Dati e illusioni, il paradosso della conoscenza

Dati e illusioni, il paradosso della conoscenza di Alessandro Capezzuoli funzionario ISTAT e responsabile osservatorio dati professioni e competenze Aidr Un dato è un dato, due dati sono un’osservazione, tre dati sono conoscenza. Detta così, a freddo, senza un’opportuna contestualizzazione, può sembrare una frase rubata a una puntata della serie televisiva The Big Bang Theory. Cosa da non escludere a priori, peraltro. In realtà, si tratta di una riflessione maturata in questi due anni di vita sospesa, anni in cui ogni singolo dato, anche il peggiore, è stato spacciato per un’illusione di verità, una finta conoscenza, e la scienza è diventata un nuovo dio in cui credere, un’entità soprannaturale che ha permesso di agire in suo nome per ridefinire le regole di comportamento della collettività. Questa divinità si è palesata sotto forma di affermazioni spericolate e di dati spesso imprecisi, confusi, ricchi di errori, di omissioni e di evidenze smentite a colpi di contraddizioni, di false rassicurazioni e di finte certezze. Lo dico subito, così sgombriamo il campo da qualsiasi dubbio: io non ho bisogno di un dio scientifico in cui credere e considero questa nuova religione, che sfiora lo sciamanesimo e la cialtroneria, ben più pericolosa delle vecchie religioni a cui almeno va il merito di aver avuto Gesù Cristo o Buddha come leader rivoluzionari al comando. Non metto i like ai tweet dei virologi perché ho dei riferimenti diversi, più autorevoli, e considero la ricerca scientifica una faccenda troppo seria, che si fa nei laboratori e non può essere ridotta a dei ridicoli annunci pubblicitari diffusi sui social network o nei salotti televisivi. Insomma, sono uno di quegli inguaribili nostalgici che vedono nella ricerca scientifica il mezzo per arrivare “gratis” alla conoscenza. E quando dico gratis intendo dire che rinnego qualsiasi forma di profitto associata speculativamente alla parola scienza. La conoscenza deve essere alla portata di tutti, un po’ come l’amore. Ma cosa è, esattamente, la conoscenza? In modo semplicistico, si potrebbe dire che la conoscenza è la risposta a un qualche tipo di domanda. Domandare permette di capire, e capire consente di conoscere. Di sopravvivere. Di migliorare.Di evolversi. Si può vivere senza amicizie, senza un braccio, perfino senza amore, ma non si può vivere senza domandare e senza cercare delle risposte. È chiaro che ci sono domande e domande: non a caso si dice che è meglio avere domande giuste e risposte sbagliate piuttosto che il viceversa. Cosa si domanda, a chi si domanda e cosa ci si aspetta dalla risposta rappresentano i cardini su cui si basa il processo che porta alla conoscenza. – Come ti chiami? – Alessandro. Alessandro è un dato. Un dato che mi descrive in minima parte e che potrebbe essere integrato da un insieme di altri dati, quali possono essere l’età, la corporatura, il colore degli occhi e un’invidiabile testa diversamente tricotica e fantasiosamente pettinabile, per fornire una descrizione più precisa. Alessandro è anche una risposta. Ma a cosa serve una risposta di questo tipo a chi ha posto la domanda? Sicuramente non serve a conoscere tutti gli uomini che si chiamano così. Non fosse altro per un’evidenza empirica, oserei dire una falsificazione, dimostrabile facilmente: esiste almeno un altro Alessandro che fa di cognome Barbero e ha dei capelli maledettamente folti. Una foresta. Sembra un playmobil con gli occhiali. Ne consegue che avere o meno i capelli è anch’esso un dato importante ma insufficiente per conoscere tutte le persone che si chiamano Alessandro e tantomeno per distinguere un Alessandro da tutti gli altri. Si potrebbe obiettare che la questione, posta in questi termini, è alquanto capziosa: per distinguere una persona da tutte le altre basta aggiungere il cognome, la data e il luogo di nascita e il problema è risolto. A parte il fatto che uno scrittore non cerca obiezioni ma conferme, e non cerca detrattori ma discepoli, l’obiezione è corretta. In parte. In parte perché potrebbe esistere un altro Alessandro, con lo stesso cognome, nato nello stesso luogo e nello stesso giorno. Ma non è questo il punto importante. Anche avendo a disposizione dei dati identificativi precisi, si potrebbe affermare di “conoscere” realmente Alessandro? Un fisico direbbe che il nome, il cognome, la data e il luogo di nascita sono volgari convenzioni introdotte dall’uomo e che non hanno nessun valore scientifico. Ma voglio dissociarmi da me stesso e di conseguenza dai fisici. Dirò che la volgare convenzione, l’identificativo, può essere utile durante un interrogatorio o per notificare una cartella esattoriale, ma di certo non è utile per conoscere la persona a cui si chiede il nome. Escluderei anche l’opzione “riscossione”, a meno che non vi piaccia essere contornati da quegli amici che Campbell, facendo ricorso agli archetipi mitologici, piazzerebbe irrimediabilmente tra il mutaforme e l’imbroglione. Se vi state chiedendo voglio proprio vedere questo cretino dove vuole arrivare, vi rispondo che il cretino vuole arrivare a mostrare un’evidenza banale: un dato, da solo, non serve quasi mai a nulla. Anche quello che può sembrare importantissimo, che so, la temperatura corporea o il numero di globuli bianchi, non fornisce risposte certe su eventuali patologie e di conseguenza sulla conoscenza di un fenomeno correlato. Direte: “Quindi?”. Quindi usare i dati a sproposito, senza metodo, non serve a granché, specialmente quando l’utilizzo è finalizzato a supportare dimostrazioni e ipotesi fraudolente. Per rendervi conto di quanto sia ricorrente il ricorso truffaldino ai dati parziali e incompleti in un discorso, basta accendere la TV e sintonizzarsi su qualche rarissima trasmissione in cui si parla di Covid. Se avrete la fortuna di cogliere uno degli sporadici attimi in cui compaiono “gli scienziati”, avrete anche il privilegio di comprendere meglio il senso di questo articolo. E dei dati. Se io dico che è stata superata la soglia di allerta del 10% di occupazione delle terapie intensive, ho fornito un dato. Un dato allarmante, però, attraverso il quale posso creare paure e pregiudizi amplificati dai media e dai toni catastrofici. Se però aggiungo che la soglia di allerta, negli ultimi tempi, a seguito di decisioni che sembrano prive

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