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Vaccino, terza dose e privacy: i chiarimenti del Garante

Vaccino, terza dose e privacy: i chiarimenti del Garante di Federica De Stefani, avvocato e responsabile Aidr Regione Lombardia La previsione della somministrazione di una terza dose di vaccino accende, ancora una volta, i riflettori sulla privacy e rende necessario l’intervento del Garante. Alla base di questa nuova “querelle” le affermazioni di Guido Bertolaso, coordinatore della campagna vaccinale della Lombardia, rilasciate a margine di un evento organizzato presso l’Ambasciata di Israele a Roma, secondo il quale la privacy limiterebbe la possibilità di chiamare e sollecitare gli assistiti alla somministrazione della terza dose di vaccino. Ancora una volta la privacy viene additata di essere inutile ostacolo che rallenta o impedisce attività di vario genere, invocando, per contro, le molteplici attività di marketing che “subiamo” quotidianamente (secondo quanto riportato dalla stampa le parole di Bertolaso sarebbero “Il Green Pass è la punta dell’iceberg di un dramma che si chiama privacy: ma di che cosa stiamo parlando, veniamo ascoltati e chiamati per qualsiasi pubblicità e poi non possiamo neanche chiamare direttamente le persone per sollecitarle a fare la terza dose perché violiamo la privacy. Non fatemi parlare di privacy perché altrimenti rischio qualche denuncia”). Emerge in maniera evidente e incontrovertibile come, per l’ennesima volta, la privacy viene invocata a sproposito, facendo confusione tra aspetti che devono essere considerati in modo autonomo perché concettualmente diversi. È dovuto intervenire, quindi, il Garante per fare chiarezza e per ribadire, ancora una volta, che nel caso di chiamate per la somministrazione della terza dose di vaccino non si viola la privacy. Nel comunicato del 5 novembre [doc web 9715558] si legge testualmente “L’Autorità ribadisce quindi che le iniziative volte a promuovere la vaccinazione siano realizzate attraverso gli operatori del Servizio sanitario nazionale, coinvolgendo, auspicabilmente, i medici di medicina generale, a cui è nota la situazione sanitaria degli assistiti, anche riguardo ad aspetti che sconsigliano la vaccinazione in assoluto o temporaneamente. L’Autorità ricorda infatti che, a tutela della riservatezza degli assistiti, le iniziative per promuovere e sollecitare la terza dose di vaccino, non possono avvenire attraverso altri organi o uffici amministrativi regionali o comunali”. Nessuna violazione della privacy, quindi, per il richiamo per la terza dose di vaccino. Come anticipato, inoltre, la necessità di contattare i cittadini per la somministrazione della terza dose non può in alcun modo essere equiparata alle chiamate “per qualsiasi pubblicità”. Queste ultime, infatti, rientrano tra le attività di marketing per le quali l’utente deve aver fornito il proprio consenso e, nell’ipotesi in cui l’attività venga effettuata senza questa indispensabile base giuridica, l’operatore è esposto alle sanzioni previste dal Regolamento europeo (l’art. 83 prevede sanzioni amministrative fino 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo). Chissà da dove deriva quel consenso che, ipotizziamo sia un’attività lecita, consente all’operatore di chiamarci “per qualsiasi pubblicità”. Abbiamo letto le condizioni di contratto? Abbiamo letto le privacy policy dei siti che consultiamo? Delle app che utilizziamo? Cosa abbiamo accettato? Lo sappiamo? La risposta è negativa. Non lo sappiamo perché non leggiamo, non ci fermiamo e non prestiamo la dovuta attenzione alla tipologia di dati che forniamo e alle finalità per le quali verranno utilizzati. Salvo poi lamentarci se riceviamo “qualsiasi pubblicità” e invocare la violazione della privacy a giustificazione di comportamenti errati di cui siamo noi i principali artefici.  

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Come ti “spia” la Rai con la tecnologia

Come ti “spia” la Rai con la tecnologia. Perché l’economia dei dati è tutto ormai e lo sa pure la Rai che si adattata ai tempi. Almeno in parte. E allora siamo andati a leggerci il contratto stipulato dall’utente medio di una smart tv. Perché è finito il tempo in cui solo i dati Auditel erano la bibbia delle preferenze televisive: ora con le nuove tecnologie è possibile “spiare” gli spettatori. Le virgolette sono d’obbligo perché il verbo spiare si riferisce a un’attività celata perché illegale o immorale. Invece ciò che la Rai fa è perfettamente legale. Se i dettagli sono sconosciuti è perché quasi nessuno si ferma a leggere prima di schiacciare Accetta quando viene avvertito dal sistema automatico. Dunque per essere più precisi si dovrebbe scrivere “studia”. Ma il punto è quello: la televisione ti guarda e registra cosa fai, cioè estrae dati da te. Vuole sapere cosa guardi, quando lo guardi, per quanto. Insomma tutto ciò che ti piace e le condizioni in cui lo guardi. Perché un primo elemento essenziale (lo cita proprio il contratto) è sapere se hai una famiglia. Perché le famiglie sono un’unità produttiva essenziale per le industrie: i clienti. Allora per rispettare le norme la Rai registra il tuo indirizzo IP (il “codice fiscale” della televisione) lo modifica con un calcolo matematico per dargli un numero identificativo casuale e poi inizia a registrare. All’Auditel finiranno con il sentirsi male, perché seppure in Italia le cose cambino con molta molta lentezza, succederà che anche loro si ritroveranno del tutto inutili. Perché lo studio diretto degli utenti è la miniera d’oro per il futuro delle aziende televisive. Conoscere le abitudini del pubblico nel dettaglio permette di programmare al meglio cosa mandare in onda, soprattutto quali pubblicità. Per non parlare di tutte le aziende partner e controllate che possono sviluppare prodotti specifici a segmenti precisi di popolazione. E più ci si immerge nella realtà digitale, più la Rai ti studia: come specifica il contratto, se compili il profilo di RaiPlay, la tua cartella si arricchisce di dettagli come il sesso e l’età. Ed ecco che diventa più chiaro perché sui computer e sui telefoni ci arrivano pubblicità corrispondenti ai nostri desiderata. Perché i dati servono a tutti. Per questo la Rai ti spia, ops, ti studia.

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Microsoft assicura: la Privacy su Teams è garantita

Microsoft assicura: la Privacy su Teams è garantita. L’annuncio arriva dopo che il sistema di conference call è diventato quanto mai centrale viste le centinaia di milioni di persone improvvisamente catapultate nel mondo dello Smart Working. Ecco la comunicazione dell’azienda di Bill Gates. Microsoft conferma il proprio impegno per la sicurezza e la privacy degli utenti, ancora più importanti in un momento come questo, in cui smart working e collaborazione online sono sempre più pervasivi. Gli utenti Microsoft Teams hanno infatti il massimo controllo su chi possa accedere ai propri meeting o alle relative informazioni. È possibile, ad esempio, stabilire chi possa accedere direttamente a un meeting virtuale e chi debba invece attendere di essere ammesso; è altresì possibile rimuovere i partecipanti durante un meeting, stabilire chi possa presentare o condividere contenuti e chi sia solamente uno spettatore. Nel caso in cui venga attivata la registrazione del meeting, tutti i partecipanti vengono immediatamente avvisati e possono accedere direttamente all’informativa sulla privacy. Le registrazioni, conservate in un archivio sicuro protetto da crittografia, sono quindi accessibili solamente ai partecipanti e alle persone invitate al meeting. Il diritto alla privacy è un valore fondamentale della filosofia di Microsoft e si concretizza nell’impegno dell’azienda a garantire agli utenti trasparenza e controllo su raccolta, utilizzo e comunicazione dei propri dati. Gli utenti Microsoft Teams, infatti, possono accedere ai propri dati in qualsiasi momento e hanno la garanzia che, al termine del proprio abbonamento, tutti i dati verranno eliminati. Inoltre, Microsoft si impegna a non usare i dati relativi all’utilizzo di Teams per scopi pubblicitari e a non tracciare le attività o l’attenzione dei partecipanti a un meeting. Microsoft Teams rispetta oltre 90 leggi e standard normativi a livello globale, incluso il GDPR, e applica le massime misure di sicurezza per limitare l’accesso ai dati degli utenti. Microsoft ha definito nel dettaglio i requisiti necessari per rispondere alle richieste dei governi e aggiorna regolarmente i propri report sul Transparency Hub, dove vengono dettagliate le risposte alle richieste di terze parti. In qualità di leader nel campo della cybersecurity, Microsoft analizza oltre 8.000 miliardi di segnali ogni giorno e utilizza queste informazioni per proteggere proattivamente i propri utenti dalle minacce informatiche. Microsoft crittografa i dati comunicati via Teams e li archivia in modo sicuro all’interno dei propri data center, applicando il protocollo SRTP (Secure Real-time Transport Protocol) alla condivisione di video, audio e delle schermate. Infine, gli amministratori IT possono attivare la multi-factor authentication, che potenzia ulteriormente la protezione degli account richiedendo una seconda forma di verifica della propria identità. È possibile approfondire ulteriormente l’impegno di Microsoft nella protezione degli utenti Teams leggendo i seguenti blog post: Our commitment to privacy and security in Microsoft Teams For IT Professionals: Privacy and security in Microsoft Teams  

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