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L’addio di Alitalia a Malpensa fa ancora discutere

L’addio di Alitalia a Malpensa fa ancora discutere. Perché è un brutto colpo per l’economia del territorio, perché è un brutto segnale anche mediatico e perché in fondo certifica il fallimento di un aeroporto per costruire il quale è stato devastato il Parco del Ticino. Dopo decenni si conclude come molte altre grandi opere pubbliche italiane: un affare per chi ha venduto al pubblico i terreni, i materiali e quant’altro. Ma un buco nero da cui sarà difficile uscire per i territori. Intanto ripartono i confronti politici tra chi è convinto che sia colpa del governo (magari ladro per restare su argomenti retrò) e chi che è colpa della Lombardia, come se fosse uno stato autonomo. “Il Governo su Malpensa farà la sua parte ma la Regione deve iniziare a fare quello che finora non ha fatto quasi per nulla, occuparsi degli aeroporti lombardi”. Cosi’ il consigliere regionale del Pd, Samuele Astuti, replica a Emanuele Monti (Lega), che lo ha accusato di avere un “comportamento inaccettabile a danno di Malpensa”, dopo l’annuncio di Alitalia, che non volerà più sullo scalo di Malpensa dal prossimo 1 ottobre, e non sposterà i voli su Linate. “Monti – afferma Astuti – non ha affatto capito le mie parole. Ho detto chiaramente che quello di Alitalia è un bruttissimo segnale per Malpensa. Il Governo farà senza dubbio la sua parte con il piano nazionale degli aeroporti ma la Regione deve, esercitando quell’autonomia che sempre invoca, fare la sua e occuparsi degli aeroporti lombardi stilando un piano regionale strategico degli scali”. Forse la polemica tra maggiornaza e opposizione potrebbe prendere una piega positiva, con le due parti che collaborano per cercare un futuro a Malpensa. Forse.

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Coraggio si ricomincia: dritti verso il baratro

Coraggio si ricomincia: dritti verso il baratro. Le vacanze estive sono ufficialmente finite da oggi per la maggior parte dei comuni mortali. Milioni di persone si riverseranno di nuovo nelle città per ricominciare l’opera di produzione del Pil e di sogni in un domani migliore. Peccato che il domani migliore non ci sia all’orizzonte, ma a noi italiani finché è garantito un piatto di pasta e un bicchiere di vino tiriamo avanti. Eppure il problema non è affatto secondario: le uniche prospettive sono pessime. La migliore di tutte sarebbe un governo stabile, quale che sia: ormai i parlamenti e i governi nazionali valgono fino a un certo punto, quindi al mondo interessa solo la quiete. Chi continua ad agitarsi, agita tutta la compagnia e si guastano gli affari di tutti. Siamo ormai da decenni in un mondo dove i bottoni di un pigiama vengono costruiti a Tokyo con materiali presi a Bengasi per poi essere cuciti a Kiev e venduti in Arizona. Quindi quello che interessa adesso al mondo è stare calmi, ma l’Italia non è in grado. Persino il così detto governo del cambiamento è durato solo 15 mesi. Un quinto di quanto previsto dalla Costituzione per il governo. Ma anche se per miracolo accadesse con l’attuale sistema andremmo semplicemente verso il progressivo acuirsi delle differenze sociali come accaduto negli scorsi decenni. Ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. E parliamo dello scenario migliore. Poi ci sono gli altri: ad esempio quello che si sta materializzando, cioè lo specchio di un altro governo tecnico per alzare le tasse e diminuire i servizi tutto in un colpo. Monti è stato solo l’inizio: la situazione in realtà non è affatto migliorata da quando il professore fu chiamato a sistemare i conti disastrati della Repubblica. L’industria o quel che ne rimane è in difficoltà, il lavoro c’è ma o non permette di vivere o non incontra le competenze necessarie. I debiti aumentano e non i guadagni. Allo stesso tempo la classe dirigente non pare in grado di offrire soluzioni se non per sè stessa. Coraggio si ricomincia: dritti verso il baratro. Non ci viene da dire altro: la riforma proposta dai 5 stelle, l’abolizione di 345 parlamentari, può essere un inizio per recuperare soldi e senso di un Parlamento sostanzialmente inutile. I problemi dell’Italia sono molto più strutturali e la soluzione non può essere solo quella prospettata da Mattarella di cercare di andare avanti così come siamo. Il mondo è cambiato e se si seguono le vecchie regole l’unico destino è il baratro. Magari arrivandoci con velocità diverse, ma per ora è l’unica prospettiva.

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