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Appelli a Fastweb, Clemente: “Un passo indietro per favore”

Mentre il CEO di Fastweb in Italia Alberto Calcagno parla di 5 G e del piano di investimenti da 3 miliardi di euro su cui sta lavorando l’azienda, Fastweb non ha ancora compiuto un passo indietro. Ma un passo indietro è proprio quello che chiedono i dipendenti lasciati a casa e poi reintegrati dalla magistratura: Fastweb ha reagito all’imposizione delle toghe trasferendo tutti i reintegrati a Bari. Da Milano, dove in tanti erano arrivati proprio dal Sud per rifarsi una vita, a 900 chilometri di distanza. Se si è senza una famiglia è una scelta meno traumatica, ma quando si hanno figli, magari piccoli, è  già difficile cambiare quartiere. Fastweb però può decidere di tornare indietro, un piccolo passo per una società che spende miliardi per rimanere protagonista sul mercato. Oggi riportiamo l’appello di Clemente, una delle 72 persone il cui destino dipende dalla scelte di Calcagno. Uno dei tanti che stiamo riportando e che speriamo arrivino alle orecchie e al cuore dei dirigenti Fastweb come Calcagno.

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Fastweb, l’appello contro i licenziamenti continua

Continuano gli appelli dei lavoratori Fastweb contro la proposta dell’azienda di trasferire 72 persone a Bari. Per chi si è costruito una vita, magari provenendo proprio dal Sud, suono come una beffa essere costretti a ritornarci per non perdere il lavoro. Per chi invece ha da sempre radici sotto la Madonnina è impossibile lasciare tutto per andare a 900 chilometri di distanza. Insomma, sembrano licenziamenti mascherati. Intanto però Fastweb proprio a Milano ha lasciato migliaia di utenti senza internet in un giorno qualunque della settimana lavorativa. Nel nord di Milano in particolare le connessioni erano assenti. Eppure si pensa a licenziare. L’azienda non funziona, ma si manda a casa la forza lavoro. Sembra un controsenso. Perché invece Fastweb si decide a compiere un passo indietro? Sarebbe un grande passo avanti.  

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Per Fastweb e Di Maio un appello da Quarto Oggiaro

Per Fastweb e Di Maio un appello da Quarto Oggiaro: per favore ripensateci. Gli appelli all’azienda di telecomunicazioni e alla politica non cessano da parte di 72 lavoratori e delle loro famiglie: non vogliono essere trasferiti a Bari, uno spostamento che per loro equivale a un licenziamento e a un’allontanamento da tutta la loro vita. Un trauma anche economico a cui non possono sottoporsi perché spesso si tratta di situazione delicate. Lavorare a 900 chilometri di distanza non è uno scherzo quando si è giovani, quando si ha una famiglia si rischia di perderla. Ecco l’appello di Silvana a cui si spera che prestino orecchio sia Fastweb che Luigi Di Maio.

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Fastweb, per favore un passo indietro

Fastweb, per favore un passo indietro. L’appello dei 72 dipendenti Fastweb prosegue anche via Youtube sui giornali online, gli unici dove possa trovare agilmente spazio. Non vogliono smettere di lavorare: i dipendenti a cui l’azienda ha chiesto di trasferirsi a Bari non vogliono perdere il lavoro, ma neanche la loro vita. Il giudice gli ha dato ragione e Fastweb non può licenziarli, ma allo stesso tempo Fastweb può decidere di trasferirli a Bari, secondo un vecchio schema che spesso equivale a un licenziamento di fatto: non è infatti semplice per tutti lasciare casa, famiglia e affetti per andare a vivere a 900 chilometri di distanza. Specialmente per chi, come nel video che vi proponiamo oggi, ha già una volta compiuto il percorso in senso inverso. Arrivato a Milano, ha saputo costruirsi una vita all’ombra della Madonnina. Oggi, gli si prospetta di tornare in Meridione, perdendo tutto ciò che ha costruito. Forse Fastweb risponderà all’appello: per favore un passo indietro su una decisione che non può davvero essere determinante per un’azienda solida come questa.  

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L’inconsistenza di una politica del lavoro

Parlano di parole, dimenticano i fatti. Quanto siano ormai stremati i giornali italiani lo si capisce dalla mancanza di fatti consistenti nelle cronache odierne. Abituati ormai solo a parlare di parole politiche, di questo o quel personaggio diventato per un periodo nemico numero uno, sono disposti a tutto: persino il Corriere e la sua firma Fubini sono stati accusati di aver inventato una notizia pur di andare contro il governo giallo-verde. Uno sputtanamento, non ce ne vogliate ma non c’è altro termine, pure di una delle ultime istituzioni sociali e culturali del Paese di cui Fubini e il suo direttore Luciano Fontana dovranno portare il peso. Perché il punto sembra sia diventato solo prendersela con qualcuno, possibilmente con le spalle non coperte da un qualche potente. Salvini e Di Maio possono contare su due gruppi solidi di voti e di amici fidati, ma sicuramente non sono riconducibili a potentati vari. Gli stessi invece che hanno rimbambito così tanto la stampa da lasciarla miope: solo in Lombardia, come raccontiamo oggi, ci sono 800 lavoratori a rischio licenziamento. Nei giorni scorsi un decreto del Ministro Toninelli ha chiuso di fatto 80mila piccole aziende perché i tassisti (nota categoria che si fonda sull’illecito traffico di licenze) lo hanno imposto con una legge liberticida. Fastweb ha appena licenziato 70 persone sempre nel famoso cuore economicamente pulsante della lombardia. Il sindaco di Milano in tutto questo pensa a rintuzzare le sparate di Salvini perché prova a diventare leader nazionale, intanto il suo pugno chiuso gira negli occhi di chi si trova a contare meno di niente: i vecchi sostenitori delle sinistre come i lavoratori subordinati hanno dunque ben donde di abbandonare il rosso per altri colori. Alle sinistre non importa più del loro destino, la battaglia che vogliono vincere è per i titoli dei giornali e per un posto nei salotti che contano. Creare lavoro e tutelarlo non è più una priorità, tant’è che l’ultimo governo di centrosinistra aveva messo Carlo Calenda al ministero dedicato. Calenda, noto Che Guevara. Quando la politica e i giornali torneranno a occuparsi di questa emergenza? La crisi non è finita, non per tutti. I licenziamenti continuano e se non ci si muove ora, la prossima ondata sarà peggio della prima perché sono già finiti i soldi per tamponare la situazione.

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ATM, nessun posto a rischio a causa del Decreto Dignità

Nessun lavoratore di Atm a tempo determinato rischia o rischierà il posto di lavoro, per effetto del decreto Dignità. È questa la rassicurazione fatta da Luca Migliore, responsabile delle Risorse Umane dell’azienda del trasporto pubblico milanese, ai consiglieri comunali della commissione Partecipate. “Migliore ha infatti spiegato: “Atm non usa il tempo determinato in modo strumentale, ma solo per esigenze effettivamente temporanee. Tanto che, negli ultimi 5 anni, abbiamo un tasso di trasformazione dal contratto dal tempo determinato a quello a tempo indeterminato, entro gli 11 mesi dalla data di inizio, del 90%“. Concludendo: “Il decreto dignità non impatta su Atm, anche perché si tratta di un’azienda in buona salute finanziaria, che ha quindi la possibilità di trasformare i contratti“. La commissione consiliare Partecipate, presieduta dal capogruppo di Forza Italia a Palazzo Marino, Fabrizio De Pasquale, continua il suo lavoro di interlocuzione con i responsabili delle risorse umane e i rappresentanti sindacali delle partecipate milanesi, per capire in quali aziende ci siano problemi di rinnovo dei contratti a tempo determinato. Per il momento le criticità maggiori sono emerse in Amsa. Alla prossima riunione della commissione parteciperanno anche le ‘scodellatrici‘ di Milano Ristorazione, dipendenti dalle cooperative legate alla municipalizzata, che, come ha annunciato il capogruppo azzurro “si trovano a rischio“.

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