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Più persone al Pride che al 25 aprile

Più persone al Pride che al 25 aprile. Il tema ci dovrebbe far riflettere. O almeno considerare i fatti: il Milano Pride 2022 è stato un indubbio successo di pubblico. Questa volta ha pure partecipato una Regione Lombardia governata dal centrodestra pur non concedendo il patrocino. Il Palazzo però si è illuminato e la fascia ufficiale è stata portata da un esponente della minoranza. Per l’Amministrazione regionale però è stata una bella idea perché piaccia o meno in strada erano presenti centinaia di migliaia di persone. Le stime come sempre variano, ma nessuno mette in dubbio l’ordine di grandezza. E soprattutto nessuno potrebbe mettere in dubbio che per il 25 aprile erano meno, molti meno. Nonostante fiumi di inchiostro con le ormai vetuste e stanche polemiche sull’Anpi, la brigata ebraica e la solita tiritera da 25 aprile, il tema sembra interessare più i boomers al comando che tutto ciò che gli sta intorno. Lasciamo stare il discorso sull’importanza o meno dell’evento in sé, perché si potrebbe riproporre per molti altri. Il vero tema è: a chi importa? Perché la maggioranza della popolazione subisce la ricorrenza a livello informativo, nonché di spese pubbliche tra sicurezza, contributi alle associazioni e quant’altro. Ma non sembra interessata. E non è tanto una questione che una diretta di un’ora di Chiara Ferragni probabilmente attirerebbe di più di tutti i comunicati del 25 aprile, ma un raffronto con il Pride. Perché anche in questo caso può piacere o meno, ma negli ultimi anni i diritti sessuali hanno spesso dettato l’agenda politica. L’ultimo esempio è stato il DDL Zan: nel mezzo di una crisi economica e pandemica che non si vedeva da un secolo, il Parlamento e le piazze italiane si sono bloccate per parlarne. Dunque non è forse il caso di archiviare il Novecento e iniziare a ripensare la politica italiana alla base? Per capire cosa intendiamo proviamo a suggerire un altro esempio: spesso si parla della vittoria ai mondiali di calcio dell’82, ma per tantissimi è materiale da tv in bianco e nero. Invece i mondiali del 2006 hanno segnato molte più persone. Eppure…

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Prete bergamasco al Pride: polemica con la stampa

Prete bergamasco al Pride: polemica con la stampa. In questi giorni si è celebrato il Milano Pride con un grande successo: come ha notato qualche commentatore si sono contate più presenze lì che al 25 aprile. Dato che dovrebbe far riflettere sui tempi moderni e sui temi che davvero interessano alle persone. Ma torniamo al caso: sui social appaiono materiali che riportano la presenza di religiosi alla sfilata e il quotidiano Bergamonews riprende la notizia. Ma subito scoppia una polemica e arrivano le precisazioni. Ecco la replica arrivata a Bergamonews: A seguito di quanto sopra pubblicato, don Marco Luca Bertani scrive: “Non mi pare di essere in un periodo di riflessione vocazionale. I miei superiori mi conoscono e sanno che sono felicemente prete. Prete che cerca nel suo piccolo di accompagnare quella porzione di Chiesa e quei fratelli, credenti e non, sofferenti e che si sento esclusi, giudicati e abbandonati”. Una replica a cui è stato dato subito spazio, ma che non placa l’ira religiosa a quanto pare. Eppure conferma quella che secondo la stampa era la notizia, cioè religiosi ufficiali che sfilano a una manifestazione dove di solito i simboli religiosi vengono vilipesi. Almeno secondo quella che appariva come la linea della Chiesa sul Gay Pride dove si sono viste Madonne di tutti i tipi e altre diciamo interpretazioni dei simboli del cristianesimo. Gesti insomma di quelli che non sembravano “credenti sofferenti”, ma piuttosto antagonisti della Chiesa e dei suoi valori. Anche se va riconosciuto a Don Bertani che pure Gesù era malvisto dalle gerarchie ecclesiastiche perché predicava un’altra religione. Sicuramente è suggestiva l’idea di colmare la mancanza di vocazione che si riflette dalle immagini di chiese sempre meno frequentate con le moltitudini del gay pride. Certo c’è un rischio di perdere tutti gli altri, ma l’idea resta suggestiva. Così come il caso della diocesi di Bergamo che negli ultimi anni sta regalando quelle che forse si possono definite “pillole di progressismo” sul tema dell’omosessualità. Vedremo come si risolverà lo scontro con la stampa, ma intanto sarebbe curioso sapere se anche a Roma qualcuno se ne sta accorgendo. Magari è un esperimento per vedere se funziona.

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Regione Lombardia non concede il patrocinio al pride

Il Gay Pride di Milano del 2 luglio non avrà il patrocinio della Regione Lombardia, negato anche quest’anno dal Pirellone: “Quanto fatto dalla Regione – ha spiegato il presidente di Arcigay Milano Fabio Pellegatta – si inserisce nel solco di quello che abbiamo visto negli ultimi anni, nonostante quello che succede in Italia in termini di discriminazioni”. Un’altra occasione persa, secondo Pellegatta, critico verso la linea tenuta dalla Regione soprattutto perché era “importante affermare le posizioni che hanno le istituzioni nei confronti di istanze di libertà come quelle che il Pride porta avanti”. L’associazione, come ogni anno, ha fatto richiesta di patrocinio al Comune di Milano e alla Città metropolitana. Entrambe le istituzioni hanno risposto positivamente. Semaforo rosso, invece, dalla Regione Lombardia. “La demagogia e l’intolleranza di questa classe politica non hanno limiti”, ha commentato il consigliere regionale del M5s Simone Verni sottolineando che il voto del Consiglio alla sua mozione a sostegno del Pride “aveva rappresentato un segnale, una speranza di un futuro fatto di maggiori diritti, più tollerante ed inclusivo”. Circa due settimane fa, infatti, l’Aula aveva approvato con voto segreto una mozione che impegnava la giunta a garantire una presenza istituzionale alla manifestazione Lgbt con la partecipazione di un esponente della Regione, oltre all’illuminazione della facciata di Palazzo Pirelli con i colori della bandiera arcobaleno.”La Giunta al contrario, scegliendo di non patrocinare il Pride – ha concluso il pentastellato – ha voluto affrettarsi a riportare l’ordine vigente in modalità medioevo”. ANSA

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