Salgari e Brooke non si (ri)conoscono nell’isola sommersa

Anche la Malesia ha il suo fim epico all’hollywoodiana. Giustamente Ai confini del mondo, del regista statunitense Haussman in una cineproduzione che vede, nell’anno del loro massimo attrito, ancora collaborare angloamericani, malesi e cinesi, è incentrato sul grande eroe locale, James Brooke, il Rajah bianco, sterminatore di pirati. Al terzo tentativo la Brooke Heritage Trust dei discendenti, l’ottantunenne artista Lionel ed i figli Jason e Laurence, tornati a Kuching, capitale del Sarawak fondata dal trisavolo, solo nel 2011, è riuscita a mettere sullo schermo le gesta del sovrano inglese d’India. Il primo tentativo era stato il progetto di documentario The life and times of Sir James Brooke of Sarawak del filmaker bolognese Cavazza per la sceneggiatura dell’artista Zecchini. Poi la Margate House Films aveva annunciato nel 2017 la cinebiografia per mano del regista russo Bodrov ma solo ora esce il titolo (non proprio nuovissimo, Edge of the world, il confine del mondo) grazie al pool riunitosi attorno all’amministrazione di Sarawak che ha potuto contare sulla digitalizzazione dell’archivio di Brooke. Non deve meravigliare l’entusiasmo con cui sono stati accolti gli ultimi (non) pretendenti al trono bornese; malgrado che due passi, nel minuscolo Brunei ci sia il sultano Hassanal Bolkiah, il monarca più ricco della terra, nella più grande palazzo del mondo, che ha introdotto ultimamente anche una sharia stretta e che è pure Ammiraglio onorario della Royal Navy. Nell’ampia parte del mondo, quasi tutta non europea, influenzata dagli anglosassoni, James Brooke resta un mito su cui escono biografie a getto continuo e che hanno ispirato una messe di autori da Conrad a Coppola, da MacDonald Fraser a Kipling. Nell’epoca del politicamente corretto, è tornata utile la riscoperta della sua omosessualità, che prima veniva fatta passare per un’invalidità dovuta alle ferite ai genitali, ricevute nella guerra anglo birmana del 1825. Le sue passioni vengono ricordate in India, Uk e Malesia dove si strinse ad un nobile cortigiano del 23° sultano del Brunei, Saifuddin II. Questo amore nel film diventa la passione omosessuale per Brooke (non ricambiata) dello zio del sultano, il Rajah Hashim, che nella realtà storica fu un prezioso alleato per l’inglese d’India, permettendogli di conquistare, poco a poco, la corte malese, con l’esplorazione di più di cento chilometri di costa del Borneo e del fiume Sarawak, con la repressione di quella che oggi chiameremmo rivolta sindacale dei minatori di antimonio e carbone contro Hashim e con la vittoria su nemici molto diversi tra di loro come i pirati della costa, i daiacchi ribelli detti uomini serpente, capitanati dal rivale Rajah Mahkota, ed i cinesi repressori degli stessi daiacchi. Per altro verso anche il quadretto romantico dell’amore dell’avventuriero per la bella malese Fatima, nipote del sultano, che Brooke sposò con rito islamico, avendone la figlia Fatima Brooke, risulta utile per sottolinearne l’anticolonialismo addirittura antinglese (di un Sir, cavaliere della Regina!), il pacifismo, l’amore per i fidati daiacchi tagliatori di teste, storicamente oppressi da cinesi e indiani, che Brooke preservò anche dai tentativi di conversione dei missionari cristiani (ma i civil servant erano tutti d’origine inglese). La passione del Rajah bianco per le effettive bellezze naturali della jungla sarawakiana, su cui si sofferma il film, è confermata da naturalisti come Wallace, Hooker ed il nostro botanico fiorentino Beccari che gli dedicarono le scoperte di nuove farfalle, piante carnivore e ben 130 specie di palme. Nell’avanzata colonialista ottocentesca in Asia, in presenza di regni organizzati e secolari, era una prassi la conquista mascherata da concessioni e rapporti di vassallaggio ad opera di coloni, armatori, militari e commercianti avventurieri. L’americano Lee Moses si prese dal Brunei in concessione il Sabah o Nord Borneo, dalla baia di Kimanis al fiume Seboekoe (passato poi al compatriota Torrey, Maharaja del Borneo del Nord, poi nel 1878 all’austriaco von Overbeck, Maharajah di Sabah e raja di Gaya e Sandokan, infine nel 1891 al britannico Dent). Anche il sultanato arabo di Solu fece la stessa fine mentre quello di Sambas che contendeva a Brunei la sovranità virtuale sull’inesplorato Sarawak, andò agli olandesi. Brooke era quindi in buona compagnia. Il Royalist, corvetta armata da 6 cannoni, gli permise di dettare legge sul Sultano, in difficoltà tra ribellioni, potenze coloniali e sfruttamento minerario di oro e carbone su terre in effetti poco conosciute; e gli venne concesso per 2500 sterline un Raj, governatorato sotto teorica autorità imperiale. Se non era pacifista, come lo descrive il film, Brooke però era nipote acquisito di Saifuddin II, uno di famiglia, insomma; il che gli permise di ottenere la piena sovranità su Sarawak da un lato, mentre si rifiutava, dall’altro, di cedere il trono alla Compagnia delle Indie cui consegnò solo l’isola di Labuan di cui venne nominato governatore. La sua vicenda, unica e da romanzo, diede origine ad una dinastia, durata un secolo. fino all’abdicazione di Anthony. Proprio come i monarchi inglesi della regione afghana del Kafiristan, raccontati da Kipling ne  L’uomo che volle farsi Re del 1888. La sua corte nel palazzo Astana a Kuching era pittoresca e stravagante, carica di esotici arredi europei e cineserie, con tutta la varietà delle tribù bornesi e la fedele ed adorante guardia daiacca acconciata con le decorazioni di guerra. Per gli inglesi nati in India come James, originario di Benares sulle rive del Gange, già sottufficiale del VI° Fanteria Indigena dell’esercito del Bengala della Compagnia delle Indie orientali era normale l’abitudine alle pratiche schiavistiche, poligami religiose locali, una promiscuità fisica e mentale assai poco vittoriana, che poi non impediva di garantire ordine e repressione. Ad un certo punto questo caravanserraglio acristiano scatenò il discredito inglese contro l’avventuriero sottufficiale, troppo poliforme. Pacifista che sparava con cannoni navali; scapolone gay, sposato musulmano, con due figli (oltre Fatima, ebbe George da una cameriera inglese riconosciuto tardivamente); Sir colonialista alfa ma nipote del Sultano. L’anatema però glielo diede nel 1896, Salgari ne I pirati della Malesia, terza opera del suo ciclo indomalese. Lo scrittore veronese tratteggiò il personaggio, realmente esistito, a trent’anni dalla sua morte avvenuta in Inghilterra mentre a Sarawak regnava il nipote Charles. L’ira salgariana non era

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