è emblematico. L’annuncio che il Comune di Milano acquisirà per 225 milioni di euro le quote della metropolitana dagli azionisti privati, non è solo una mossa amministrativa, ma sottolinea un epilogo di fallimento per il settore delle infrastrutture pubbliche in Italia. Pietro Salini, l’imprenditore che ha guidato questo progetto, incarna l’immagine del magnate che non è riuscito a portare a termine un’opera tanto essenziale per la città. Questa situazione solleva interrogativi profondi sulle dinamiche tra il settore pubblico e quello privato in Italia, specialmente in ambito di grandi opere. Il ritardo nella realizzazione della Metro 4 non è solo un inconveniente logistico, ma rappresenta una falla nella promessa di un progresso che avrebbe dovuto elevare la qualità della vita urbana e rafforzare l’immagine di Milano come una città all’avanguardia. È ironico osservare come Salini si sia presentato come un eroe borghese nella celebrazione dell’arrivo della Metro 4 in piazza San Babila e dell’apertura della nuova piazza. Questo atto di autocelebrazione contrasta nettamente con la realtà dei fatti: una metropolitana incompleta e una serie di scadenze mancate che hanno lasciato i milanesi in attesa. Questa discrepanza tra l’immagine proiettata e la realtà effettiva è un riflesso di una più ampia problematica nel panorama delle infrastrutture italiane, dove grandi proclami e gesti simbolici spesso nascondono inefficienze e ritardi. In questo contesto, l’acquisto delle quote della Metro 4 da parte del Comune di Milano non è solo un tentativo di salvare il progetto, ma rappresenta anche un’ammissione tacita delle difficoltà incontrate nel settore delle pubbliche infrastrutture quando queste vengono affidate a privati. È un momento di riflessione per la città di Milano e per l’Italia in generale, su come i grandi progetti infrastrutturali dovrebbero essere gestiti e su come gli interessi pubblici dovrebbero essere tutelati in queste collaborazioni tra pubblico e privato. In conclusione, la storia della Metro 4 di Milano è un monito sulla necessità di una maggiore trasparenza, responsabilità eefficacia nella gestione dei progetti infrastrutturali. Essa solleva questioni cruciali su come le alleanze tra settore pubblico e privato debbano essere strutturate e monitorate per assicurare che i progetti non solo soddisfino le scadenze, ma riflettano anche le esigenze e le aspettative dei cittadini. La vicenda di Pietro Salini, che ha assunto un ruolo quasi eroico nella narrazione della Metro 4, svela una tendenza preoccupante nel modo in cui le figure imprenditoriali possono essere percepite in Italia. L’eroismo borghese, in questo caso, sembra slegato dai risultati tangibili e dalle responsabilità reali. È fondamentale che le figure chiave nei progetti infrastrutturali siano valutate non solo in base alla loro immagine pubblica, ma anche in base al loro impatto concreto sulla società e sulla qualità della vita urbana. Il caso della Metro 4 di Milano è un chiaro esempio di come i grandi progetti possano trasformarsi in simboli di inefficienza e fallimento, nonostante le buone intenzioni iniziali. È un richiamo alla necessità di un’approfondita revisione dei modelli di gestione e di un rinnovato impegno verso la responsabilità e l’efficacia nel settore delle infrastrutture. In ultima analisi, la responsabilità di garantire che progetti come la Metro 4 siano completati in modo tempestivo e efficiente ricade su tutti gli attori coinvolti, dal settore pubblico a quello privato. È essenziale che le istituzioni pubbliche svolgano un ruolo attivo nel supervisionare e guidare tali progetti, assicurando che gli interessi dei cittadini siano sempre al primo posto. Allo stesso tempo, è fondamentale che il settore privato aderisca a standard elevati di trasparenza e responsabilità, riconoscendo che la realizzazione di infrastrutture pubbliche non è solo un’opportunità di profitto, ma anche un impegno sociale e civico. In conclusione, la vicenda della Metro 4 non è solo la storia di un progetto incompleto, ma simboleggia una più ampia questione di governance e di responsabilità nel settore delle infrastrutture italiane. È una lezione per le future collaborazioni tra pubblico e privato, sottolineando la necessità di un approccio più olistico, responsabile e orientato al benessere collettivo. Solo così potremo garantire che le città italiane, come Milano, non solo mantengano la loro efficienza e il loro dinamismo, ma diventino anche esempi di sviluppo sostenibile e inclusivo per il futuro.

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La Mazzata di Fine 2023: Tra Tasse, Assicurazioni e Connessioni Oscure

La Mazzata di Fine 2023: Tra Tasse, Assicurazioni e Connessioni Oscure. L’affrontare tasse e aumenti derivati da guerre non previste è solo l’inizio di una serie di sfide che il cittadino medio si trova ad affrontare. L’obbligo di assicurare ogni oggetto con ruote é un’ulteriore mazzata da parte del governo europeo e quello italiano, che solleva interrogativi sulla loro equità: chi realmente ne beneficia? Mentre il settore assicurativo sembra essere il primo ad approfittare di questa nuova normativa, la situazione rivela una connessione oscura con il mondo bancario. Le banche, apparentemente estranee a questo obbligo, saranno coloro che guadagneranno di più? Una riflessione sulla tanto discussa “tassa sugli extraprofitti” fa emergere dubbi sulla sua vera natura e sull’efficacia nel proteggere i cittadini. La modifica della tassa, trasformata in una misura di ristrutturazione sotto la pressione delle banche, pone l’accento sulle scelte difficili che le istituzioni finanziarie devono compiere. Ma chi ne soffrirà veramente? L’utente, costretto a pagare il prezzo di una ristrutturazione che sembra privilegiare le banche piuttosto che il bene comune. La stretta connessione tra banche e assicurazioni emerge chiaramente, con le prime che estendono i loro servizi in modo pervasivo. L’obbligo di tracciabilità, una diretta conseguenza di questi accordi, sembra portare profitti considerevoli alle banche. Una situazione che solleva domande sulla trasparenza e l’equità dietro le decisioni governative. Il tentativo passato di Matteo Renzi di detassare o abbassare la soglia a 100 euro per agevolare le piccole attività ha suscitato perplessità. Il suo misterioso declino di supporto all’interno del partito ha lasciato un chiaro messaggio: le banche rimangono intoccabili, ma a quale costo per il bene pubblico? L’idea che una breve inattività o blocco delle transazioni possa destabilizzare l’intero settore bancario è intrigante. Sarebbe sufficiente un breve periodo di 48 ore per far perdere miliardi al settore, spingendo governi e banche a una profonda riflessione. Cosa succederebbe se tutti decidessero di agire in modo coordinato per far valere le proprie preoccupazioni? Con l’entrata in vigore della nuova normativa il 23 dicembre 2023, ci prepariamo a una fine d’anno che eroderà ulteriormente il tesoretto italiano. Cosa ci riserverà il 2024? Una domanda che rimane sospesa nell’aria, mentre i cittadini si preparano ad affrontare le incertezze di un futuro sempre più legato alle decisioni delle istituzioni finanziarie. Buon 2024

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Terre D’Oltrepò. Piano strategico quinquennale per il rilancio della cooperativa vinicola e del territorio dell’Oltrepò Pavese

Terre D’Oltrepò. Piano strategico quinquennale per il rilancio della cooperativa vinicola e del territorio dell’Oltrepò Pavese. Con un valore totale del mercato del vino in Italia nel 2022 di circa 14,2 miliardi di euro, di cui il 60% proveniente dall’export, emerge la necessità di affrontare le sfide per mantenere e migliorare la competitività. La missione di Terre D’Oltrepò è quella di creare un polo vinicolo industriale integrato e sostenibile, in grado di catalizzare e valorizzare le risorse inespresse del territorio. Il rilancio del Gruppo si concentra principalmente sull’incremento della capacità produttiva e industriale, con un focus particolare sulla qualità del processo produttivo, che dovrà essere trasparente e certificato ad ogni passo. Il modello di riferimento è quello dello Champagne, dove un singolo centro di pressatura ha dimostrato di catalizzare e incrementare la capacità produttiva dell’area. L’obiettivo è aumentare la capacità produttiva acquisendo nuovi soci oltre i 5.000 ettari di contribuzione attuale, che includono sia l’Oltrepò Pavese, sia i Colli Piacentini. Chiediamo al nostro collega Paolo Brambilla, Consigliere dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, che ha visitato recentemente le cantine di Terre d’Oltrepò, come si sta rinnovando il posizionamento del brand della grande cooperativa vinicola. “Il mercato del vino italiano è un affascinante mondo in cui tradizione e innovazione si fondono per creare un’esperienza unica” ci dice subito. E aggiunge che le etichette italiane raccontano storie di territorio, cultura e passione. Le cantine, spesso gestite da famiglie per generazioni, sono autentiche custodi di tradizioni millenarie. Ma nonostante la forte radicazione nella storia, il mercato del vino italiano è tutto tranne che statico: nuove generazioni di enologi stanno portando innovazione e creatività nel settore. Le bottiglie italiane non sono solo sinonimo di eccellenza, ma anche di avventura e sorpresa. E Paolo Brambilla continua: “Terre d’Oltrepò sta rinnovando l’approccio con il mercato grazie all’arrivo del nuovo CEO, Umberto Callegari, protagonista di una carriera internazionale di grande prestigio: il suo ruolo di World Wide Commercial Lead di Customer Transformation presso Microsoft lo ha visto guidare un team di 400 advisor strategici, svolgendo un ruolo cruciale nella trasformazione digitale di Microsoft: sotto la sua guida, la pipeline aziendale ha raggiunto i 20 miliardi di dollari con un ROI di circa 1:80 evidenziando la sua abilità nella creazione di nuovi ricavi e modelli di business in contesti globali e complessi. Ora Umberto Callegari si trova al timone di un’impresa vinicola con un enorme potenziale. Il suo approccio manageriale e strategico si riflette nella visione a cinque anni, dove prevede un completo cambiamento del modello operativo, investimenti nell’industrializzazione del gruppo e una focalizzazione su uno sviluppo sostenibile, margini accresciuti, internazionalizzazione del business e la creazione di una rete di partner strategici”. Attualmente, il costo del capitale investito nelle operazioni vinicole è superiore al suo ritorno, principalmente a causa della polverizzazione delle aziende. L’approccio proposto da Terre D’Oltrepò è quello di gestire il vino come un’estensione dell’industria manifatturiera ed alimentare, con investimenti mirati in tecnologia e cultura, portando l’industria del vino a privilegiare il ruolo dei produttori. “È stata una scelta di cuore” ci confida il dott. Callegari. ”Essendo nato e cresciuto in Oltrepò, era logico arrivare alla più grande cantina cooperativa della Lombardia: mi ero sempre chiesto come fosse possibile che, mentre il vino italiano ha avuto uno sviluppo così incredibile nel mondo, l’Oltrepò non lo avesse ancora avuto”. Gli impatti tangibili dell’operato di Terre D’Oltrepò sono già visibili. “Però resta il fatto che oggi non siamo in grado di fare sistema” commenta Umberto Callegari “ e questo si riflette anche nel mondo del vino. Il vino italiano vale in tutto circa 14 miliardi di dollari: il primo produttore italiano, che è CIV, fa 700 milioni, il primo produttore mondiale, Castel Group che è francese, genera circa 16 miliardi di fatturato annui da solo”. Parlando dei cambiamenti internazionali, ha sottolineato poi il drammatico impatto delle condizioni postBrexit nel mercato UK, con accise in aumento e vendemmie sempre più calde a causa del surriscaldamento globale. “O noi creiamo un polo industriale capace di catalizzare la nostra capacità produttiva e di creare un cambiamento culturale di modello operativo passando da logiche di puro prodotto a logiche di servizio end to end, da aggiungersi all’investimento in eccellenza operativa e branding, oppure il futuro non sarà roseo, non solo per l’Oltrepò ma, credo, per il sistema del vino italiano”. Terre D’Oltrepò ha delineato il proprio impegno verso la creazione di una piattaforma vinicola in grado di fornire “operations as a service” per soci e partner, specialmente per il metodo classico da uve Pinot Nero, senza dimenticare la necessità di un approccio congiunto tra aziende, sindacati, associazioni e politica per realizzare la visione di Terre D’Oltrepò, capofila della prima filiera enologica integrata e circolare della Lombardia.

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