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Due italiani e un marocchino arrestati per spaccio

Venerdì pomeriggio gli agenti delle volanti hanno arrestato un cittadino marocchino di 24 anni ed uno italiano di 50 anni per detenzione e spaccio di droga. I poliziotti, intervenuti per la segnalazione di due persone sospette nei pressi delle cantine di un condominio in via Chiarelli, hanno individuato i due che, una volta perquisiti, sono stati trovati in possesso di 2 dosi di eroina e 200 euro. All’interno della cantina in uso ai due, i poliziotti hanno trovato 480 grammi di marijuana. Gli agenti delle volanti della Questura e del Commissariato Quarto Oggiaro hanno invece arrestato un cittadino italiano di 22 anni per detenzione e spaccio di droga. I poliziotti, intervenuti nell’appartamento con un’unità cinofila della Polizia, hanno trovato il ragazzo in possesso di 93 grammi di hashish e un bilancino di precisione

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Due italiani arrestati con mezzo chilo di cocaina

Sono stati arrestati in flagrante dalla polizia, rispettivamente con mezzo chilo di cocaina e 1.450 euro in contanti, durante l’atto di compravendita della droga. È successo ieri pomeriggio, protagonisti un 39enne e un 40enne, entrambi italiani (il secondo di origini marocchine), arrestati con l’accusa di detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio in concorso. Gli uomini della squadra mobile hanno notato il 39enne giungere da viale Forlanini con uno scooter, per poi fermarsi in via Ardigò. Lì lo ha raggiunto il secondo uomo, arrivato a bordo di un’auto. Gli agenti hanno assistito allo scambio di cocaina, avvenuto all’interno della vettura in sosta: il 39enne, pluripregiudicato, riceveva il panetto da 500 grammi dal guidatore dell’auto. All’intervento della polizia, il primo ha tentato la fuga a piedi ma è stato subito raggiunto e bloccato dagli agenti. Il secondo è stato trovato in possesso di 1.450,00 euro in contanti.  

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Un equadoregno e due italiani arrestati per resistenza a pubblico ufficiale

Ieri mattina gli agenti dell’Ufficio Prevenzione Generale della Questura, durante il controllo del territorio, hanno notato un gruppo di persone discutere animatamente in via Lampedusa. I cittadini di origine sudamericana, alla vista dei poliziotti si sono dati alla fuga. Gli agenti sono riusciti a fermarne uno, cittadino dell’Ecuador di 31 anni, che ha reagito in modo violento al controllo. Il 31enne è stato così arrestato per resistenza a Pubblico Ufficiale. La scorsa notte, due cittadini italiani, uno di 18 e l’altro di 21 anni, si sono resi responsabili di resistenza a Pubblico Ufficiale. I due giovani alla vista della volante hanno imboccato una strada contromano. Gli agenti li hanno inseguiti e fermati e in seguito al controllo è risultato che lo scooter fosse rubato. A quel punto, i due cittadini hanno reagito violentemente. Sono stati arrestati per resistenza e denunciati in stato di libertà per ricettazione.  

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Quando a Milano i migranti erano italiani e vivevano nelle coree

Studiando i fenomeni migratori che nel corso del tempo hanno interessato la nostra città mi sono imbattuto in un termine che non avevo mai sentito pronunciare, nemmeno dai più anziani fra i milanesi che frequento: le “coree” di Milano! Si tratta di uno di quei fenomeni che gli studiosi di tradizioni locali sono soliti nascondono sotto il tappeto della storia. Ebbe inizio intorno al 1951 quando gli immigrati provenienti da tutte le parti d’Italia in cerca di lavoro e di un futuro migliore, dopo avere abbandonato le loro realtà rurali, vennero a insediarsi nei dintorni di Milano. Molti di loro appena arrivati cominciarono a costruire piccoli nuclei di case abusive nelle campagne ai margini delle periferie cittadine, agglomerati che i milanesi cominciarono a chiamare per l’appunto “coree”. Da cosa sia derivata questa denominazione non è dato saperlo, ho letto tutto (quel poco) che mi è stato possibile trovare sull’argomento, ma nessun testo lo chiarisce.  All’epoca solo un libro “Milano, Corea, inchiesta sugli immigrati” edito da Feltrinelli – si occupò di approfondire la condizione di quelle persone, ma molti dei contenuti, soprattutto le riflessioni, sono condizionati dal pensiero spiccatamente di sinistra con cui gli autori affrontarono la questione. Scritto da Danilo Montaldi, sociologo e militante dell’estrema sinistra, in collaborazione con Franco Alasia, un operaio metalmeccanico autodidatta di Sesto San Giovanni (per chiarire l’entroterra culturale), il libro si presenta come un’inchiesta sul campo ricca di interviste e scorci di vita reale. Fatta la debita tara ideologica, è sicuramente uno strumento prezioso per capire di cosa stiamo parlando. In esso si racconta di siciliani, calabresi, pugliesi, ciociari, campani, ma pure di genti del sud-est che spesso faticavano a parlare e comprendere l’italiano ed erano in buona parte analfabeti. Paradossalmente la loro condizione abitativa era addirittura peggiore di quella degli immigrati odierni visto che per loro non fu previsto nessun sistema di accoglienza. Quasi tutti arrivavano senza soldi in tasca e, non potendo permettersi un alloggio in affitto, finivano per occupare cascine fatiscenti, abbandonate da chi le aveva abitate o con il costruirsi baracche fatte di mattoni e lamiere prive di allacciamenti alle fogne e all’energia elettrica. Non c’è da sorprendersi se le foto di come nel recente passato abbiamo accolto nostri connazionali a Milano si contino sulle dita di una mano: non c’è nulla di cui andare fieri. C’era anche un motivo pratico nel formarsi di queste comunità: loro malgrado, pur essendo italiani, gli immigrati si trovavano nella condizione di “irregolari” a causa di alcune leggi comunali istituite durante il ventennio fascista. Allora non esisteva una legge nazionale che regolasse flussi migratori dall’estero poiché erano in pratica assenti ma molte regole locali atte a gestire i flussi migratori interni allo Stato. Milano fino al 1961 mantenne in vigore una “norma contro l’urbanesimo” che stabiliva fosse necessario avere un lavoro per ottenere la residenza a Milano ed essere già residenti per essere assunti. Un serpente che si mordeva la coda che solo le cooperative non erano tenute a rispettare. Fu così che grazie all’aiuto di sindacalisti, intellettuali di sinistra, imprenditori interessati alla nuova manodopera disponibile in quasi tutte le “coree” nacquero delle cooperative che permisero agli immigrati di trovare un lavoro grazie al quale riuscirono a inserirsi nel organizzazione sociale milanese. Con il sempre maggior numero di occupati che potevano permettersi di affittare se non una casa almeno un alloggio, e l’abolizione della norma sull’urbanesimo, nel giro di un decennio l’utilità delle “coree” venne a mancare e ben prima della metà degli anni “60” anche l’ultima venne rasa al suolo. Di esse non fu conservato quasi nulla, poche foto, un unico libro che ne parla e chi vi aveva vissuto volle dimenticarsele in fretta quasi quanto chi aveva consentito esistessero.  

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Aumenta il numero degli italiani poveri assistiti da Caritas

Continuano a crescere gli italiani poveri che vengono aiutati da Caritas Ambrosiana. L’ultimo report “La povertà nella diocesi ambrosiana”, pubblicato sul sito di Caritas Ambrosiana, “mette in luce un ulteriore incremento dei nostri connazionali nella rete di assistenza ecclesiale. Pur rimanendo maggioritari gli stranieri, gli assistiti di nazionalità italiana sono passati dal 36,6% del 2016 al 39,7% del 2017“. “L’aumento di 3 punti percentuali in un anno – sottolinea Caritas – conferma una tendenza iniziata con la crisi economica che ha colpito anche il territorio della diocesi milanese (Milano, Varese, Lecco, Monza, relative provincie, e una parte dei comuni del Comasco). Significativo il confronto dei dati negli ultimi dieci anni. Gli utenti di nazionalità italiana che si sono rivolti al campione dei centri di ascolto Caritas presi in esame dalla ricerca sono aumentati sia in termini di incidenza percentuale, passando dal 24,5% del 2008 al 39,7% del 2017, sia in valori assoluti, passando da 3.879 a 4.499. Nei 54 centri di ascolto del campione (un settimo del totale) su cui ogni anno viene condotta la ricerca – prosegue Caritas – si sono recati dunque in 10 anni 620 utenti in più di nazionalità italiana. Considerando il numero complessivo dei centri di ascolto presenti in diocesi (380), si può stimare che circa 3.500 connazionali si siano aggiunti agli assistiti di Caritas Ambrosiana“. “Il dato riflette il peggioramento delle condizioni di vita di molti italiani a seguito della crisi economica – è la considerazione di Caritas-. Non è un caso che il principale bisogno rilevato sia il lavoro. D’altro canto, la minore presenza in termini percentuali degli stranieri nei centri di ascolto è stata resa possibile dalla creazione dei centri di accoglienza prefettizi e comunali di cui fa parte il sistema di accoglienza diffusa creato in Diocesi dalle prime avvisaglie della crisi migratoria e che ora rischia complessivamente di essere colpito dai nuovi orientamenti del governo, a partire dal Decreto Sicurezza. Gli italiani – evidenzia ancora l ‘ indagine – sono in genere i più anziani tra gli assistiti (solo il 15,6% ha meno di 34 anni, a fronte del 29,2% degli stranieri comunitari e il 40,6% degli extra-ue) e possiedono un titolo di studio inferiore (il 14,2% ha un diploma a fronte del 24,4% dei comunitari e del 20,4% degli extracomunitari e del 32% degli irregolari)“. “Indubbiamente gli italiani impoveriti sono i soggetti più deboli, che hanno maggiori difficoltà a reinserirsi nel mercato del lavoro e quindi rischiano più facilmente di diventare cronici e di accumulare frustrazione e rancore nei confronti dei nuovi venuti. Non serve mettere gli uni contro gli altri: occorre una politica di contrasto alla povertà. Per evitare che italiani impoveriti e stranieri poveri competano per la sopravvivenza; non servono slogan o misure ad effetto, ma una seria politica di contrasto alla povertà“, commenta Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.

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