processo

Fontana va al “processo” sui mesi della quarantena

Fontana va al “processo” sui mesi della quarantena. Non poteva aspettare oltre il governatore lombardo: troppe le inchieste, pure lui ora è indagato, troppi gli attacchi che stanno logorando la maggioranza a trazione leghista che governa la regione economicamente più importante d’Italia. L’assedio a lui e ai suoi assessori è sempre più duro e prima o poi Attilio Fontana doveva smetterla di nascondersi dietro Salvini. Ecco dunque che ha deciso di affidarsi a un lungo intervento in Consiglio regionale per raccontare la sua versione dei mesi più duri dell’Italia e della Lombardia in particolare. A darne l’annuncio lui stesso su Facebook: Buongiorno! Oggi ore 10.30 rispondo. Intervengo in Consiglio Regionale per rispondere alle troppe false ricostruzioni create ad arte in queste settimane per danneggiare me e la giunta che presiedo per mero opportunismo politico.  Le notizie uscite in questi giorni avrebbero dovuto porre fine alle polemiche.  In molti mi avete espresso solidarietà, vicinanza e finanche ringraziamenti. Altri purtroppo stanno travisando i fatti e, come al solito, in questa Regione lo scarso contenuto politico delle opposizioni porta a ricostruzioni fantasiose della realtà per attaccare la giunta che con orgoglio presiedo. Ore 10:30, ci siete? Mai mulà! #ForzaLombardia Ad attendere il presidente c’è un fuoco di fila delle opposizioni, sebbene il Partito democratico si presenti come di consueto con più linee, il Movimento Cinque Stelle punta dritto contro il governatore come affermato da Massimo De Rosa, capogruppo M5S Lombardia: “Il Movimento 5 stelle è pronto a presentare la mozione di sfiducia al presidente Fontana. Il presidente, da tempo inspiegabilmente assente, deve venire a riferire in Aula. Basta annunci, basta dichiarazioni mezzo stampa, basta bugie, all’istituzione che rappresenta e ai cittadini Fontana deve rendere conto. Dalle mascherine pannolino ai test sierologici, senza dimenticare l’ospedale in fiera, fino al caso camici per il quale è indagato, sono tante le risposte che il governatore deve ai lombardi. A cominciare dal motivo per il quale l’assessore Gallera sia ancora al suo posto. Le persone il cui fallimento oggi è diventato cronaca e materiale da procura, non possono essere le stesse che dovranno guidare la ripartenza della nostra regione, gestire le risorse che arriveranno grazie al ricovery fund e garantire la nostra salute in vista del prossimo autunno. Serve un atto politico coraggioso per la storia che stiamo andando a costruire, siamo pronti a chiedere la sfiducia del presidente Fontana e chiediamo alle altre forze d’opposizione di sostenere la nostra richiesta”, conclude il pentastellato. Dunque Fontana va al “processo” sui mesi della quarantena. E insieme a lui tutta la nuova Lega che ha cuore e testa nel gruppo dei “milanesi” fedelissimi di Matteo Salvini. Il gruppo delle valli si è già espresso per bocca del suo esponente più autorevole, Giancarlo Giorgetti, chiarendo che quei mesi secondo loro andrebbero considerati come periodo bellico e dunque non sottoponibile a regole normali. Oggi invece sapremo quale sarà la linea di Fontana.

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Insulti e aggressione alla Brigata Ebraica, quattro antagonisti a processo

La procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro antagonisti che il 25 aprile 2018 al corteo per l’anniversario della Liberazione si sono scagliati contro i rappresentanti della Brigata Ebraica. Il capo del pool antiterrorismo di Milano Alberto Nobili e il pm Leonardo Lesti hanno contestato l’aggravante dell’odio razziale. Tra i quattro – c’è un quinto indagato senza aggravante – c’è anche Claudio Latino arrestato nell’operazione ‘Tramonto’ del 2007 sulle cosiddette ‘nuove Br’. Latino è accusato, insieme a un altro indagato, di minacce con “finalità di odio etnico e razziale“. I due al passaggio dei rappresentanti della Brigata ebraica avrebbero minacciato i manifestanti facendo uno “il gesto dello sgozzamento” e Latino “simulando la sventagliata di una mitragliatrice“. Altri due indagati, invece, avrebbero scagliato una bottiglietta d’acqua. Un quinto indagato, invece, è accusato di resistenza a pubblico ufficiale perché partecipando al presidio ‘Fronte Palestina’ nello stesso corteo, avrebbe colpito con una canna da pesca, utilizzata come portabandiera, un agente.

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Fedez a processo per aggressione

Il rapper Fedez è imputato per lesioni davanti al giudice di pace per una lite con un vicino di casa, che ha riportato 10 giorni di prognosi, in zona Tortona, avvenuta intorno alle 6 del mattino il 12 marzo del 2016. Nell’udienza dello scorso 21 novembre, davanti al giudice Tommaso Cataldi, ha testimoniato il cantante Fabio Rovazzi, che era presente al momento della rissa e ha riferito che sarebbe stato il vicino a colpire Fedez con un pugno. Fedez e il vicino di casa avevano entrambi sporto denuncia dopo la lite, di cui si era parlato all’epoca sui media. Quello che si sta svolgendo davanti al giudice di pace milanese è il procedimento a carico del rapper 30enne. Nell’imputazione a carico di Federico Leonardo Lucia, in arte ‘Fedez’, si legge che lui avrebbe aggredito il vicino di casa che si era affacciato alla sua porta per via della musica alta che proveniva dell’appartamento, causandogli anche un trauma cranico lieve. ANSA  

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Croato uccise il figlio, accusato anche di tortura

E’ accusato anche di tortura per avere colpito con “calci e pugni“, provocato “almeno tre bruciature con l’estremità di sigarette accese” e per aver ustionato “con una fiamma viva” i piedini del figlio di poco più di 2 anni, Alija Hrusic, il 25enne di origini croate in cella per l’omicidio del piccolo avvenuto lo scorso 22 maggio a Milano. Lo si legge nella chiusura delle indagini in cui la moglie è stata scagionata ed è, con gli altri due figli, parte offesa in quanto maltrattata dal marito. Nell’avviso di conclusione delle indagini notificato oggi dal pm Giovanna Cavalleri, l’uomo risulta indagato per omicidio volontario aggravato, torture aggravate e maltrattamenti aggravati. In particolare il pm ha contestato l’omicidio aggravato dall’avere adoperato “sevizie” e dall’avere agito “con crudeltà verso il bambino, per motivi futili consistiti nel fatto che il piccolo, lasciato senza pannolino, si fosse sporcato“. ANSA  

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PM pronto a chiedere il processo con rito immediato per Tatarella e altri indagati

La Procura di Milano si appresta a chiedere il processo con rito immediato, per saltare la fase dell’udienza preliminare, per una decina di persone, tra cui l’ex consigliere comunale milanese ed ex vicecoordinatore lombardo di FI Pietro Tatarella e l’ex esponente di FI a Varese Nino Caianiello, ribattezzato il “burattinaio”, arrestate il 7 maggio scorso nell’inchiesta ‘mensa dei poveri’ su un vasto giro di tangenti, appalti truccati, nomine pilotate e finanziamenti illeciti alla politica. Da quanto si è saputo, il procuratore aggiunto Alessandra Dolci e i pm Silvia Bonardi, Luigi Furno e Adriano Scudieri dovrebbero inoltrare al gip Raffaella Mascarino la richiesta di immediato nel giro di una decina di giorni o poco più. Richiesta che riguarderà soltanto gli indagati ancora in stato di custodia cautelare, ossia in carcere o ai domiciliari (le misure del blitz, compresi obblighi di firma, furono 43 in tutto), tra cui anche l’imprenditore della Ecol-Service Daniele D’Alfonso e l’ex manager di Amsa, l’azienda milanese dei rifiuti, Mauro De Cillis e non invece, ad esempio, il consigliere lombardo di FI Fabio Altitonante, tornato libero ai primi di agosto. Gli inquirenti, poi, in uno stralcio dell’indagine che non riguarda accuse di corruzione, dovranno anche decidere se chiudere o meno le indagini, in vista di una richiesta di processo, a carico del governatore lombardo Attilio Fontana, accusato di abuso d’ufficio per un posto assegnato al suo ex socio di studio legale Luca Marsico al Nucleo valutazione degli investimenti in Regione. Il suo legale, l’avvocato Jacopo Pensa, già a luglio ha depositato una memoria difensiva in Procura per contrastare le tesi dei pm su presunte violazioni del principio di imparzialità nella pubblica amministrazione e del dovere di astensione per conflitto di interessi. All’inizio della prossima settimana gli inquirenti sentiranno nuovamente nel carcere milanese di Opera Caianiello, che a inizio agosto avrebbe reso prima parziali ammissioni su soldi incassati, senza pero’ mai parlare in modo esplicito di mazzette. Tanti indagati, invece, già subito dopo gli arresti e prima della pausa estiva hanno riempito pagine e pagine di verbali collaborando con i pm e, dunque, gli inquirenti nei prossimi giorni inoltreranno ad un altro gip le richieste di patteggiamento per una decina di loro, tra cui Alberto Bilardo, ex segretario di FI a Gallarate e uno degli uomini più vicini a Caianiello. Proseguono nel frattempo gli accertamenti in un altro filone dell’inchiesta che vede indagata per finanziamento illecito, corruzione e truffa aggravata l’ormai ex eurodeputata azzurra Lara Comi, e tra gli altri anche Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia. Stando ad un verbale agli atti dell’inchiesta, reso da Laura Bordonaro, ex manager di una società partecipata (anche lei ha chiesto di patteggiare), nel corso di un pranzo Caianiello, Comi e Carmine Gorrasi, ex responsabile di FI a Varese, avrebbero discusso della necessita’ di costituire società per far transitare soldi al fine sia di realizzare finanziamenti elettorali che di far rientrare parte dei soldi a Caianiello. ANSA  

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Processo piastra, requisitoria dell’accusa

Ipotizzare che Giuseppe Sala, in qualità di commissario unico ed amministratore delegato di Expo, fosse all’oscuro del problema relativo alla retrodatazione dell’atto di nomina della commissione di gara dell’appalto sulla Piastra, opera portante dell’Esposizione universale, “farebbe torto alla sua intelligenza e alle sue capacità manageriali“. Così il pg di Milano Massimo Gaballo durante la requisitoria in aula per il processo sulla cosiddetta Piastra, che vede imputato il Sindaco Giuseppe Sala per falso materiale e ideologico. Per il rappresentante della pubblica accusa – che non risparmia stoccate alla difesa del primo cittadino che tenterebbe di “gettare discredito su questo ufficio” – la “prova della consapevolezza” di Sala “è incontrovertibile” rispetto alla retrodatazione della nomina di due commissari ‘necessari’ per “mettere la procedura a riparo da eventuali ricorsi” che vista la “situazione di drammatico ritardo” avrebbe potuto “mettere in forse l’evento“. Il pg nelle sue repliche in aula, pari a otto pagine di memoria consegnata alle parti, dà per scontato che l’incompatibilità di due commissari esista, per cui in definitiva “è assolutamente pacifico” che Sala non ha partecipato alle riunione tecniche, ma aspettasse dai tecnici indicazioni su come agire. Per Gaballo “la logica ci dice che non posteva essere solo Chiesa o Paris a decidere“, rispettivamente responsabile unico del procedimento e general manager, perché “Sala doveva firmare gli atti“. Per cui la soluzione partorita è quella della retrodatazione che aggira l’ostacolo di dover ripetere il bando di gara e quindi eventualmente allungare i tempi di assegnazione. ANSA  

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