La nebbia lontana dopo le elezioni russe

L’Assassino ha incontrato il suo Accusatore e l’ha convinto a firmare un piano congiunto contro i soliti hacker. Soprattutto ha ottenuto il consenso americano al Nord Stream II, capitanato da un vecchio collega di spionaggio del neozar russo. Poi la Merkel all’abbandono del suo ruolo storico di leader europa e tedesca, ha salutato il partner russo, con il lascito, direttamente sul suolo teutonico, di un gasdotto potenziato, che raddoppierà le vendite energetiche russe nell’Europa più ricca. L’UE nel ’90 importava da Mosca il 55% dell’energia necessaria; era scesa al 27% nel 2010, risalita al 30% proprio dopo le sanzioni ed oggi tornata ai valori quasi massimi del 41%. Dopo l’abbandono del nucleare tedesco, si impennerà ulteriormente. I prossimi passi del Macron francese, destinato ad una veloce scomparsa dalla politica transalpina, lo condurranno in braccio a Mosca, ora che l’ira parigina per gli accordi militari tutti anglosassoni del Pacifico è al massimo. Le elezioni per la Duma non potevano tenersi in un momento migliore per Putin, dopo il dribbling del voto recente americano e delle decisioni fondamentali tedesche, prese ancora prima del loro voto. E soprattutto a poche settimane dal disastro afghano Usa, terribile per sostanza ed ancora più per forma.  Così lo zar, dopo essersi garantito il Cremlino teoricamente fino al 2036, ha presentato il suo partito, o meglio di Medvedev, al voto popolare. Per un annetto, l’Europa ha evocato il de profundis per Edinnaia Rossia e Limes di Caracciolo si è spinta a vaticinare un futuro a pezzi per il gigante orientale. Quasi un decennio di sanzioni diplomatiche ed economiche contro il paese, ma anche contro 155 persone (grandi politici, militari, consiglieri municipali, giornalisti, burocrati, imprenditori, qualche starletta portavoce e pure lo scomparso Kobzon, il Sinatra russo), l’esclusione dal G8, contestate elezioni bielorusse con strascico di repressioni anche aeree e la colpa storica (assieme ai soliti tedeschi) dell’ultimo conflitto mondiale hanno costituito la base per l’indignazione massima per le persecuzioni subite dall’oppositore Navalny, erede del caso Khodorkovsky, (contestato tentativo di omicidio, cura tedesca, nuova condanna e nuovo imprigionamento in Russia, ulteriori  proteste  e repressioni). Una sorta di drole de guerre froide senza sbocco. Il tempo della condanna morale è stato però scelto male, troppo in anticipo. Passate le forche caudine americane e tedesche, tra le inutili proteste polaccobaltiche, mentre cresceva il pericolo cinese, le elezioni russe del 17-19 settembre con l’ineguagliabile cinismo russo, hanno visto Navalny in galera, il suo partito, Russia del futuro, considerato terrorista ed i social occidentali obbedienti nel bloccare siti, chatbot, messaggi dell’Umnoe golosovanie, lo Smart voting, che avrebbe dovuto coalizzare tutti i nemici del partito putiniano di maggioranza alla Duma. Il voto elettronico, attivato a Mosca per due milioni di elettori ed in varie altre regioni, doveva facilitare questa strategia ma invece ha finito per risultare d’aiuto al Cremlino. Pur nel calo della partecipazione di un elettorato, al 51%, che guarda alla politica con scetticismo, nell’ineluttabile e rassicurante stabilità, Edinnaia Rossia è passata dal 54,2% del 2016 al 49,79%, mantenendo la maggioranza parlamentare con un risultato simile al 2015. Fra i 450 deputati, può contare su 320 seggi (con una perdita di venti unità), cui si aggiungono i 23 liberaldemocratici del populista Girinovsky, sceso al 7,48%, i 18 di Russia giusta (7,41%) di Mironov, la coalizione cresciuta attorno a Rodina (madre patria) ed i 15 di Gente nuova (5,36%), formazione ecologista civetta del profumiere Naciaev, rivolta ai giovani. Gli sforzi liberali hanno aiutato i 60 deputati comunisti di Ziuganov, cresciuto al 18% (ma non del 25% come si era ipotizzato immediatamente dopo il voto). Un seggio cadauno tocca allo storico partito liberale Iabloko (Mela) all’1,3%, a Piattaforma Civica ed al partito della Crescita di Titov e Schnurov. Anche la proibita formazione navalnyana della Russia del futuro avrà il suo strapuntino, un eletto nelle liste uninominali. Gli strali americani, europei, delle Ong e dell’opposizione comunista si sono ora concentrati sulla decina di migliaia di denunce di broglio, di pressioni e violenze e sul lento meccanismo di comunicazione centralizzata del voto che, con la scusa del voto elettronico, ha smentito i trend del primo giorno di voto. Tutti i lai per il Donetsk in guerra muoiono davanti alle partite di Champions dello Shakhtar (Shakhtyor, minatore) Donetsk il cui portiere Piatov ha fermato l’Inter, anche se l’Uefa ha sostituito la sponsorship del colosso Gazprom con più ordinario Justeat. Fondata in epoca stalinista, con il nome Stachanovec, in onore del minatore ucraino Stachanov, la squadra del Donbass dal 2002 ha vinto numerosi campionati, coppe europee ed è campione in carica, giocando da anni lontano dalla sua regione e dal bel stadio, nuovo e tirato a lucido, della Donbass Arena. Ha dovuto spostare i campi di allenamento prima all’altro capo del paese, a Leopoli a 1000 km, poi a 300 km nello stadio del Metalist di Kharkiv (tra l’altro fallito) ed ora a Kiev. I brasiliani, di cui è farcita la squadra non risentono troppo dei cambi di geolocalizzazione, come neanche gli allenatori italiani che la guidano, ora De Zerbi, Nevio Scala al tempo del primo titolo nazionale. Il finanziatore, il miliardario Achmetov, dal nome tipicamente tartaro, rilanciò lo Shakhtar dall’amico Bragin, criminale poi saltato in aria. Paradossalmente l’imprenditore zar del Donbass, la cui azienda Sistema agglomerato di business è gemella della Sistema russa, è paradossalmente l’ex sostenitore del governo filorusso e padrone dell’esercito ribelle ed insieme l’unionista vicino a Kiev che vince i campionati. Il presidente ucraino Zelenskyi ondivagamente tiene alla sua amicizia per poi definirlo manipolatore, in Tv. L’ingigantita figura dello Smart Navalny e delle rivolte di piazza non hanno quindi lasciato traccia sulla Demotura russa, anche se i commentatori più evoluti si affrettano a ricordare che il sistema invecchia con l’età del suo presidente (che nel 2036 sarà 84enne). Certo a strascico di queste elezioni ci saranno ulteriori sanzioni contro personaggi politici e non, del Donbass e della Crimea. Nessuno toccherà però il mufti Kadyrov, padrone della Cecenia, che per il partito di Putin ha preso il 98,5% dei voti. Magari verrà sanzionato anche Urgant, la

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