procura di milano

Ambasciata USA e Procura dettano la line alla Giunta

In questi giorni a Palazzo Marino si respira aria di sudditanza. Non siamo noi a dirlo, ma i fatti e anche alcuni Consiglieri Comunali di maggioranza e opposizione. Il particolare, la Giunta Sala, sembra avere adeguato la propria azione politica alle richieste dell’Ambasciata Americana e della procura di Milano. Nel primo caso a essere al centro dell’attenzione è la questione della cittadinanza onoraria da concedere a Julian Assange. Una richiesta reiterata ieri dal Consigliere Comunale Enrico Fedreghini, già concessa da “Napoli, Bologna, Roma, fatta da mezza Italia” ha ricordato il Capogruppo dei Verdi  Carlo Monguzzi, chiedendo “mi fate capire  perché a Milano non si può discutere?”. Richiesta caduta nel vuoto, perché come ha poi scritto Monguzzi sul suo profilo Facebook “Per la quarta volta la maggioranza di sinistra del Comune di Milano ci ha impedito di votare la cittadinanza onoraria per Assange”. Il motivo, che aveva già svelato in una precedente seduta del Consiglio Comunale, lo ha poi scritto nei commenti “le alte sfere non vogliono perché scontenteremmo il consolato americano”.  A fare saltare la mosca al naso, in particolare al Consigliere Comunale di Fratelli d’Italia Enrico Marcora è invece stata la scelta della Giunta di varare una delibera con cui adegua le proprie linee d’indirizzo in materia di urbanistica alle contestazioni fatte dalla Procura di Milano in merito ad alcune operazioni immobiliari oggetto d’indagine. Una scelta che può essere facilmente interpretata come un’ammissione di colpa, ove invece doveva esserci una difesa delle proprie ragioni, che comporta inoltre il coinvolgimento di tutte le operazioni simili realizzate negli ultimi anni, anche se non erano state attenzionate dalla magistratura. Marcora ha sottolineato inoltre che la linea del Comune non tutela gli operatori cui ha concesso autorizzazioni edilizie in virtù delle quali hanno operato, chiedendogli inoltre una compensazione integrativa a lavori già terminati in base a regole che non erano in vigore quando hanno aperto i cantieri. Insomma, sembra proprio che in alcuni settori della vita pubblica di Milano a decidere la linea non sia la Pubblica Amministrazione, ma la Procura di Milano e l’Ambasciata degli Stati Uniti.

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Criminalità organizzata: è scontra tra Procura e il Tribunale di Milano

La procura di Milano non ci sta. Aveva chiesto 153 misure cautelari nell’ambito della maxi inchiesta ‘Hydra’, sulle attività di cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra in alcune parti della Lombardia, di cui 87 in carcere, 33 ai domiciliari e il resto con obbligo di firma, e il gip Tommaso Perna ne ha concesse appena 11, tutte in carcere. Ma, soprattutto, lo stesso gip ha ‘smontato’ la teoria che esistesse un network criminale consolidato, che ‘lavorava’ congiuntamente, tra le varie famiglie e ‘ndrine, e sarebbe stata la prima volta in Lombardia, se non si considerano altre inchieste che avevano già fatto emergere collaborazioni estemporanee. La pm Alessandra Cerreti ha depositato un ricorso di oltre mille pagine al Tribunale del Riesame, tornando a chiedere gli arresti non concessi dal gip. Per la pm, il gip, non riconoscendo l’esistenza di una specie di “struttura confederativa orizzontale”, ha “ignorato e smentito le più eterogenee evidenze investigative e processuali dell’ultimo ventennio”. E, a riguardo di alcuni passaggi dell’ordinanza firmata da Perna, sottolinea che il controllo del territorio da parte delle cosche, nel centro-nord, si materializza attraverso “la ricerca di legami col mondo politico e imprenditoriale”, piuttosto che con “la violenza quotidiana”, andando a determinare “un diversificato ingresso anche nell’economia legale”. Insomma, si spara poco, o quasi niente, ma il controllo territoriale, caratteristica fondamentale per contestare l’associazione mafiosa, c’è. Inoltre la pm difende la visione di una struttura orizzontale di coordinamento, che a suo dire è emersa dall’inchiesta ‘Hydra’, avvertendo, nel ricorso al Riesame, di non avere mai parlato di ‘super mafia’ ma di componenti mafiose, che si alleano e si consorziano solo nel territorio milanese, autorizzate dalle ‘case madri’. Giovedì mattina era intervenuto sul tema anche il presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia, con un comunicato stampa in cui aveva sottolineato che “il controllo del gip, lungi dal dover essere classificato come una patologia, evidenzia il fondamentale principio dell’autonomia della valutazione giurisprudenziale”. Roia aveva anche difeso la sezione gip-gup del Tribunale, che “ha inteso operare – si leggeva nel comunicato – anche in questa vicenda, che ha registrato l’assoluto rispetto delle regole codicistiche e di organizzazione del lavoro giudiziario”.

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Fabrizio Corona, l’ex re dei paparazzi, indagato a Milano per diffamazione

Fabrizio Corona è indagato per diffamazione aggravata a mezzo stampa a Milano, per le querele sporte contro di lui da Nicolò Casale e Stephan El Shaarawy. La vicenda è quella del presunto calcio scommesse. Come è noto, l’ex agente fotografico aveva fatto i nomi di alcuni calciatori che, a suo dire, sarebbero stati o sarebbero coinvolti in una serie di scommesse illegali. La settimana scorsa, intervistato da Striscia La Notizia, aveva affermato che Casale (in forze alla Lazio) e El Shaarawy (ex Milan, ora alla Roma) sarebbero, appunto, tra i calciatori coinvolti. Pochi giorni fa, Casale e El Shaarawy avevano presentato querela. “Benché sia poco incline a espormi pubblicamente – aveva dichiarato l’ex rossonero attraverso i suoi legali -, la mia reazione non può che essere fermissima. Quella che è avvenuta è stata, senza mezzi termini, un’operazione infamante e, cosa ancora peggiore, chirurgicamente orchestrata: a tutela mia, della società a cui sono legato e, in definitiva del calcio italiano, i suoi autori devono senz’altro risponderne ed essere distolti da eventuali analoghe iniziative”. Dieci giorni fa, Corona era stato sentito in questura come persona informata sui fatti, dopo avere annunciato una diretta Instagram nella quale avrebbe fatto due nomi di calciatori coinvolti nelle scommesse: nel frattempo era emerso che i nomi sarebbero stati quelli di Sandro Tonali e Nicolò Zaniolo, poi indagati.

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Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/5: il sequestro di persona in via Watt

Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/5: il sequestro di persona in via Watt. Nelle scorse puntate di questo viaggio nel più importante processo seguito dalla Procura di Milano sotto il mandato di Francesco Greco, abbiamo visto come con una serie di mail anonime uno o più ignoti abbiamo cercato di diffondere informazioni che oggi definiremmo fake news. Una serie di presunte notizie sugli affari di Mario Draghi, della famiglia Rocca di Techint, come di altri nomi importanti che grazie ai proventi di miniere d’oro avrebbero costruito una serie di affari loschi tra Italia e Africa. Gabriele Volpi, attuale proprietario dello Spezia calcio, sembra l’unico nome relativamente sconosciuto. In questa prima parte abbiamo approfondito l’importanza della costruzione di quasi verità e dell’utilizzo di servizi come gmx.com così come dell’importanza di tenere d’occhio la propria casella mail. Oggi però passiamo al salto di qualità, in un certo senso: le persone dietro a una complessa manovra di aggiramento del sistema Eni iniziano a metterci la faccia. E’ infatti il 2015 l’anno in cui Alessandro Ferrario, napoletano classe ’71, si presenta di fronte alla polizia per denunciare un sequestro di persona. E’ il 13 agosto. L’uomo alla Procura di Siracusa dichiara di essere stato rapito a Milano il giorno prima: tre uomini, due neri e un bianco “dallo spiccato accento milanese”, armati di pistola lo avrebbero costretto a salire su un suv nero BMW per portarlo a parlare con un quarto personaggio. Quest’ultimo prima gli avrebbe chiesto se sapeva qualcosa di un deposito di rifiuti radioattivi vicino a Melilli, poi informazioni in merito a certe cene avvenute al ristorante il Caimano (che in realtà è il Kaimano con la K). I quattro “dopo aver consultato qualcun altro con un collegamento tipo skype” lo avrebbero rilasciato così, senza nemmeno uno “se chiami la polizia ti spariamo”, o un più semplice “attento a te”. Forse perché come diceva una vecchia pubblicità “una telefonata ti allunga la vita”. O forse perché questo sequestro lampo in realtà non è mai avvenuto. Ma Ferraro in quell’agosto è ribolle di informazioni: dice che l’episodio lo ha fatto pensare. E forse il problema sono proprio quelle cene milanesi in cui lui ha scoperto l’esistenza di “un’organizzazione internazionale che si basa in Italia con l’obbiettivo di destabilizzare il managment  (è scritto così nel verbale, ndr) di grandi gruppi italiani al fine di assumere il controllo di importanti operazioni economiche”. Niente meno. E i target non sono piccoli: “Eni spa, Telecom spa e Cofely spa”. Ma la trama si infittisce ancora perché Ferraro conoscerebbe il capo di tutto, proprio quel Gabriele Volpi di prima, grazie a un presunto agente dei servizi segreti nigeriani Nic Aboutaki. Ferraro tra l’altro non si spiega come mai quest’ultimo sappia che lui ha avuto rapporti con i servizi segreti italiani “per ragioni d’ufficio” (il pensiero corre subito ammiocuggino). Ma i dettagli esondano da Ferraro: la rete conterebbe anche su Vergine (ex ad di Saipem), Luigi Zingales (cda di Eni spa), Cusimano (dirigente Telecom spa), Pietro Varone (ex Saipem). Avrebbe partecipato a questi incontri “tuttavia estraneo a quei discorsi”, pure il giudice di Cassazione Esposito (ricordate? Quello che avrebbe dichiarato che a Berlusconi gli avrebbe “fatto un mazzo così”, con conseguente diatriba giornalistico-giudiziaria che ha coinvolto pure Franco Nero). Ma ecco che Ferraro si raffredda tutto d’un colpo: “Non ho idea se tali fatti siano veri oppure no, rappresento tutto ciò al solo fine di individuare le persone da me frequentate nei contesti milanesi”. Come se per parlare del vicino di casa uno iniziasse: secondo quella del secondo piano è un pedofilo, io l’ho visto spesso con due ragazzine, secondo quello del pianerottolo è sempre al sexy shop ed è iscritto a un sito per chi violenta le donne, però non sto dicendo che sia un criminale. A chiunque, cronista o no, verrebbe il dubbio. Anche perché nel frattempo c’è spazio per un altro giro di fango: stavolta è Bruno Marziano, deputato regionale siciliano, che sarebbe stato corrotto per la costruzione della Piattaforma Vega B di Eni. Caso vuole che Marziano avesse espresso pubblicamente il proprio appoggio all’operazione, ma non risulta che sia stato arrestato. Ma è la serie di mezze verità di cui continueremo a parlare nel prossimo articolo…

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