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Stipendi: la Cgia di Mestre mette a nudo i contratti da Milano a Palermo

Nel 2021 la retribuzione media lorda annua dei dipendenti nel privato a Milano era di 31.202 euro, a Palermo di 16.349 euro: una differenza del 90%. Se il confronto è fatto con Vibo Valentia (11.823 euro), il divario era addirittura superiore del 164%. La retribuzione media italiana, invece, ammontava a 21.868 euro. Lo rileva la Cgia su dati Inps dove emergono gli squilibri tra Nord e Sud, ma anche tra le aree urbane e quelle rurali. Questione che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali dei primi anni ’70, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro. L’applicazione, però, ha prodotto solo in parte gli effetti sperati. Come ha segnalato anche il Cnel, rimarcano le agenzie, il problema dei lavoratori poveri non parrebbe riconducibile ai minimi tabellari troppo bassi, ma al fatto che durante l’anno queste persone lavorano un numero di giornate molto contenuto. Pertanto, più che a istituire un minimo salariale per legge andrebbe contrastato l’abuso di alcuni contratti a tempo ridotto. Entro il 15 giugno scorso al Ministero del Lavoro erano presenti 10.568 contratti attivi di secondo livello, di cui 9.532 di natura aziendale e 1.036 territoriali. Il 43 % era stato sottoscritto in strutture con meno di 50 addetti, il 41% in quelle con più di 100 e il 16% in quelle tra 50 e 99 lavoratori. Dei 10.568 contratti attivi, il 72% è stato fatto al Nord, il 18% al Centro e il 10% al Sud. Lombardia (3.218), Emilia R. (1.362) e Veneto (1.081) le regioni che hanno il numero più alto. In Italia sono coinvolti 3,3 milioni di dipendenti (20% circa del totale nazionale), di cui 2,1 da contratti aziendali e 1,1 da contratti territoriali. La Cgia ritiene che per appesantire le buste paga, tra l’altro, sarebbe necessario rispettare le scadenze entro le quali rinnovare i contratti di lavoro.

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Zone: le aboliamo o no?

Zone: le aboliamo o no? Il tema è stato lanciato da Alberto Giannoni sul Giornale in questi giorni: visto che la riforma del decentramento non è mai stata completamente attuata, forse è meglio chiudere i presidi municipali. La riforma avviata dal centro destra oggi come oggi è ferma infatti al palo: esistono gli stipendi per gli assessori di zona, ma non possono fare praticamente nulla perché le norme non sono complete. Quindi adesso sono stati creati 27 nuovi stipendi, che alle ultime elezioni hanno ovviamente causato liti per la loro spartizione, per non fare un tubo. E per una volta non è nemmeno colpa della tanto odiata politica, ma di una impossibilità oggettiva ad agire. Per questo è partita la provocazione del Giornale, per tornare a parlare di un tema che sta oggettivamente danneggiando la città: i presidi territoriali in una Milano in fortissima espansione sarebbero essenziali proprio per accompagnare la corsa che il capoluogo lombardo ha avviato dalla vittoria di Expo 2015 (corsa che è partita prima del 2015 e che sembra destinata a proseguire almeno fino al 2026). Gli assessori centrali non possono davvero seguire ogni singola questione di ogni quartiere e potranno farlo sempre meno. Al contrario i loro colleghi di zona potrebbero, ma al momento hanno lo stipendio, ma non la possibilità di giustificarlo. E visto che parliamo di circa 1200 euro a persona, forse si possono trovare strumenti migliori per spendere decine di migliaia di euro al mese per persone che non servono. Sono trentamila euro al mese che potrebbero essere usati proprio per lo sviluppo delle zone, con quelle cifre le associazioni di quartiere organizzerebbero fior fior di eventi. Invece si preferisce lasciarli lì, versandoli a chi non può combinare molto se non provare a fare un po’ di rumore sui social e sui giornali.  

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