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I manganelli, Mattarella e la Più Bella

Ieri sera, in via Padova, alla presentazione della (prima e, per ora, unica) fatica letteraria dell’Onorevole Europea Sardone, i centri sociali hanno tentato di far saltare l’evento. Hanno provato a fare irruzione, assaltando il presidio delle Forze dell’Ordine. Pare ci fossero anche rappresentati di pariti che siedono in Parlamento, ma su questo non ci soffermeremo. Il problema, qui, è segnatamente un altro. E da via Padova, ci porta prima a Pisa e poi a Roma. Quando, a Pisa, è stato ordinato, esattamente come in via Padova, ad una folla di disperdersi e, esattamente come in via Padova, la folla ha deciso di provare a sfondare, la polizia ha caricato. Per qualche motivo, se a provare a sfondare sono dei ragazzini, secondo l’illuminata opinione di taluno, la polizia non dovrebbe usare i manganelli. Farlo, e cito il Presidente della Repubblica, costituirebbe una sconfitta per lo Stato. La vittoria, chiaramente, si ottiene dialogando coi manifestanti e spiegando loro che La Più Bella del Mondo, ovvero la nostra Costituzione, non prevede che si carichi la polizia. Per la verità, La Più Bella del Mondo, non prevede nemmeno che il Presidente della Repubblica rimproveri i ministri. E, se vogliamo essere proprio precisi, sul tema “Cosa fare se un sedicenne rifiuta di eseguire l’ordine di un pubblico ufficiale e anzi tenta di sfondare un cordone di polizia” è abbastanza silente. E lo è, per un motivo molto preciso: la Costituzione non è il regolamento del torneo parrocchiale di freccette. Non deve stabilire chi vince. O chi perde. Stabilisce diritti e doveri. E se il diritto di manifestare è sacrosanto, esso non è illimitato: 1. Delle manifestazione in luogo pubblico va dato preavviso alle autorità (articolo 17 co 2 della Più Bella del Mondo), che possono vietarlo per motivi di sicurezza pubblica. E una folla che si muove contro un presidio delle Forze dell’Ordine lo è certamente. A Pisa, come in via Padova 2. Il diritto di parola è direttamente sottoposto alla legge (sempre c’entri qualcosa, ma visto che viene citato chiariamo anche il punto). Se La Più Bella del Mondo diventa il regolamento del torneo di freccette e si ritiene di dover intervenire a distribuire buffetti istituzionali se i manganellati fanno simpatia, il risultato è che qualcuno, e per “qualcuno” intendo quelli che ieri sera hanno tentato di impedire la presentazione, si sentirà autorizzato a replicare. Non è, inoltre, particolarmente salutare dire che manganellare va bene, ma non i sedicenni. Non è salutare per loro. Lo si vedeva già negli anni ’70: dà pessime idee ai capi popolo, per esempio quella di usare gli studenti come scudi umani. È la visione della politica di Hamas. Ma dato che chi organizza queste manifestazioni Hamas lo ritiene un esempio andrebbe, quanto meno, evitato qualsiasi incentivo a proseguire. Aveva, dunque, ragione Giorgia Meloni quando diceva che non schierarsi con le Forze dell’Ordine era pericoloso, in particolare se chi manca di farlo è una Istituzione. Lei ci tiene a specificare, e io qui doverosamente riporto, che veniva escluso da questo monito il Presidente della Repubblica. Con tutto il dovuto rispetto chiudo con una domanda, telegrafica. Domanda credo sana e che non penso intacchi il prestigio della prima carica dello stato. Perché?

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Niente prima della Scala per il presidente Mattarella e la premier Meloni

Non ci sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, come confermato. E, con ogni probabilità, anche se il programma della sua giornata milanese è in via di definizione, la premier Giorgia Meloni. Che sarà a Milano, ma con altri impegni – con il governatore Fontana e, forse, all’Artigiano in fiera. Due assenze di peso, quest’anno, alla Prima della Scala. Il 7 dicembre, Sant’Ambrogio, infatti sarà la nona volta che Don Carlo, capolavoro di Giuseppe Verdi, aprirà la stagione allo storico teatro milanese, e si oltrepasseranno le duecento rappresentazioni scaligere dalla prima assoluta del 1868. Si assisterà al Don Carlo che il grande compositore, a 17 anni dal battesimo parigino, l’11 marzo 1867, rielaborò apposta per Milano prosciugando e tagliando, versione poi messa in scena nel 1884. L’opera – che ha inaugurato la Stagione Lirica nel 1868, 1878, 1912, 1926, 1968, 1977, 1992 e 2008 – sarà diretta dal direttore musicale Riccardo Chailly sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala con un cast che schiera Francesco Meli come Don Carlo, Anna Netrebko come Elisabetta di Valois, Michele Pertusi come Filippo II, Elena Garanea come Principessa d’Eboli, Luca Salsi come Marchese di Posa e Ain Anger come Grande Inquisitore. Protagonista di non minore rilievo il Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi. Le scene sono di Daniel Bianco, i costumi di Franca Squarciapino, le luci di Pascal Mérat, i video di Franc Aleu e la coreografia di Nuria Castejón. Come di consueto la Prima sarà non solo uno spettacolo ma anche un evento mondano, con sfilata di vip e personalità. Tra le presenze istituzionali attese, la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, e il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Per il maestro Riccardo Chailly, Don Carlo è il compimento di una riflessione sul potere estesa su tre inaugurazioni di Stagione, dopo Macbeth di Verdi nel 2021 e Boris Godunov di Modest Petrovi? Musorgskij nel 2022. Chailly proporrà un’edizione filologica del dramma sulla base di una rilettura dei manoscritti verdiani. Si ascolterà così l’introduzione al monologo di Filippo affidato alla fila dei violoncelli secondo partitura e non al violoncello solo come spesso avviene. Don Carlo torna al Teatro alla Scala in una grande produzione che rispecchia la doppia natura di dramma storico e manifesto romantico dell’originale tragedia scritta da Friedrich Schiller, mettendo in luce gli straordinari artisti e artigiani che operano nei laboratori del Teatro. Un impianto scenico unico si trasforma senza interrompere lo svolgimento dell’azione nei diversi spazi previsti dal libretto grazie alla spettacolare alternanza di colossali elementi scenografici. Verdi propone i temi a lui cari della libertà dei sentimenti, della difficile relazione tra padri e figli e della liberazione dei popoli oppressi sullo sfondo del conflitto tra il potere temporale e quello religioso. Per rendere l’atmosfera sospesa tra ambiente ecclesiastico e secolare il regista Lluís Pasqual e lo scenografo Daniel Bianco hanno fatto riferimento all’uso dell’alabastro nelle finestre degli edifici religiosi ma anche civili e in particolare alla grande finestra della Collegiata di Santa María La Mayor nella città spagnola di Toro. Una grande torre di alabastro è inquadrata in un sistema di cancellate che anch’esse ricorrono nell’architettura religiosa quanto in quella civile. La scena permette di ritagliare nei grandi spazi del palcoscenico i numerosi momenti di intimità e di isolamento che punteggiano la tragedia. Don Carlo, come ha spiegato il maestro Riccardo Chailly, porta dietro le quinte dello spettacolo del potere: anche l’autodafé, cerimonia abbagliante e macabra di autorappresentazione dell’assolutismo, non troppo diversa dai meccanismi della propaganda di oggi, è mostrata soprattutto nel momento della preparazione e solo pochi minuti sono riservati alla ‘festa’ nella sua magniloquente esteriorità. Qui campeggia un colossale retablo dorato e finemente istoriato. Questi spazi sono animati dal pittoricismo dei costumi di Franca Squarciapino, che riprendono l’abbigliamento rappresentato nella ritrattistica del tempo ma lo alleggeriscono nella scelta dei materiali, garantendo facilità di movimento e una certa romantica vitalità ai personaggi. L’impianto è documentato ma non necessariamente filologico, ha sottolineato il regista Lluís Pasqual: pur collocati nella loro epoca, i protagonisti rappresentano emozioni e caratteristiche umane presenti in ogni tempo. Il colore prevalente è il nero, non inteso come espressione di mortificazione o di lutto ma come esibizione di potere e ricchezza: nel ‘500 velluti e broccati neri erano tra le stoffe di maggior pregio.

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Mattarella a Milano per il nuovo campus del Politecnico

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inaugurato il nuovo campus di architettura ideato da Renzo Piano al Politecnico di Milano. Questo nuovo campus – ha detto il capo dello Stato – “sottolinea la proiezione verso il futuro in sintonia con il momento che il nostro Paese sta attraversando, un momento di nuovo inizio, non di ritorno alle condizioni precedenti alla pandemia, ma di un inizio su condizioni diverse e nuove, adeguate alla realtà che ci si presenterà in futuro”. Ad accogliere Mattarella il rettore, Ferruccio Resta, il ministro dell’Università e della Ricerca, Cristina Messa, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala e il governatore lombardo, Attilio Fontana e il prefetto, Renato Saccone e l’architetto e senatore a vita, Renzo Piano.

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Dai Francesco: Diarchia

Dai Francesco: Diarchia. Le crisi possono essere occasioni come ha ricordato Papa Francesco, allora forse è arrivato il momento di un cambiamento radicale. Un cambiamento epocale. Il primo Pontefice a chiamarsi Francesco potrebbe essere quello che ricongiungerà la Chiesa e lo Stato come il primo Francesco ricongiunse le persone e il mondo. Sono uscite dal buio del Medioevo loro, come potremmo uscirne noi se ora ci prendessimo per mano. Non abbiamo bisogno di cercare alleanze ovunque, prima riuniamo lo Stato e la Chiesa. Basta con questa convivenza che dura da 2000 anni. Ci siete, però con la vostra indipendenza. Sembra una soap. Saldiamo un’altra volta le Italie che convivono e rilanciamoci oltre la crisi. Ne abbiamo tutti bisogno, una grande carica positiva con cui illuminare il mondo un’altra volta. Insieme abbiamo le risorse umane ed economiche per fiondare l’Italia oltre le tenebre di questa epidemia di morte e paura, possiamo farlo senza snaturarci. Ognuno può occuparsi del suo campo senza dover vivere da separati in casa, una Diarchia può funzionare. Anche a tempo, se vogliamo “fare una prova”. Riuniamo l’Italia in un unico corpo, saremo tutti più forti, non più deboli. Dai Francesco: Diarchia. Mattarella è un uomo ragionevole: sa che da solo non può farcela. E siete coraggiosi per non dire abbastanza spregiudicati per compiere un passo del genere. I più giovani al momento non sono in grado. Però forse vi seguiranno, potreste dare un segnale di portata planetaria tanto da smorzare la viralizzazione mentale della società. La Chiesa e lo Stato in Italia diventano una cosa sola: è un messaggio potentissimo. Ovunque nel Mondo si conoscono l’Italia e la Chiesa. Ci sono comunità, sedi, ambasciate. Forse questa è una via da considerare.

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La lettera di Salvini a Mattarella

La lettera di Salvini a Mattarella. La missiva è partita dopo che sono state rese pubbliche le intercettazioni in cui alcuni magistrati dicevano “Salvini ha ragione, ma dobbiamo attaccarlo”. A quel punto il senatore ha scritto al capo della magistratura italiana: Al Signor Presidente della Repubblica Illustre Signor Presidente, l’articolo pubblicato sul quotidiano La Verità in data 21 maggio 2020 dal titolo “La chat delle toghe su Salvini: Anche se ha ragione lui adesso dobbiamo attaccarlo” documenta uno scenario gravissimo: diversi magistrati nei loro colloqui privati (intercettati nell’ambito del procedimento a carico del dottor Luca Palamara) concordavano su come attaccare la mia persona per la politica sull’immigrazione che all’epoca, quale Ministro dell’Interno, stavo portando avanti. L’avversione nei miei confronti è evidente al punto che, secondo quanto risulta dalle intercettazioni riportate sul quotidiano, uno dei magistrati, il dottor Palamara, pur riconoscendo le ragioni della mia azione politica, individuava nella mia persona un obiettivo da attaccare a prescindere. Intenzione che veniva condivisa da altri magistrati. Le intercettazioni pubblicate documentano come l’astio nei miei riguardi travalichi in modo evidente una semplice antipatia. In tal senso è inequivocabile il tenore delle comunicazioni dei magistrati intercettate: “Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando…” – “No hai ragione…Ma ora bisogna attaccarlo”. “Io credo che rafforzano Salvini così” – “Lo temo anch’io”. “C’è quella merda di Salvini, ma mi sono nascosto”. “Oggi Sangermano ha fatto un intervento in Cdc praticamente contro di me perorando una linea filogovernativa su dl Sicurezza […] In separata sede, ma davanti a tutti quelli del gruppo ho posto la questione e ho avuto l’appoggio di una buona parte di noi”. Come noto, a ottobre inizierà l’udienza preliminare innanzi al GUP presso il Tribunale di Catania ove sono chiamato a rispondere dell’ipotesi di sequestro di persona per fatti compiuti nell’esercizio delle mie funzioni di Ministro dell’Interno, in linea con l’azione di governo tesa al contrasto dell’immigrazione clandestina. Per quanto si legge nell’articolo del quotidiano è proprio tale tema politico ad aver suscitato l’avversione nei miei confronti dei magistrati, protagonisti di quelle comunicazioni pubblicate. Non so se i vari interlocutori facciano parte di correnti della Magistratura o se abbiamo rapporti con i magistrati che mi giudicheranno, tuttavia è innegabile che la fiducia nei confronti della Magistratura adesso vacilla al cospetto delle notizie sugli intendimenti di alcuni importati magistrati italiani, per quanto emerso e riportato nell’articolo de La Verità. Quelle frasi captate nell’ambito del procedimento a carico di Palamara palesano, invero, una strategia diffusa e largamente condivisa di un’offensiva nei miei riguardi da parte della Magistratura. Tutto ciò intacca il principio della separazione dei poteri e desta in me la preoccupazione concreta della mancanza di serenità di giudizio tale da influire sull’esito del procedimento a mio carico. Mi appello al Suo ruolo istituzionale, quale Presidente della Repubblica e dunque Presidente del CSM, affinché mi venga garantito, come deve essere garantito a tutti i cittadini, il diritto ad un processo giusto, davanti a un giudice terzo e imparziale, nel rispetto dell’art. 111 della Costituzione. Sen. Matteo Salvini

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Mattarella in Consiglio Comunale per commemorare Piazza Fontana

“L’identità della Repubblica è segnata dai morti e dai feriti della Banca Nazionale dell’Agricoltura“. Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella parlando in Consiglio Comunale, dove era ospite in occasione della commemorazione del cinquantesimo anniversario della Strage di  Piazza Fontana. “Ci troviamo a Palazzo Marino, luogo della democrazia della comunità milanese, contro il quale la ferocia di terroristi neofascisti tentò di replicare, undici anni dopo, la strage di Piazza Fontana“, ha aggiunto. Per il presidente della Repubblica Sergio Mattarela, “l’attività depistatoria di una parte di strutture dello Stato è stata, quindi, doppiamente colpevole“. Secondo il capo dello Stato, fu “un cinico disegno, nutrito di collegamenti internazionali e reti eversive, mirante a destabilizzare la giovane democrazia italiana, a vent’anni dall’entrata in vigore della sua Costituzione. Disegno che venne sconfitto”. Per Mattarella, la strage di Piazza Fontana fu “uno strappo lacerante recato alla pacifica vita di una comunità e di una Nazione, orgogliose di essersi lasciate alle spalle le mostruosità della guerra, gli orrori del regime fascista, prolungatisi fino alla repubblica di Salò, le difficoltà della ricostruzione morale e materiale del Paese“. Prima di partecipare al Consiglio Comunale il Presidente Mattarella ha incontrato a Palazzo Marino le vedove dell’anarchico Giuseppe Pinelli, Licia, e del commissario Luigi Calabresi, Gemma e i famigliari delle 17 vittime dell’eccidio del 12 dicembre del 1969 alla Banca Nazionale dell’agricoltura. ANSA  

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