processo

Rinviata al 12 la soluzione del mistero del processo UBI

Rinviata al 12 la soluzione del mistero del processo UBI. Nell’udienza del 4 maggio del procedimento che vede alla sbarra 30 imputati, tra cui nomi pesanti del sistema bancario italiano come Giovanni Bazoli, non si è ancora risolta la questione: secondo l’accusa sostenuta dal pubblico ministero Fabio Pelosi nell’assemblea dei soci del 2013 ci sarebbe stato una fraudolenta alterazione di maggioranza realizzata attraverso molteplici differenti condotte che portarono alla vittoria della lista Moltrasio. Per dimostrare l’effettiva alterazione della maggioranza occorrerebbe “vincere la prova di resistenza”. Il P.M. dovrebbe quindi dimostrare “al di là di ogni ragionevole dubbio” che, senza le numerose condotte contestate agli imputati, sarebbe certamente risultata vincitrice la lista che si è classificata seconda. L’impresa si preannuncia titanica: il P.M. dovrebbe dimostrare che almeno 2.600 voti espressi mediante delega in favore della lista risultata vincitrice non sono stati validamente espressi. Nel corso delle indagini la Guardia di Finanza ha sentito oltre 400 persone e ha contato più di 1.100 voti non validi (perché frutto di deleghe “in bianco”, vietate per evitare il fenomeno di rastrellamento di voti per delega). Il P.M. ha chiesto al Tribunale di acquisire la prova indispensabile per dimostrare la tesi d’accusa: un file Excel contenente i nomi dei 14.000 soci di UBI che si sono presentati all’assemblea del 2013 e il codice univoco assegnato “at random” ad ogni votante. L’abbinamento del nominativo di ogni singolo socio ad un codice numerico è indispensabile per poter ricostruire le determinazioni di voto. Le schede di voto utilizzate da UBI riportavano infatti il codice assegnato ad ogni socio, così permettendo di “tracciare il voto”, cioè di sapere chi ha votato per chi. Ovviamente per consentire questo abbinamento socio – voto è necessario avere a disposizione i due elementi indispensabili: le schede di voto e il database riversato su un DVD che contiene gli abbinamenti tra i nomi dei soci e il codice assegnato. Lo scontro tra avvocati e PM che sta infuocando l’arena processuale si protrae dal 15 maggio e ha ad oggetto l’asserito (dalle difese) omesso deposito del database e delle schede di voto al momento della chiusura delle indagini preliminari, nel novembre 2016. Ma facciamo un passo indietro. Tutto il procedimento è incentrato sull’assemblea dei soci Ubi del 2013, l’ultima svoltasi con il vecchio assetto da banca popolare per Ubi: in sostanza, il gruppo dirigente della banca veniva eletto dall’assemblea dei soci. Ogni possessore di almeno 250 azioni di Ubi aveva diritto a esprimere un voto. E ciascuno poteva avere fino a tre deleghe di altri soci. L’impianto accusatorio sostiene che ci furono persone che rastrellarono deleghe in bianco e si presentarono a quell’assemblea votando per persone a loro sconosciute, dunque in assenza di qualsiasi indicazione di voto. Dal processo stanno emergendo una ad una le molteplici condotte ipotizzate dal P.M. Un esempio: gli apicali del gruppo avevano il divieto di portare deleghe come previsto dal Codice Civile. Eppure alcuni si sono presentati portando deleghe, in alcuni casi anche con decine di deleghe grazie a un meccanismo come questo: il socio si presentava sia come persona fisica, sia come rappresentante di società che possedevano un numero sufficiente di azioni per esprimere un voto. In questo modo sarebbe stato possibile moltiplicare anche il numero delle deleghe perché una singola persona rappresentava sé e le aziende. Il 4 maggio sono stati sentiti anche diversi dipendenti Confiab, Consorzio Fidi fra Imprese Artigiane della Provincia di Bergamo, che avrebbero fatto parte di un altro meccanismo volto a truccare il voto: la cassa del consorzio sarebbe stata usata per consegnare 3200 euro ad ogni dipendente “operativo”. Con questi soldi avevano ricevuto l’incarico di comprare 4 pacchetti da 250 azioni di Ubi, in parte per sé in parte per parenti e amici. Il mistero delle prove al processo Ubi resisterà almeno fino al 12 giugno. Nell’udienza del 4 maggio del procedimento che vede alla sbarra 30 imputati, tra cui nomi pesanti del sistema bancario italiano come Giovanni Bazoli, non si è ancora risolta la questione: secondo l’accusa sostenuta dal pubblico ministero Fabio Pelosi nell’assemblea dei soci del 2013 ci sarebbe stato una fraudolenta alterazione di maggioranza che portò alla vittoria della lista Moltrasio, ma la prova che potrebbe dimostrare la tesi d’accusa ancora non è stata prodotta. Nell’ultima udienza del procedimento i difensori degli imputati, gli avvocati Fabio De Matteis (dello studio dell’ex ministro Severino) e Dinacci, hanno lamentato la mancanza del DVD contenente il file con i nomi dei 14mila soci che avevano partecipato all’assemblea. Quel database dice chi c’era e quante deleghe aveva portato. Per sapere se il Tribunale riterrà utilizzabile la prova chiesta dal P.M. bisognerà aspettare il 12 giugno.

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Nove a processo per avere occupato case Aler

Un centinaio di persone, tra cui molti studenti di legge dell’università Statale, hnno preso parte questa mattina all’udienza del processo a carico di nove giovani finiti agli arresti domiciliari nel dicembre scorso con l’accusa di avere occupato case di proprietà pubblica e di avere messo in piedi un’associazione per delinquere finalizzata alla gestione illecita degli appartamenti popolari. L’udienza, davanti alla quarta sezione penale, durata circa un’ora, è però slittata al prossimo 11 luglio perché non sono stati depositati, fra gli atti del processo, i brogliacci contenenti le trascrizioni delle intercettazioni effettuate dai carabinieri che hanno condotto l’indagine, coordinata dal pm Piero Basilone e dal collega e capo del pool antiterrorismo Alberto Nobili. Nella prossima udienza, in cui è programmata la richiesta di ammissione delle prove, gli avvocati Mauro Straini e Eugenio Losco, legali degli imputati che fanno tutti parte del ‘Comitato abitanti Giambellino Lorenteggio‘, chiederanno formalmente al giudice di fare un sopralluogo nella zona, perché vedano di persona in quali condizioni siano appartamenti al centro delle contestazioni dei magistrati. Richiesta che era gia’ stata annunciata, dopo la scorsa udienza, dagli stessi giovani finiti alla sbarra: “Dall’inchiesta sembrava che le case occupate fossero pronte per essere assegnate a qualcuno – avevano detto – mentre, al contrario, sono state abbandonate da anni e le stesse abitazioni di cui si parlava nell’inchiesta sono ancora la, con delle lamiere e in alcune di queste c’è anche l’amianto“. I nove ragazzi sono finiti a processo con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata all’occupazione abusiva di immobili di proprietà pubblica e alla resistenza a pubblico ufficiale per una presunta gestione illecita di case popolari. Stando all’indagine, la presunta associazione per delinquere che non agiva per fini di lucro, avrebbe avuto “uno scopo comune: una propagandata giustizia sociale a tutela del diritto alla casa, volta a creare una soluzione all’emergenza abitativa, parallela e contrapposta a quella offerta dalle istituzioni“. Aler, l’azienda lombarda per l’edilizia residenziale proprietaria degli immobili al centro dell’inchiesta, si e’ costituita parte civile nel processo. ANSA  

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Processo Expo, Sala rischia un anno

Il sindaco Sala ha provato a dire che non ricordava, che non sapeva, insomma ha provato a sfilarsi dai suoi guai giudiziari legati a Expo 2015, ma la Procura di Milano è andata fino in fondo e ha chiesto una condanna per lui. La pena richiesta dai pm per aver truccato le carte dell’appalto sulla piastra di Expo, quello economicamente più rilevante, è di un anno e un mese. Il fatto che abbia retrodatato le carte per fare filare tutto liscio secondo i magistrati è provato. Lui vedremo come reagirà, ma visto il tipo pare improbabile che si dimetta. La poltrona da sindaco gli sta già stretta. In realtà, la pena sempre che venga confermata dai giudici è così bassa che il suo significato sarebbe principalmente politico. I giornali potranno chiamarlo Sala “l’onesto”, come lo sceriffo di Chicago nel film Prima Pagina. Adesso vedremo cosa dirà, perché per quanto si possa essere garantisti sono state richieste le dimissioni per molto meno a tanti altri. Neppure per un sindaco “imbruttito” è una patata semplice da sbollentare. In un’altra occasione gli era andata bene come potete leggere qui, ma non questa volta: Sala forse non rischia di perdere la libertà, ma sicuramente di vedersi incrinata la reputazione.  

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Sala chiede di essere sentito dai giudici del processo EXPO

Il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha deciso di farsi interrogare nel processo con al centro il maxi appalto per la Piastra dei Servizi di Expo che oggi ha preso il via a Milano e nel quale è imputato per falso assieme all’ex manager della società che ha gestito l’esposizione Angelo Paris A chiedere l’esame di Sala, ai tempi commissario straordinario di Expo, è stato stamane uno dei suoi difensori, l’avvocato Salvatore Scuto. Davanti ai giudici della decima sezione penale, presieduti da Paolo Guidi, i pg Vincenzo Calia e Massimo Gaballo e le difese hanno presentato le loro istanze probatorie sulle quali sono state formulate pure le eccezioni. Il collegio scioglierà la riserva il prossimo 10 dicembre. Tra i testi di cui è stato proposta la convocazione in aula figurano pure l’ex sindaco di Milano e inizialmente commissario di Expo Giuliano Pisapia, dell’allora presidente della società Diana Bracco e di tutti gli ex consiglieri.

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Incidente alla Lamina, rinviato a giudizio il titolare

La Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per Roberto Sanmarchi, legale rappresentante dell’azienda metallurgica Lamina dove il 16 gennaio scorso per una fuoriuscita di gas argon nella vasca di un forno per la lavorazione dei metalli morirono quattro operai. L’accusa e’ omicidio colposo plurimo con l’aggravante di aver commesso il fatto in violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro e la richiesta di processo, che segue la chiusura delle indagini di fine luglio scorso, riguarda anche la stessa societa’ indagata per la legge sulla responsabilita’ amministrativa degli enti. Nel frattempo, nelle scorse settimana Sanmarchi, assistito dal legale Roberto Nicolosi Petringa, ha risarcito le famiglie di tre dei quattro operai morti e la sua difesa era al lavoro anche per risarcire la quarta famiglia. L’inchiesta, coordinata dai pm Maria Letizia Mocciaro e Gaetano Ruta e dall’aggiunto Tiziana Siciliano, aveva evidenziato una serie di falle nei sistemi di sicurezza della fabbrica, messi in luce, in particolare, da una complessa consulenza tecnica. Era stato accertato che nella fabbrica, infatti, non c’erano nemmeno “procedure di sicurezza sulla utilizzazione della centralina di allarme del livello di ossigeno, in particolare sulla gestione della funzione di tacitazione” dell’allarme stesso che quel giorno suono’ al mattino e venne probabilmente disattivato da uno dei quattro operai. I risarcimenti extragiudiziali versati dall’imputato potrebbero essere utili, in teoria, per arrivare ad un accordo di patteggiamento tra la difesa e la Procura e su cui dovra’ poi esprimersi il gup. Ancora da fissare la data dell’udienza preliminare.

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