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Scuola Vivaio. De Chirico: il TAR ci da ragione

“Accogliamo con grande speranza l’approfondimento chiesto dal TAR in merito al trasloco della Scuola Media Speciale Vivaio. Abbiamo sempre sostenuto che la gestione del dossier Vivaio – in mano alla Scavuzzo dal 2016 al 2018 nel primo mandato di Sala e poi ripreso nell’ottobre 2021 nell’espletamento delel deleghe confertele da Sala per il secondo mandato – fosse al quanto superficiale per come la Scavuzzo ha pensato di trattare genitori e soprattutto alunne e alunni senza capire le loro necessità connesse alle singole fragilità, ma anche relativamente al programma di studi” lo scrive in una nota Alessandro De Chirico, capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale.. “La situazione è degenerata in attriti personalistici – spiega De Chirico – che un’amministratice attenta, vicesindaco della città più importante d’Italia, dovrebbe saper meglio gestire. Nella trattazione di un documento collegato al bilancio avevamo chiesto di prorogare almeno di un anno l’affitto dello stabile dell’Istituto dei ciechi, ma pur non avendo un cronoprogramma in mano l’amministrazione ci ha risposto in aula che i tempi di consegna dello stabile sarebbero stati rispettati per l’inizio del nuovo anno. Qualche giorno dopo, però, apprendemmo dai giornali che per il trasferimento nella nuova scuola sarebbe avvenuto a gennaio. Fortunatamente oggi il TAR chiede più verifiche per garantire piena accessibilità al plesso scolastico. Sono certo che il sindaco non revocherà le deleghe alla vicesindaco, che in più di un’occasione ha dimostrato la sua incapacità – vedi ad esempio gestione del doposcuola e campus estivi -, e la Scavuzzo non le rassegnerà, ma almeno sarebbe quantomai opportuno sentirle pronunciare una semplice parola: SCUSATE”.

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TAR: incostituzionale la legge regionale sugli immobili abbandonati

“La lesione della potestà pianificatoria comunale appare evidente e soprattutto il sacrificio delle prerogative comunali risulta non proporzionato, con violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione”. È solo uno dei passaggi delle tre ordinanze del TAR della Regione Lombardia nell’ambito di tre ricorsi presentati da altrettanti proprietari di immobili nei confronti del Comune relativamente alla norma sul recupero degli edifici abbandonati del Piano di Governo del Territorio. I pronunciamenti di fatto danno ragione al Comune che, nel difendere la norma comunale, ha sollevato il tema di incostituzionalità dell’articolo 40 della Legge Regionale 18/2019 che consente ai proprietari degli immobili abbandonati di ottenere un bonus edificatorio fino al 25% e di costruire in deroga alle norme morfologiche e a quanto previsto dal PGT. Si legge nelle ordinanze: “La norma regionale incentiva in maniera assolutamente discriminatoria e irragionevole situazioni di abbandono e di degrado, da cui discende la possibilità di ottenere premi volumetrici e norme urbanistiche ed edificatorie più favorevoli rispetto a quelle ordinari. L’applicazione dell’art. 40-bis anche agli immobili fatiscenti individuati prima della sua introduzione – come pure a quelli segnalati direttamente dai privati – stravolge la pianificazione territoriale del Comune, il quale aveva elaborato e introdotto un regime speciale per il recupero dei citati immobili, proprio tenendo in considerazione l’impatto degli interventi di riqualificazione sul tessuto urbano esistente. Difatti, un conto è riqualificare un immobile, conservandone la medesima consistenza (oppure demolirlo, consentendo il recupero della sola superficie lorda esistente: art. 11 delle N.d.A.), un altro conto è riconoscere a titolo di beneficio un indice edificatorio aggiuntivo, oscillante tra il 20% e il 25%, cui si accompagna l’esenzione dall’eventuale obbligo di reperimento degli standard”. “Il legislatore regionale – scrive ancora il TAR – ha imposto una disciplina ingiustificatamente rigida e uniforme, operante a prescindere dalle decisioni comunali e in grado di produrre un impatto sulla pianificazione locale molto incisivo e potenzialmente idoneo a stravolgere l’assetto del territorio, o di parti importanti dello stesso, in maniera del tutto dissonante rispetto a quanto stabilito nello strumento urbanistico generale”. “L’applicazione della disposizione regionale comprime in maniera eccessiva – con violazione degli art. 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 della Costituzione – la potestà pianificatoria comunale, in particolare dei Comuni che hanno più di 20.000 abitanti (come il Comune di Milano), non consentendo a siffatti Enti alcun intervento correttivo o derogatorio in grado di valorizzare, oltre alla propria autonomia pianificatoria, anche le peculiarità dei singoli territori di cui i Comuni sono la più immediata e diretta espressione”. “Pur essendo rimessa al Consiglio comunale l’individuazione degli immobili abbandonati e degradati, è comunque consentito al proprietario di un immobile di certificare con perizia asseverata giurata, oltre alla cessazione dell’attività, anche la sussistenza dei presupposti per beneficiare del regime di favore di cui all’art. 40 bis. Il Comune quindi non ha la facoltà di selezionare, discrezionalmente, gli immobili da recuperare, in quanto l’applicazione della norma regionale può avvenire anche su impulso del proprietario del manufatto. L’assoluta incertezza in ordine all’impatto sul territorio di una tale previsione, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, impedisce al Comune una coerente programmazione in ambito urbanistico, rendendola in alcune parti, anche importanti, del tutto ineffettiva”. La violazione della Costituzione viene riscontrata anche rispetto a contraddizioni della legislazione regionale stessa. “La norma appare altresì irragionevole – con violazione dell’art. 3 della Costituzione – nella parte in cui non si rapporta ai principi contenuti in altre norme della stessa legge regionale n. 12 del 2005 (in specie quelli riferiti alla riduzione del consumo di suolo) e della legge regionale n. 31 del 2014 (“Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e la riqualificazione del suolo degradato”), poiché la riduzione del consumo di suolo rappresenta un obiettivo prioritario e qualificante della pianificazione territoriale regionale, orientata ad un modello di sviluppo territoriale sostenibile”. Infine, secondo il TAR, “l’art. 40 bis appare in contrasto anche con i principi di uguaglianza e imparzialità dell’Amministrazione discendenti dagli artt. 3 e 97 della Costituzione, visto che riconosce delle premialità per la riqualificazione di immobili abbandonati e degradati in favore di soggetti che non hanno provveduto a mantenerli in buono stato e che hanno favorito l’insorgere di situazioni di degrado e pericolo, a differenza dei proprietari diligenti che hanno fatto fronte agli oneri e ai doveri conseguenti al loro diritto di proprietà, ma che proprio per questo non possono beneficiare di alcun vantaggio in caso di intervento sul proprio immobile. La norma regionale, quindi, incentiva in maniera assolutamente discriminatoria e irragionevole di situazioni di abbandono e di degrado”. In conclusione il TAR sospende il giudizio perché gli atti siano trasmessi alla Corte Costituzionale.

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Zona rossa: il Tar per la Lombardia vuole i dati sui contagi

Zona rossa: il Tar per la Lombardia vuole i dati sui contagi. Perché dopo aver sbertucciato la Lombardia per aver chiesto in ogni sede la possibilità di calcolare i dati sui contagi degli ultimi giorni, Roma risponde che prima di decidere vuole vedere i dati sui contagi degli ultimi giorni. Non è una battuta, ma la tragicomica realtà dei rapporti tra Regione Lombardia e il governo. “Prendiamo atto del rinvio disposto dal Tar del Lazio sul ricorso presentato da Regione Lombardia e attendiamo l’udienza di lunedì” ha commentato il Pirellone. “I tecnici dell’Istituto Superiore di Sanità e della Direzione Generale del Welfare – prosegue la Nota – hanno in corso una interlocuzione e, nelle prossime ore, valuteranno una serie di dati aggiuntivi da parte della direzione Welfare lombarda per ampliare e rafforzare i dati standard già trasmessi nella settimana precedente, ai fini di una rivalutazione in vista della Cabina di regia di venerdì 22 gennaio”. Come andrà a finire? Perché come hanno ricordato alcuni consiglieri regionali il primo a ricorrere al Tar per gestire la pandemia è stato proprio il governo con l’Abruzzo. Il vero governo, cioè Franceschini e Boccia, non si sono fatti scrupoli nel chiedere l’annullamento dei provvedimenti regionali. Trasformando di fatto il tribunale in un organismo politico, perché come ha dichiarato Crisanti non si capisce che competenze possa avere un giudice amministrativo in tema di salute pubblica. Eppure in questo strano periodo storico il governo può rivolgersi al tribunale amministrativo per gestire tutto, questioni sanitarie comprese. Perché se un governatore non è allineato, l’esecutivo può trovare strumenti legali efficaci per quanto singolari. D’altronde in questo periodo sono i medici del cts ad aver preso di fatto il controllo del Ministero degli Interni: è il comitato tecnico scientifico a decidere chi fa cosa in Italia, dunque è quasi normale che anche i giudici si esprimano su questioni sanitarie.

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Quel tribunale politico senza controllo

Quel tribunale politico senza controllo. Il Tar lo abbiamo sempre avuto sotto al naso e forse per questo lo abbiamo perso di vista, ma così quel tribunale politico senza controllo ha iniziato a seminare conseguenze. Negli ultimi 300 anni i popoli europei hanno affermato il semplice principio della parità tra governo e popolo. Cioè chi comanda ha grandi poteri, ma pure grandi responsabilità. Altrimenti i palazzi del potere vengono assaliti e i sovrani decapitati. Negli anni siamo diventati più civili, istituendo tribunali, avvocati alla portata di quasi tutti e sistemi non sanguinari per gestire il complesso rapporto tra il potere e il popolo. Ma il principio è rimasto: chi è investito di grande potere su tutti, deve rendere conto del suo operato e rispondere delle conseguenze. Il caso più semplice sono i politici: oltre a non poter utilizzare come proprietà personali le istituzioni, se sbagliano non vengono più eletti. E se sbagliano molto, processati. Decidono della vita di tutti, quindi devono prima chiederne il consenso e poi mantenerlo. Perché i popoli hanno diritto a mettere in dubbio e sostituire i loro governanti. Non c’è diritto divino che regga. Il governo esiste con diritto se c’è un popolo a sostenere quelle sedie. Invece nel caso dei tribunali come il Tar c’è solo diritto a essere governati. Perché il presidente del Tar è preso tra i consiglieri di Stato e affini, cioè il top dei burocrati statali. Risponde solo alla Legge e parla in nome del Popolo Italiano senza che nessuno gli abbia conferito una carica pubblica dopo un’elezione come qualunque parlamentare. Vale davvero mantenere quel tribunale politico senza controllo? Mettiamoci uno dei tanti contrappesi. Se non vogliamo togliere al Tar, aggiungiamoci una commissione elettiva. Questo sì che sarebbe far entrare i cittadini nelle istituzioni. Una commissione con effettivi poteri di controllo. Sarebbe una scommessa sul futuro, un gesto di fiducia per avviare un riavvicinamento alla cultura europea della libertà dei popoli. Non devono esistere tribunali sacri, al massimo templi.

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Il Tar torna al centro della politica

Il Tar torna al centro della politica. Il Tribunale amministrativo regionale è un organismo in teoria amministrativo, in realtà politico. Le decisioni del Tar hanno condizionato la vita dell’Italia degli ultimi 30 anni più del Berlusconismo o delle Guerre Post Torri Gemelle. Non c’è stato un grande tema o un’appalto pubblico o privato su cui non si sia espresso un Tar. E di solito era per bloccare qualche azione amministrativa. Per ogni torrente che esonda ci sono procedure per la manutenzione degli argini che arrancano perché dopo ogni gara pubblica si ricorre al Tar, anche solo per infastidire il concorrente e prosciugarne le risorse con corsi e ricorsi. Oggi è successo ancora: un gruppo di genitori decide che nonostante ci siano già indicazioni da neurodeliri dai vari livelli politico-amministrativi, era giusto ricorrere al Tar per chiedere la riapertura delle scuole. Sia chiaro: il Tar ha solo stabilito che la delibera regionale che imponeva la chiusura dei licei non era tecnicamente adeguata. E dunque le scuole possono riaprire. Anzi devono. Quindi il Tar prende una decisione tecnica, ma di fatto è politica. Perché se aprire o no è una decisione che spetta a persone elette democraticamente. Non un oscuro consiglio di giudici deputati in teoria a risolvere dispute di condominio. Ecco infatti che il Tar torna al centro della politica pure in Lombardia e pure Attilio Fontana deve intraprendere un ricorso al Tar. In un modo o nell’altro questi consigli di non eletti hanno influenzato la vita di tutti i cittadini italiani. Sono gli stessi che potrebbero bloccare un progetto per risanare gli argini di un torrente e poi far condannare a risarcimenti più alti gli amministratori pubblici che non hanno eseguito i lavori. I Custodi del Codice, che parlano per il Popolo italiano senza aver mai chiesto il permesso a nessuno. Altro che Deep State.

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TAR accoglie il ricorso: riaprono le scuole

“Il Tar accoglie la nostra richiesta, respinge l’ordinanza, le scuole possono riaprire”: così un portavoce del comitato ‘A scuola!’ annuncia che il Tar lombardo ha accolto il loro ricorso contro l’Ordinanza lombarda dell’8 gennaio che aveva disposto la Dad al 100% per tutte le scuole secondarie fino al 25 gennaio. “Le scuole possono riaprire, ovviamente non già domani perché è troppo tardi – spiega il portavoce del comitato – per organizzarsi”. ANSA

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