Via Civitavecchia: una comunità orgogliosa e abbandonata

Via Civitavecchia: una comunità orgogliosa e abbandonata

Le casette, singole, strette e alte. I tre gradini prima della porta d’ingresso. Il giallo vivace della facciata. C’è un angolo di Inghilterra a Milano, nell’ultimo lembo della città prima di via Rizzoli. Prima della Rizzoli, se parliamo di tempi. Perché queste case hanno visto espandersi la città. Erano qui, testimoni silenziose, quando il Corriere della Sera è arrivato, con le rotative pesanti e rumorose. E hanno visto la metropolitana sbucare dal terreno e correre sotto il sole. C’erano, quando, trent’anni dopo, sono arrivate altre case popolari. Insomma, sono piccoli e silenziosi testimoni di una città che è cambiata. Hanno visto il terrorismo, la droga, il parco Lambro passare molte crisi. Erano qui, silenziose, quando è arrivata la prima ondata migratoria. E sono state minacciate più volte di demolizione, sempre scampandola per un pelo. Oggi vivono uno strano limbo: sospese sul baratro della burocrazia di MM, mentre, tutto attorno, il quartiere cambia. Questo piccolo viaggio, senza pretese di inchiesta, è un omaggio e una denuncia. Un omaggio alle case e ai loro tenaci abitanti. E la denuncia delle condizioni in cui gli abitanti sono costretti a vivere.

Il parco negato

Nel cuore di queste casette a schiera c’è un parco per i bambini. In teoria. In pratica c’è un cane senza guinzaglio che sta facendo pipì sul cartello che vieta di portarci i cani, in quel parchetto. La legalità e questi luoghi si rispettano, ma cercano di evitarsi quando possibile. Un molosso abbia frenetico da un cortile. Attende impaziente il suo turno nel parco, che dovrebbe essergli proibito. Naturalmente è escluso che durante l’orario di scuola ci siano bambini. Ma non è l’unico momento in cui queste aree sono loro negate. Durante l’estate le bande che se lo contendono rendono la loro presenza un ricordo. A terra cocci di vetro. E siamo fortunati, dopo le lunghe e calde notti, di solito si trova di tutto. Dal biologico alle siringhe, passando per le bottiglie, le schegge di vetro e altre sostanze su cui è meglio soprassedere. Alle spalle del parco, con i suoi giochi vuoti, la facciata sfregiata di un istituto professionale. Dentro, un insegnante urla. Fuori, le urla diventano tag sui muri grigi.

I ricoveri per i senza tetto

Su entrambi i lati delle case a schiera, ci sono hotel di vita. Il primo, dal lato dell’Enotria, è ancora frequentato. Varia umanità sofferente entra ed esce dalla scatola di cemento, eterno oggetto di promesse mancate. Doveva essere un supermercato, poi un ufficio postale. Forse sarà interessata dal mega progetto di riqualificazione dell’area Rizzoli, quello che vedrà sorgere un mega coworking in bambù per Panda hipster. Forse resterà così, un parallelepipedo in cemento sperduto nel verde. Testimone che di buone intenzioni è lastricato il degrado di Milano. Sul lato opposto il ricovero per senza tetto era addirittura nel perimetro dell’istituto professionale. Era perché è qualche anno che non si vedono più ospiti. Forse è stata chiusa. Letteralmente, nel senso di murata. Una ben strana scuola, ma qui la stranezza è l’unica cosa normale.

I ricoveri per inquilini

In mezzo ai due hotel di vita, la vita degli abitanti di queste case popolari. Una vita che in sette decenni ha visto momenti molto peggiori, ma anche decisamente migliori. Questo è il giardino segreto di Milano, dove si sta combattendo una difficile battaglia per la riqualificazione da una parte e si decide anche di lasciare casi troppo difficili per esseri lasciati in contesti più grandi. Come nel caso dell’accumulatrice seriale. Le case internamente sono piccole, ma confortevoli. Sono anche dotate di un piccolo giardino. Giardino che, se non curato (e le case abbandonate ci sono e non sono poche), diventa ricovero di piante talvolta anche velenose. Sicuramente allergeniche. Che conquistano ogni centimetro lasciato libero. Qui siamo alla frontiera, l’uomo è solo un turista. Il verde riconquista ogni metro incustodito. Ricordandoci che, alla fine, sul pianeta non lasceremo impronte durature.

Oltre la frontiera

Oltre l’ultima fila di case c’è il Parco Lambro, un posto incantevole. Fino al venerdì pomeriggio, nella bella stagione. Poi, la fonte di un incubo: ubriachi, violenti, armati e senza paura alcuna. Escono soli, in gruppi, in branchi dall’oscurità. E non vanno incrociati. Farlo non porta sfortuna, ma un ricovero garantito dai venti giorni in su. Le storie che si raccontano sono di violenza, cieca e senza senso. File di macchine vandalizzate per lanciare un messaggio a chiunque chieda, anche gentilmente, di riavere la quiete notturna perduta. E polizia assente durante questi fine settimana alcolici che privano una comunità della pace e della sicurezza. I furgoni con i gazebo e l’equipaggiamento da barbecue passano di qua. Nessuno vede, nessuno è sicuro. L’estate qui è un caldo incubo che solo le piogge autunnali mitigano. Don Mazzi aveva fatto molto per rendere migliore la zona, ma nemmeno il suo futuro è sicuro.

Quello è sicuro è il ritorno delle carovane dei nomadi. Alcuni migliori, altri peggiori. Tutti comunque parte del grande mistero: riusciremo a difendere il poco che abbiamo. Questo è lo spirito dei pionieri della periferia. Un grande romanzo di resistenza, in cui la città di te se ne frega con precisione chirurgica. E la rivedi solo quando deve difendere regole arcaiche o incassare bollette arretrate. Oppure, va detto, portare un fiore dopo anni di maltrattamenti: la casa dell’acqua. La casa dell’acqua è un bel gesto, molto apprezzato. Con la pavimentazione nuova tutto attorno. Oh, sì, molto apprezzato. Come la pace prima della tempesta.

Una mano di colore

Ecco, in campagna elettorale la maggioranza che governa la città qui poteva fare e promettere molto. Telecamere nel parchetto, per dissuadere i malfattori a due zampe. Più controlli, per non lasciare soli gli inquilini malati e i loro vicini che da anni la notte non dormono. La ripulitura dei giardini sopraffatti dalla vegetazione, salubre o insalubre. Ma di tutte queste cose non si sarebbe accorto nessuno. E quindi, idea geniale, si faranno dei murales sulle testate di fila. Utilità? Ovviamente nessuna. Ma la sola casetta dell’acqua non bastava più. E quindi via alla creatività. Tanto il degrado, per certa sinistra, è giusto che qui ci sia. Al massimo va dipinto un po’. Ma di sicuro non si deve estirpare. Rischierebbe di avvicinarsi al centro. E questa sì, signori miei, che sarebbe una cosa inaccettabile.