morti

Bennardo Pagano e Luigi Giallonardi i ragazzi morti nell’incidente di viale Forlanini

Il racconto della loro ultima serata è come un puzzle di stories su Instagram. Appuntamento a notte fonda al «The Beach», discoteca di via Corelli, all’estrema periferia est di Milano. C’è da festeggiare: il compleanno di un amico comune, e pure quell’Halloween che offre l’occasione per trasformarsi. Bennardo «Benny» Pagano, 24 anni, anche martedì sera è in completo e cravatta. Come sempre, come ogni giorno quando va al lavoro. Lo si vede nella sua ultima story pubblicata a favor di social che ormai è già l’1 novembre. Solo che per il party a tema si presenta con vestito total white, corredato da macchie di sangue posticcio. In quelle immagini è insieme alla sua fidanzata, che più tardi sarà seduta sulle sue gambe, sesto passeggero (sul sedile posteriore ci sono anche altri due amici) della Peugeot. Nello scontro, oltre al muso accartocciato, è tutta la fiancata dell’auto a subire  l’impatto che per Pagano ( ma non solo) si rivelerà mortale. Benny» — un fratellino e una sorella maggiore — da un paio d’anni s’era trasferito con i genitori fuori città, a San Donato. Per farlo aveva aperto un mutuo a suo nome. Nato a Milano, ma tifoso del Napoli (i genitori sono originari di Lusciano, in provincia di Caserta) lavorava per Generali, dove da consulente assicurativo era cresciuto fino a diventare manager di una delle sedi milanesi. «Era molto preparato, gli piaceva studiare», lo ricorda Giuseppe Cammarata, un ex collega: «È difficile associare la morte a chiunque fino a un attimo fa era vivo. E soprattutto a Benny, che aveva una voglia di scherzare, di sdrammatizzare che è quanto di più lontano ci sia dalla morte. Sempre pronto alla battuta, alla gag, all’imitazione: portava allegria». Sul suo profilo social rimbalza la voglia di divertimento, le serate, le vacanze. Con lui muore anche Luigi Giallonardi, due anni più grande, originario di Giulianova, in provincia di Teramo. C’era lui alla guida dell’auto. Tutti lo descrivono come «un bravo ragazzo», e «un grande lavoratore»: diploma conseguito al Politecnico del commercio, e poi anni passati a fare il cameriere e il pizzaiolo, prima in un locale a Merate (Lecco), poi nell’ultimo anno a Milano. In quella discoteca i due ragazzi andavano spesso. «Sempre nei nostri cuori, sempre con noi», è il ricordo che dedicano loro gli amici.

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Rispetto per i morti lombardi

Rispetto per i morti lombardi. Ci vuole. In tanti sensi. Il primo è quello di evitare frasi scomposte e paragoni fuori luogo. Specialmente per chi ha l’onore più che l’onore di scrivere sulla stampa nazionale. La libertà di opinione è sacra, ma ci vuole buon senso: viviamo in tempi in cui il concetto di democrazia è stato associato alla libertà di fare ciò che ci pare quando ci pare. Dunque la confusione sui concetti di base della convivenza civile è comprensibile. Anche il diritto a manifestare liberamente è stato messo in discussione dalle sfilare novax, dunque gli errori di interpretazione sono in entrambe le direzioni. Perché come sbaglia gravemente chi scambia la libertà di espressione per libertà di sparare idiozie, sbagliano le istituzioni e chi le appoggia a distinguere tra chi può e chi non può manifestare senza essere identificato dalla Polizia. I diritti vanno preservati in tutte le sedi perché una volta restituiti al Potere, difficilmente li vedremo restituiti. Allora a maggior ragione ci vuole rispetto per i morti lombardi, perché la nostra regione ha subito più di altre i colpi della pandemia. Con migliaia di morti, spesso seppelliti fuori regione perché non c’era più posto nei cimiteri. Abbiamo subito le morti, le restrizioni e molte altre sofferenze che hanno infierito sulla popolazione ormai stremata. Abbiamo pure visto messo in discussione il diritto a manifestare come molti altri visto che da due anni siamo in “stato d’emergenza”. Ma la strada non è scavare verso il basso, semmai guardare in alto. Puntare a migliorare il racconto del presente per tutelare al meglio le nostre libertà e il nostro futuro. Non serve appendere la testa di un giornalista che ha sbagliato molto, anzi moltissimo, a negare l’esistenza dei morti di Bergamo. Perché i trofei non sono mai le teste appese in salotto, ma i testi sacri come la Costituzione che ci tutela tutti. Dobbiamo pensare a tutti. Però non va mai perduto il rispetto. Non subivamo tante perdite umane dalle Guerre del Novecento. Dunque prima di parlare, e ancora prima di scrivere, è necessario riflettere, ma nel senso di pensare, non nel senso di riproporre ciò che vediamo nello specchio dei social. Altrimenti si è un guscio vuoto e senza senso che insulta le croci in fila nei nostri cimiteri.

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I nostri morti

I nostri morti. Mai come oggi un’espressione densa di significati del presente. In Lombardia i nostri morti sono tanti, il conto in realtà è ancora in corso. Ma sono tanti, troppi per poterli dimenticare in fretta. E forse in uno di quei giorni di solito ricordati solo dai nonni, potremmo riscoprire un’opportunità per riannodare i fili della tradizione con il tempo presente. Perché la ricorrenza dei defunti è appannaggio di chi la vede più vicina al suo futuro, con discussioni regolari come l’influenza invernale sulle vere origini di Halloween nella millenaria disputa tra paganesimo e cristianesimo. Ma la tragedia vissuta dal mondo ci unisce a tutte le nazioni del pianeta e allo stesso tempo ci ricorda che in realtà la morte non è qualcosa che riguarda solo gli anziani ma ci unisce tutti. Oggi i lombardi e gli italiani hanno una grande occasione: riconciliarsi con la propria tradizione dando un significato positivo all’onda di morte che ha sommerso lo Stivale dal 2020 in poi: quale messaggio più forte possono lasciare le persone scomparse se non una grande pacificazione tra generazioni? Il solco secolare come vuota memoria perde per forza consenso, ecco perché ci sono migliaia di giovani in piazza per un ddl Zan defunto, ma solo pochi e controvoglia a visitare i loro morti. O almeno così è stato negli ultimi anni. Prima della grande onda. Prima di trovare consolidata la paura di un nemico invisibile come il Fato in un virus violentissimo. Prima di trovarsi precipitati nei drammi manzoniani non solo per il capriccio di un insegnante di lettere, ma per una reale e durissima realizzazione della letteratura. Ecco dunque che in questo momento storico nella sua tragicità si possono rinsaldare i legami di sangue tra passato e presente d’Italia. Si potrebbe di nuovo parlare di nostri morti con un sorriso, perché da semplice dolore diventerebbero un ponte tra chi ricordava sempre più solo e chi è impegnato a riscrivere il futuro perché non si riconosce nel suo passato. Un legame forte. Resistente al tempo più del rancore, perché se l’Italia può avere un futuro è solo con l’amore. Non ricordando le divisioni, ma i punti che ci rendono più vicini. Come i nostri morti. I nostri morti.

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Lo smog causa 1.500 morti l’anno

Ogni anno a Milano sono circa 1.500 le persone che perdono la vita per l’esposizione a concentrazioni di biossido di azoto (NO2) oltre la soglia indicata dall’Organizzazione mondiale della sanità di 20 microgrammi per metro cubo. Il dato è stato illustrato nel corso di una conferenza stampa online del comitato ‘Cittadini per l’aria’ che ha promosso una campagna di scienza partecipata i cui dati sono stati elaborati dai ricercatori dell’Università degli studi di Milano e del Dipartimento di Epidemiologia del Sistema Sanitario della Regione Lazio. I cittadini nel corso della campagna sono diventati i campionatori di questa particella inquinante considerata killer: nel 2020 a Milano sono stati 277 i campionatori posizionati in diversi punti della città, dall’8 febbraio al 7 maggio, dai cittadini e che per un mese hanno misurato le quantità di questo inquinante presente nell’aria. Visto che in questi mesi la città era in lockdown e il numero delle auto, principali responsabili della presenza di NO2m, erano meno del solito i ricercatori su stime dell’agenzia Arianet hanno aumentato le loro misurazioni del +12,5%, per renderle in linea con gli altri anni non di pandemia e con il livello di traffico. ANSA

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A Milano ritardi nella gestione Covid: “Hanno chiamato pazienti già morti”

A Milano ritardi nella gestione Covid: “Hanno chiamato pazienti già morti”. Assurdo e imbarazzante, così l’hanno definito gli operatori sanitari del territorio, eppure è successo e hanno dovuto ammettere che a a Milano per i ritardi nella gestione Covid hanno chiamato pazienti già morti. Il dato è emerso durante una seduta di una commissione del Municipio 9 in cui Simona Giroldi, direttrice sociosanitaria dell’ASST Niguarda, ha ammesso il problema: l’Ats della Città metropolitana è così lenta nell’assegnare i pazienti ai relativi medici e infermieri, che è arrivato diverse volte dopo la malattia. I pazienti erano o già ricoverati in ospedale o già morti. Imbarazzante, lo ha definito la dirigente. Difficile trovare altre parole per una sanità in cui si continua a ripetere che va tutto bene. Eppure mentre sono saltate le teste in Aria spa, la centrale acquisti regionale travolta dagli scandali sugli ordini presi dai parenti del governatore Attilio Fontana, nell’Ats metropolitana tutto passa: sono gli stessi che hanno ammesso come se fosse normale che avevano perso del tutto il tracciamento dei positivi, quando avevano avuto mesi di tranquillità per non farsi sfuggire la situazione di mano. Ma anche in questo caso probabilmente parleranno di problemi tecnici e casi isolati, se risponderenno, perché il Lombardia dall’ultima campagna elettorale del sindaco Sala si è diffusa la cattiva abitudine di ignorare gli altri. Sala non ignorò del tutto il suo avversario per mesi. E ora le istituzioni pubbliche sembrano aver preso esempio: non spiegano, non rispondono o se lo fanno accusano o contestano la domanda. Una brutta piega, persino peggiore del Coronavirus perché rischia di diventare un’abitudine. Come in certe realtà del Mezzogiorno dove in fondo la stampa è più che altro un modo per tagliare alberi e far posto a villette abusive. E forse anche per questo siamo stati costretti a titolare: A Milano ritardi nella gestione Covid: “Hanno chiamato pazienti già morti”.

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Covid19, Azione: “Regione Lombardia non fornisce i dati completi sulle Rsa”

Covid19, Azione: “Regione Lombardia non fornisce i dati completi sulle Rsa”. Lo affermano due consiglieri regionali lombardi: “Vogliamo sapere che cosa è successo in ogni singola Rsa lombarda, ma Regione Lombardia fornisce solo i dati ‘aggregati’, ufficialmente per tutelare la reputazione professionale di ciascuna Rsa, ma il dubbio e’ che qualcuna di queste strutture abbia avuto piu’ casi di altre”. E’ quanto sostengono i consiglieri regionali Elisabetta Strada (Lombardi Civici Europeisti) e Niccolo’ Carretta (Azione), che tornano a sollecitare la Regione Lombardia a fornire i numeri completi sulle strutture sanitarie e sulle Rsa. Dati, precisano, che l’assessore al Welfare Giulio Gallera stava illustrando in commissione sanità lo scorso 9 settembre, per poi fermarsi in seguito alle indicazioni del consulente legale dell’assessorato, che di fatto ha bloccato la diffusione dei numeri relativi a ogni singola Rsa lombarda. “Ad aprile, in piena pandemia Covid-19 – spiega Strada -, ho presentato a prima firma, insieme al collega Niccolo’ Carretta, due interrogazioni all’assessore Gallera per ricevere dati e informazioni sul numero di contagi e deceduti delle Rsa e delle strutture sanitarie pubbliche o accreditate, ma sono cinque mesi che stiamo aspettando risposte”. La questione delle Rsa lombarde, dove si sono concentrati la maggior parte dei decessi durante l’emergenza, sembrava chiusa, invece viene riaperta dai due consiglieri. Ora vedremo come risponderà Giulio Gallera all’attacco dei due centristi, perché è da qualche tempo che l’assessore al Welfare ha prudentemente scelto una linea di minor esposizione mediatica: l’assalto alla Lega e alla Lombardia è tutto meno che finito, quindi per quanto possibile meglio tenersi lontani dal centro del bombardamento.

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