Editoriali

Parco Lambro, l’elegia degli alberi caduti

C’è una fotografia che, più di mille parole, racconta lo stato dell’arte — o meglio, della disfatta — del nostro tanto decantato Parco Lambro: un albero riverso, sconfitto dal maltempo, piegato come un vecchio soldato che non ce l’ha fatta a reggere l’ultima raffica. L’ho davanti agli occhi: i rami ancora verdi e vivi, ma le radici tradite dalla terra fradicia e dall’incuria cronica. Non è la prima volta che accade, e lo sappiamo. L’articolo pubblicato dall’Osservatore Meneghino ce lo dice chiaro e tondo: “Si è rotto il Parco Lambro. Di nuovo.” E ogni “di nuovo” è un pugno allo stomaco del cittadino milanese che ancora crede nella cosa pubblica come in un bene comune, e non come in un trastullo elettorale. Ora, è evidente che le piogge torrenziali e le raffiche di vento non si possono fermare con le ordinanze comunali. Ma è altrettanto evidente che le cadute seriali degli alberi a Milano, in particolare in quel fazzoletto verde che dovrebbe essere il polmone orientale della città, non sono solo il frutto di una natura impazzita. Sono il frutto di una gestione miope, intermittente, cerimoniale. Come si fa con certi parenti scomodi, il Parco Lambro lo si visita a Pasquetta e lo si dimentica per il resto dell’anno. Eppure quel parco, voluto negli anni Sessanta da un’amministrazione che ancora sapeva pianificare sul lungo periodo, è stato uno dei rari esempi di verde pubblico pensato come spazio vitale, non ornamentale. Era un’utopia urbana con ambizioni ecologiche, pedagogiche, perfino estetiche. Vi passavano i bambini con i calzoncini corti, gli anziani col giornale sotto braccio, i ragazzi con le chitarre sgangherate e i sogni anarchici. Oggi vi passano, con più frequenza, i temporali e le ambulanze, chiamate per soccorrere chi finisce sotto un ramo che non doveva cadere. E allora la domanda, da buon cronista qual sono stato e mai smetterò di essere, è semplice: perché nessuno controlla? Perché non si fa manutenzione preventiva, quella vera, quella fatta da agronomi e non da geometri improvvisati col tablet? Dove sono i fondi del PNRR quando serve ricostruire una rete di parchi urbani degna di questo nome, invece di finanziare eventi con il logo scintillante e la sostanza assente? Ci si riempie la bocca con “resilienza urbana”, ma la verità è che stiamo tornando alla giungla. E non la giungla verde di Kipling, bensì quella burocratica, dove la colpa non è mai di nessuno, e dove un albero che cade non fa rumore — o meglio, fa rumore solo quando ferisce o uccide. Il Parco Lambro, così come tanti altri spazi verdi di Milano, è vittima di un paradosso: lo si ama poeticamente, ma lo si cura pigramente. Non c’è da stupirsi, allora, se la natura risponde con la brutalità che le è propria. Le fronde si spezzano, i tronchi si inclinano, le radici si sollevano come a gridare: “Abbiamo dato tutto, e voi niente.” Questo è il requiem del verde urbano: un pianto che si ripete ad ogni pioggia. Il Parco Lambro, che dovrebbe essere rifugio e ristoro, è diventato il simbolo dell’abbandono amministrativo e dell’indifferenza civica. E se oggi scrivo con la penna intinta in un certo veleno, è perché amo questa città. Milano non può più permettersi di piangere alberi come si piangono i morti in guerra. E un albero che cade, ricordiamolo, non è solo legno che si spezza: è un sintomo. Di degrado, di incuria, e soprattutto di dimenticanza. E se continuiamo così, a dimenticare gli alberi, finirà che dimenticheremo anche noi stessi.

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Si è rotto il Parco Lambro, di nuovo

Si è rotto il Parco Lambro, di nuovo. Perché Milano è bellissima, si vive bene, i mezzi pubblici funzionano, i parchi sono tenuti bene…ah no scusate. Dovevamo usare l’imperfetto. In omaggio alla verità fattuale e all’attuale sindaco, campione di imperfezioni (mai visto un condannato restare sindaco, per dirne una). Perché Milano ERA bellissima, si VIVEVA bene, i mezzi FUNZIONAVANO bene e i parchi ERANO tenuti bene. Oggi invece siamo arrivati al punto che spesso vengono chiusi a causa del maltempo. Eppure c’è tanto di assessore al Verde da sempre, persona che il cittadino suppone si debba occupare di tenere in ordine i parchi. Compresa la cura vera degli alberi, quella che prevede le potature e se necessario gli abbattimenti. Non quella dei disegnini o delle fotine da Instagram. Perché se no poi lorsignori i soldi delle tasse per tutto ciò, stipendio dell’assessore compreso, li vogliono, però non garantiscono il ritorno. Anzi, in caso di emergenza vietano ufficialmente l’ingresso ai parchi (ricordiamo tutti gli anni scorsi) perché così se qualcuno si fa male, non può denunciare il condannato di Palazzo Marino o i suoi fedeli. Infatti non hanno combinato nulla di rilevante e dopo gli ultimi venti si è rotto il Parco Lambro, di nuovo (vedere la foto a corredo di questo articolo). L’ultima volta erano caduti così tanti alberi che il legno triturato ricavato ha scaldato buona parte delle case popolari di Milano. Non c’è un male senza un bene dunque. Salvo, a quanto pare, nel caso di Sala. Il cui contributo al miglioramento della città non è noto.

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Franceschini vota centrodestra?

Franceschini vota centrodestra? Perché l’uscita pubblica con cui ha proposto di cambiare le regole sui cognomi dei figli è stata spettacolare. Nel senso proprio che ha dato spettacolo. Si è inventato una proposta mediaticamente efficace, specialmente per il centrodestra. O in generale l’animo conservatore condiviso anche da molti elettori del Partito democratico. Tanto è vero che ci sono migliaia di reazioni scandalizzate da ogni direzione. Segno che il centrosinistra intende rimanere stabilmente all’opposizione. Perché Franceschini ha proposto di lasciare solo il cognome della madre ai figli? Come risarcimento per un’ingiustizia secolare. Ora, qualcuno potrebbe ironizzare sottolineando che in effetti nel caso di Franceschini se i suoi figli non avessero un cognome diverso potrebbe essere pure un vantaggio per loro. Però prendendo seriamente le parole di questo sub-leader (sub-comandante è passato di moda) del PD ravvisiamo una pesante idiozia: l’idea che si possa rimediare a un torto con una vendetta. Perché se le donne avessero subito un torto (sorvoliamo sul semplicismo con cui si riassumono secoli di tradizioni, sic!) non si rimedia ribaltandolo sull’altro coniuge. Per altro l’Italia è un Paese dove le donne possono liberamente usare il proprio cognome e i figli volendo pure possono decidere di usare o l’uno o l’altro. Quindi è esagerata in ogni caso come proposta. Però forse la verità è che Franceschini vota centrodestra, o quanto meno vorrebbe rimanere serenamente all’opposizione da dove è possibile muovere critiche senza avere responsabilità di fare nulla. Comprensibile dopo trent’anni in cui in un modo o nell’altro è sempre stato al governo. Eppure qualcuno potrebbe non prenderla benissimo, magari proprio i suoi elettori che potrebbero chiedersi se è il caso di votarlo ancora. Sia lui che il PD.  Ma chissà se confermerà il dubbio: Franceschini vota centrodestra?

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Il nuovo assessore sia scelto tra gli urbanisti  che si sono schierati contro il Salva Milano. 

Il nuovo assessore sia scelto tra gli urbanisti  che si sono schierati contro il Salva Milano. Questo sarebbe un segnale reale di cambiamento.  Facciamo politica e non siamo a Bar Sport dove si può dire tutto e il contrario di tutto senza spiegare il perché. Il sindaco e la maggioranza hanno combinato un disastro. Ma fanno finta di niente. Ma non finisce tutto a tarallucci e vino. Ora si scusino e facciano autocritica vera, cioè si cambino radicalmente le cose. Spieghi qualcuno come ha potuto Oggioni fare tutto quello che voleva senza contrasti e controlli, ci dicano perché è stata nominata recentemente la commissione paesaggio con  gli inquisiti dentro. E come primo segnale, invece che come al solito un fedelissimo, si scelga il nuovo assessore tra gli urbanisti che hanno cercato di contrastare la follia del Salva Milano. Questa sarebbe la dimostrazione che c’è davvero volontà di cambiamento. Se no è come sempre il gattopardismo. Carlo Monguzzi

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L’Europa Sacrificata: tra Sanzioni, Bollette e Ipocrisie Geopolitiche

L’Europa Sacrificata: tra Sanzioni, Bollette e Ipocrisie Geopolitiche Dal primo gennaio 2025, gli italiani si svegliano con un’altra stangata: un nuovo aumento delle bollette del gas. Una notizia che non sorprende più nessuno, ma che pesa come un macigno su un paese ormai rassegnato a un futuro di sacrifici senza prospettive. Eppure, ci era stato promesso che questi rincari erano il prezzo da pagare per una vittoria: la sconfitta della Russia, la caduta di Putin e il trionfo dell’Ucraina. Tre anni dopo l’inizio del conflitto, il bilancio è desolante. La Russia è tutt’altro che piegata, Putin è ancora saldo al potere e l’Europa, sotto il peso di una crisi energetica e politica senza precedenti, si trova a raccogliere i cocci di una strategia fallimentare. La crisi dell’Europa: tra politiche sbagliate e governi in difficoltà Le sanzioni contro la Russia, presentate come una misura decisiva per indebolire il Cremlino, si sono rivelate un boomerang devastante per il Vecchio Continente. Germania: Il motore economico d’Europa è sull’orlo del default. Le fabbriche chiudono, le imprese delocalizzano e il cancelliere Olaf Scholz ha perso il controllo della situazione. Il suo governo, ormai privo di maggioranza, è simbolo di un paese in declino. Francia: Emmanuel Macron, un tempo presentato come il leader della rinascita europea, deve fare i conti con proteste incessanti e un’opposizione sempre più forte. La sua autorità è seriamente compromessa. Regno Unito: Dopo tre anni di caos politico, il Regno Unito ha cambiato ben tre Primi Ministri, incapaci di arginare una crisi energetica e sociale che ha colpito duramente le fasce più deboli della popolazione. E mentre l’Europa vacilla, gli Stati Uniti raccolgono i frutti di una guerra che non li ha mai davvero toccati. La vera partita: Stati Uniti contro Russia Gli Stati Uniti, guidati da Joe Biden, hanno sempre avuto chiaro il loro obiettivo: indebolire la Russia per riaffermare la propria egemonia globale. Le dichiarazioni provocatorie di Biden – come quando definì Putin “un macellaio” – hanno dimostrato che questa guerra non era mai stata davvero “nostra”. L’Europa, e con essa il popolo ucraino, è stata solo un mezzo sacrificabile per raggiungere il fine. Il declino del dollaro: La progressiva perdita di centralità del dollaro come valuta di scambio internazionale ha spinto gli Stati Uniti a una politica aggressiva. Con Cina e Russia che promuovono alternative come il rublo e lo yuan, Washington ha visto nel conflitto un’occasione per riaffermare la propria forza. Il caro-gas americano: L’Europa, privatasi del gas russo, si è trovata costretta ad acquistare gas liquefatto dagli Stati Uniti a prezzi esorbitanti. Un affare straordinario per le multinazionali americane, un disastro per i cittadini europei che continuano a pagare bollette sempre più alte. Un sistema ipocrita e a due velocità Non basta. L’Occidente ha dimostrato ancora una volta la sua ipocrisia. Putin e il mandato di cattura: La Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di cattura contro Vladimir Putin, un atto dal valore puramente simbolico e politico. Ma la stessa giustizia non si applica a leader come Benjamin Netanyahu, nonostante le accuse di crimini contro i palestinesi. Il servilismo italiano verso Israele: Emblematica la visita del ministro Guido Crosetto, che ha portato un panettone a Netanyahu come gesto di cortesia natalizia. Un’immagine che trasuda servilismo, in netto contrasto con il rigore mostrato verso la Russia. Costi e benefici: un bilancio desolante Dal punto di vista dei costi, il quadro è chiaro: 1. Risorse sprecate: I sequestri di ville, yacht e fondi russi in Europa, simbolo di una politica apparentemente dura, hanno gravato sui bilanci degli stati senza produrre risultati concreti. 2. Cittadini in ginocchio: Le famiglie europee pagano il prezzo più alto, con bollette insostenibili e un’inflazione che erode il potere d’acquisto. 3. Europa marginalizzata: Subordinata alle strategie statunitensi, l’Europa ha perso credibilità internazionale, riducendosi a una periferia di un impero in decadenza. E i benefici? Pochi e insignificanti. La Russia ha consolidato le sue relazioni con Cina, India e altri partner globali, mentre l’Europa si trova isolata e sempre più fragile. Conclusione: cambiare rotta prima che sia troppo tardi Siamo stati sacrificati, insieme al popolo ucraino, per interessi che non ci appartengono. Se non iniziamo a valutare in modo onesto i costi e i benefici di queste scelte, rischiamo di compromettere non solo il nostro presente, ma anche il nostro futuro. L’Europa deve ritrovare la sua voce, rivendicare la sua sovranità e dire basta a una strategia che arricchisce pochi e impoverisce molti. La storia non perdonerà chi è rimasto in silenzio. di Davide Agricola

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