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Milano cerca un sindaco. Ma soprattutto cerca sé stessa

Milano, mia Milano. La città che più d’ogni altra in Italia ha saputo farsi capitale senza esserlo mai davvero. La città che lavora quando il resto d’Italia sonnecchia, che produce quando il resto consuma, che corre mentre tutti aspettano un autobus. Ebbene, oggi Milano si prepara, con due anni d’anticipo, a scegliere un nuovo sindaco. Ma da quel che vedo, sento e leggo, a Milano non si cerca una guida: si cerca un nome da affiggere sui manifesti. Lo spettacolo è desolante. E lo è in primo luogo per la sua inconsistenza. Il centrodestra e il centrosinistra, quelle due vecchie dame che da decenni si contendono la scena politica cittadina come due attrici in una commedia che non cambia mai copione, sono in piena agitazione. Si consultano, si chiamano, si smentiscono. Fanno circolare nomi come se fossero figurine rare: un ex manager, un professore, un volto televisivo, perfino uno chef stellato. Tutti uomini e donne di successo – per carità – ma che con Milano hanno spesso lo stesso rapporto che ha un turista con una guida turistica: superficiale, episodico, talvolta infatuato, mai autentico. Il punto è questo: nessuno, né a destra né a sinistra, pare interessato a discutere di Milano. Dei suoi problemi veri. Del traffico che strangola ogni quartiere dentro e fuori la cerchia dei bastioni. Della casa che è diventata un lusso persino per un impiegato con contratto a tempo indeterminato. Del verde che manca, delle scuole che cadono a pezzi, delle periferie che tornano ad affacciarsi sull’abisso della marginalità. Della sicurezza, della coesione sociale, della trasformazione urbanistica che procede come un treno giapponese ma con passeggeri lasciati sulla banchina. Di tutto questo, poco o nulla. E perché? Perché parlare di temi è difficile. Richiede studio, analisi, compromessi. Richiede visione. E visione è una parola che fa paura ai partiti italiani, specialmente quando si tratta di amministrare. Meglio allora il nome: il candidato buono a tutte le stagioni, l’uomo immagine, la donna di successo, la figura che può tenere insieme un’alleanza traballante o strappare qualche titolo di giornale. Ma Milano non ha bisogno di un nome. Ne ha avuti anche troppi. Alcuni hanno fatto bene, altri hanno fatto poco, altri ancora hanno fatto danni. Milano ha bisogno di una guida. Di un programma serio, concreto, misurabile. Di una visione politica e culturale. E ha bisogno che questa visione venga prima del nome, non dopo. Perché se l’ordine è invertito – e lo è – allora la democrazia amministrativa si riduce a un casting. E la politica a una fiera del marketing. Sento già le obiezioni: “Ma è troppo presto per parlare di programmi, le elezioni sono nel 2027!” Appunto. È proprio oggi, nel 2025, che si deve cominciare a parlare di città. Perché le soluzioni non si improvvisano, si costruiscono. E perché i milanesi meritano di più di un cartellone pubblicitario con uno slogan e un volto rassicurante. Meritano risposte, idee, passione. E soprattutto rispetto. Nel dopoguerra, Milano seppe risollevarsi perché seppe guardare avanti. Non aspettò che fosse Roma a dettarle l’agenda. Non aspettò che fosse la politica a salvarla. Se la fece da sé, con pragmatismo e ambizione. Oggi deve tornare a quello spirito. Ma per farlo, deve rifiutare la logica del casting e pretendere contenuti. E deve farlo ora. Chi pensa di poter governare Milano con i selfie e le strette di mano dovrebbe ricordare che questa città non perdona la superficialità. Ti osserva, ti misura, ti giudica. E prima o poi ti presenta il conto. Soprattutto se sei entrato a Palazzo Marino senza sapere perché. E senza sapere dove andare.

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“Mandrake sindaco è superato”

Nel suo ultimo intervento, il consigliere comunale Carlo Monguzzi (Europa Verde) ha tuonato: “Ma vi rendete conto in che mani siamo? Al confronto di questa giunta Mandrake era un dilettante.” Monguzzi contesta la narrazione dominante secondo la quale, senza il cosiddetto “Salva Milano”, tutte le pratiche edilizie si sarebbero bloccate. Al contrario, sottolinea che dopo aver applicato le regole indicate con magistratura e associazioni ambientaliste, le pratiche edilizie sono addirittura aumentate del 20 %. Ciò smentisce nettamente la retorica secondo cui il progresso sarebbe stato impedito da forze “ostili”, mentre secondo lui quel freno serviva solo a fermare la speculazione edilizia. Una prima verifica:” il Comune di Milano gestisce oggi circa 12 000 richieste all’anno tramite il sistema digitale InPratica, un milione e quattrocentomila pratiche in fase di digitalizzazione in sei anni” (qui le fonti). Tuttavia non è stato possibile trovare conferme ufficiali sull’aumento del 20 % delle pratiche, né sul confronto con il periodo pre‑“Salva Milano”. È accertato invece che, dopo le inchieste della Procura e le tensioni con la magistratura, la Giunta ha definito nuove linee guida per riprendere le istruttorie su circa 150 progetti segnalati nel 2024. L’obiettivo era garantire il rispetto delle indicazioni giudiziarie e favorire una ripresa dell’edilizia “regolare”. In parallelo, l’amministrazione ha approvato nuove linee di indirizzo per l’urbanistica e l’edilizia: l’obbligo di Piano attuativo sopra una certa altezza o densità e la dotazione minima di aree verdi (50 %) su superfici superiori ai 20 000 m², insieme al rafforzamento degli uffici istruttori. Queste misure hanno contribuito a sbloccare progetti pur nel rispetto dei controlli. Ecco una sintesi delle principali dinamiche, in tabella: Aspetto Situazione prima Situazione attuale Volume pratiche edilizie Circa 12 000/anno, con tempi incerti Sostegno da digitalizzazione e nuovi indirizzi Salva Milano Messo come soluzione per sblocco Giunta rifiuta: sufficiente l’adeguamento normativo Controlli magistratura Blocchi e inchieste (150 progetti segnalati) Applicazione linee guida e rilancio Ipotesi aumento 20 % pratiche Non attestata ufficialmente Forse riferita ai digitalizzati online Ruolo giunta “Mandrake” Criticata come inadeguata Monguzzi la definisce “dilettante” rispetto a ora In sintesi, Monguzzi sostiene – con virulenza – che la città abbia superato la stagione del “progressista ritardato” rappresentato da Mandrake, e che questa giunta abbia dimostrato capacità ben superiori nel gestire l’edilizia. Tuttavia, i dati precisi sull’aumento del 20 % delle pratiche non emergono dai resoconti ufficiali reperiti, né dalle fonti del Comune o dagli articoli pubblicati di recente. Per concludere, resta valido il fatto che, grazie alla digitalizzazione dell’archivio edilizio e alle nuove direttive urbanistiche, Milano sembra oggi più veloce nel gestire pratiche, ma rimangono da esplorare nei dati ufficiali gli incrementi percentuali ed eventuali confronti storici. Lo stesso Piano di Governo del Territorio (PGT) monito di Monguzzi – “A proposito qualcuno ha visto il Pgt?” – è entrato in una fase di attesa e revisione dopo le nuove linee guida e inchieste del 2024, ma resta pubblicato online dal febbraio 2020 ilgiorno.it+5gdc.ancidigitale.it+5comune.milano.it+5realestate.pambianconews.commilano.corriere.itcomune.milano.itmilano.corriere.itilgiorno.it.

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Parco Lambro, l’elegia degli alberi caduti

C’è una fotografia che, più di mille parole, racconta lo stato dell’arte — o meglio, della disfatta — del nostro tanto decantato Parco Lambro: un albero riverso, sconfitto dal maltempo, piegato come un vecchio soldato che non ce l’ha fatta a reggere l’ultima raffica. L’ho davanti agli occhi: i rami ancora verdi e vivi, ma le radici tradite dalla terra fradicia e dall’incuria cronica. Non è la prima volta che accade, e lo sappiamo. L’articolo pubblicato dall’Osservatore Meneghino ce lo dice chiaro e tondo: “Si è rotto il Parco Lambro. Di nuovo.” E ogni “di nuovo” è un pugno allo stomaco del cittadino milanese che ancora crede nella cosa pubblica come in un bene comune, e non come in un trastullo elettorale. Ora, è evidente che le piogge torrenziali e le raffiche di vento non si possono fermare con le ordinanze comunali. Ma è altrettanto evidente che le cadute seriali degli alberi a Milano, in particolare in quel fazzoletto verde che dovrebbe essere il polmone orientale della città, non sono solo il frutto di una natura impazzita. Sono il frutto di una gestione miope, intermittente, cerimoniale. Come si fa con certi parenti scomodi, il Parco Lambro lo si visita a Pasquetta e lo si dimentica per il resto dell’anno. Eppure quel parco, voluto negli anni Sessanta da un’amministrazione che ancora sapeva pianificare sul lungo periodo, è stato uno dei rari esempi di verde pubblico pensato come spazio vitale, non ornamentale. Era un’utopia urbana con ambizioni ecologiche, pedagogiche, perfino estetiche. Vi passavano i bambini con i calzoncini corti, gli anziani col giornale sotto braccio, i ragazzi con le chitarre sgangherate e i sogni anarchici. Oggi vi passano, con più frequenza, i temporali e le ambulanze, chiamate per soccorrere chi finisce sotto un ramo che non doveva cadere. E allora la domanda, da buon cronista qual sono stato e mai smetterò di essere, è semplice: perché nessuno controlla? Perché non si fa manutenzione preventiva, quella vera, quella fatta da agronomi e non da geometri improvvisati col tablet? Dove sono i fondi del PNRR quando serve ricostruire una rete di parchi urbani degna di questo nome, invece di finanziare eventi con il logo scintillante e la sostanza assente? Ci si riempie la bocca con “resilienza urbana”, ma la verità è che stiamo tornando alla giungla. E non la giungla verde di Kipling, bensì quella burocratica, dove la colpa non è mai di nessuno, e dove un albero che cade non fa rumore — o meglio, fa rumore solo quando ferisce o uccide. Il Parco Lambro, così come tanti altri spazi verdi di Milano, è vittima di un paradosso: lo si ama poeticamente, ma lo si cura pigramente. Non c’è da stupirsi, allora, se la natura risponde con la brutalità che le è propria. Le fronde si spezzano, i tronchi si inclinano, le radici si sollevano come a gridare: “Abbiamo dato tutto, e voi niente.” Questo è il requiem del verde urbano: un pianto che si ripete ad ogni pioggia. Il Parco Lambro, che dovrebbe essere rifugio e ristoro, è diventato il simbolo dell’abbandono amministrativo e dell’indifferenza civica. E se oggi scrivo con la penna intinta in un certo veleno, è perché amo questa città. Milano non può più permettersi di piangere alberi come si piangono i morti in guerra. E un albero che cade, ricordiamolo, non è solo legno che si spezza: è un sintomo. Di degrado, di incuria, e soprattutto di dimenticanza. E se continuiamo così, a dimenticare gli alberi, finirà che dimenticheremo anche noi stessi.

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Giovedì 8 maggio arriva il webinar gratuito della Camera di commercio sul tema “Metaverso e NFT (Non-Fungible Tokens) tra arte e moda”

Giovedì 8 maggio arriva il webinar gratuito della Camera di commercio sul tema  “Metaverso e NFT (Non-Fungible Tokens) tra arte e moda”. Giovedì 8 maggio 2025, ore  14:00 – 16:00, arriva il webinar gratuito  sul tema  “Metaverso e NFT (Non-Fungible Tokens) tra arte e moda”. Si tratta di un incontro del ciclo di seminari dell’Ufficio Proprietà Intellettuale della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, che verte sull’ evoluzione digitale nel settore della moda e dell’arte, con un focus sul ruolo degli NFT e del Metaverso. Informazioni e iscrizioni al  link. Durante l’evento vengono analizzati i profili giuridici legati all’utilizzo degli NFT nel contesto creativo, le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale alle imprese della moda e le dinamiche che caratterizzano le piattaforme web e i marketplace, attraverso l’analisi di casi concreti. Un’occasione per esplorare come le tecnologie emergenti stiano trasformando i modelli di business tradizionali, creando nuovi scenari di tutela, valorizzazione e promozione per i contenuti creativi e i diritti di proprietà intellettuale. L’incontro si conclude con una sessione di domande e risposte aperta al pubblico.

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Si è rotto il Parco Lambro, di nuovo

Si è rotto il Parco Lambro, di nuovo. Perché Milano è bellissima, si vive bene, i mezzi pubblici funzionano, i parchi sono tenuti bene…ah no scusate. Dovevamo usare l’imperfetto. In omaggio alla verità fattuale e all’attuale sindaco, campione di imperfezioni (mai visto un condannato restare sindaco, per dirne una). Perché Milano ERA bellissima, si VIVEVA bene, i mezzi FUNZIONAVANO bene e i parchi ERANO tenuti bene. Oggi invece siamo arrivati al punto che spesso vengono chiusi a causa del maltempo. Eppure c’è tanto di assessore al Verde da sempre, persona che il cittadino suppone si debba occupare di tenere in ordine i parchi. Compresa la cura vera degli alberi, quella che prevede le potature e se necessario gli abbattimenti. Non quella dei disegnini o delle fotine da Instagram. Perché se no poi lorsignori i soldi delle tasse per tutto ciò, stipendio dell’assessore compreso, li vogliono, però non garantiscono il ritorno. Anzi, in caso di emergenza vietano ufficialmente l’ingresso ai parchi (ricordiamo tutti gli anni scorsi) perché così se qualcuno si fa male, non può denunciare il condannato di Palazzo Marino o i suoi fedeli. Infatti non hanno combinato nulla di rilevante e dopo gli ultimi venti si è rotto il Parco Lambro, di nuovo (vedere la foto a corredo di questo articolo). L’ultima volta erano caduti così tanti alberi che il legno triturato ricavato ha scaldato buona parte delle case popolari di Milano. Non c’è un male senza un bene dunque. Salvo, a quanto pare, nel caso di Sala. Il cui contributo al miglioramento della città non è noto.

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Verri (Lega): “Beppe Sala il censore si ricicla speaker radiofonico. Ma quando governa?”

Verri (Lega): “Beppe Sala il censore si ricicla speaker radiofonico. Ma quando governa?”. “Beppe Sala sbarca su Rtl con una rubrica mensile e, come troppo spesso accade, la prima cosa che fa è attaccare gratuitamente la Lega e Matteo Salvini” così Alessandro Verri sulle parole di Sala in radio. “Sala in cerca di ricollocamento, ora si ricicla speaker radiofonico per nascondere i gravi e ormai evidenti fallimenti della sua amministrazione. Non avendo idea di cosa fare, si cimenta in altro” Duro l’attacco di Sala sul Reimigration Summit previsto per il 17 maggio. “Parla di semplificazioni e slogan – continua Verri – ma è proprio lui il primo a banalizzare temi complessi come l’immigrazione, limitandosi a frasi ideologiche e inutili moralismi. La verità è che Milano è una città sempre più insicura e fuori controllo e Sala non ha né la visione né il coraggio politico per affrontare davvero le sfide che i milanesi vivono ogni giorno.” “Beppe si dice “democratico” e poi vuole censurare un convegno di libere opinioni. Pensi a risolvere i problemi reali dei cittadini, anziché attaccare chiunque abbia un’idea diversa. Milano non è “cosa sua” e non deve essere ostaggio del pensiero unico della sinistra più intollerante e autoreferenziale.”

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