Editoriali

Piazza Cordusio bloccata, come altri pezzi di Milano

Piazza Cordusio pedonale, titolava il Corriere Milano l’anno scorso. L’ansia dei giornalisti radical di annunciare notizie, si è scontrata una volta di più con la realtà. Nel 2021 la piazza si arricchirà di un nuovo palazzo rinnovato dopo quello delle Poste: l’ex sede del Credito Italiano infatti è stata rilevata dal Warren Buffett cinese tramite il suo fondo Fosun. Un colosso economico da centinaia di miliardi che da anni fa shopping in giro per il mondo: un esempio, l’immobile in Cordusio è stato comprato tramite la controllata Fidelidade che è la più grande compagnia assicurativa portoghese. Giganti che mangiano giganti e che oggi come oggi hanno ancora in testa Milano come investimento valido. Hanno un progetto i giganti americani e cinesi padroni ora di Cordusio (il nome a quanto pare viene da Corte del Duca, di epoca longobarda): rendere pedonale la piazza. Ed è qui che casca il proverbiale asino. La piazza è pubblica e quindi ci vuole il Comune di Milano a coordinare l’operazione. Ma tutti conoscono l’Amministrazione pubblica italiana e quella milanese non fa eccezione. Per ora il progetto è fermo al palo, in attesa che qualche capo ufficio delle cose importanti si degni di andare in ufficio prima delle 10 del mattino e ne esca dopo le 12. Chi è stato almeno una volta nelle lunghe teorie di uffici vuoti in orari di lavoro, può capire. Noi che scriviamo abbiamo dovuto utilizzare spesso trucchi per ottenere le informazioni che a norma di legge avremmo dovuto avere, un episodio in particolare ci è rimasto in mente: sembrava impossibile avere un certo documento, perciò uscimmo dall’ennesimo ufficio, trovammo la pianta degli uffici con nomi e cognomi. Ci recammo dal vice capo dicendo: “Scusi carissimo, sono il cugino di Mario (cioè il boss dell’ufficio) non riesco a venire a capo di una questione, mi diceva che sei sempre così gentile e forse puoi aiutarmi”. Uscimmo dal quell’ufficio con due copie del documento e anche un terzo “perché non si sa mai”. Questa è l’Amministrazione pubblica milanese, quindi consigliamo ad americani e cinesi di applicare la vecchia teoria del pagare lo Zinna di turno o almeno di fingersi suo cugino.  

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Forza Italia distrutta dagli arresti

Sono 95 gli indagati per per associazione per delinquere aggravata dall’aver favorito un’associazione di tipo mafioso, finalizzata a corruzione, finanziamento illecito ai partiti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, false fatturazioni per operazioni inesistenti, auto riciclaggio e abuso d’ufficio. Gli arresti che più fanno rumore sono quelli di Fabio Altitonante e Pietro Tatarella, rispettivamente consigliere regionale con delega allo sviluppo dell’area Expo e candidato alle elezioni europee. Prima ancora una candidata di Forza Italia al Consiglio comunale di Bergamo era stata arrestata con l’accusa di vendere permessi di soggiorno a cittadini cinesi. Nel giro di due giorni il partito ormai di centro che sembrava potersi riprendere almeno per contare qualcosa, rischia ora percentuali da prefisso telefonico. Già c’erano i segni che una certa epoca era finita, con Berlusconi che a ogni campagna elettorale collassa al San Raffaele e il partito sempre ben lontano dai tempi delle due cifre. Il volto giovane di Forza Italia è ora dietro le sbarre, quindi sarà difficile che i “vecchi” possano raccogliere molto viste le ultime inchieste. Forza Italia non può nemmeno contare sulla poca memoria degli italiani visto che mancano poche settimane alle elezioni. Chi contava sugli eterni ritorni oggi si deve ricredere. E le scelte dei vari Maullu, Toti e altri di prendere le distanze dal loro partito sembrano ora molto più lungimiranti di quanto non fossero tempo fa. Intanto tutti gli altri partiti festeggiano per le percentuali, tra il 5 e il 10 per cento a seconda delle stime, che si sono appena liberate. Queste elezioni europee diventano sempre più importanti e interessanti.

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Il sovranismo ha reso rilevante l’Europa

Può sembrare un paradosso, ma da queste elezioni europee il dato più importante è l’importanza assunta dalle consultazioni grazie al sovranismo. Se non ci fosse stata l’onda dei popoli, piaccia o meno quella è, di Bruxelles e Strasburgo avrebbero continuato a occuparsi in pochi. Il Parlamento europeo infatti esiste ormai da parecchi anni, ma per lo più era un cimitero politico per chi non trovava spazio nei rispettivi Paesi. Soprattutto per l’Italia. Se avevi i voti, ma non sapevano dove metterti, ti mandavano in Europa. Chi non ricorda i pezzi satirici o polemici sulla discussioni infinite su come doveva essere una melanzana? Oggi, con il mercato interno invaso da tutto il pensabile, si comincia a capire che per quanto sembrassero ridicole, quelle discussioni non lo erano affatto. Che i confini importanti sono quelli europei, perché nel pur tante differenze, la cultura europea è quella che ha contagiato col socialismo persino gli Stati Uniti. E quella che lentamente, si spera, riuscirà a penetrare anche la Cina con il tema dei diritti civili. Oggi dunque la corsa per le europee è tutt’altro che secondaria, anzi: a seconda di chi ci andrà vedremo cambiare le leggi e le nostre abitudini. Gli stessi politici italiani sembrano finalmente aver capito che il Parlamento nazionale è di fatto esautorato dalle sue funzioni: si passa il tempo ad approvare le direttive comunitarie o ad adattare le leggi nazionali a quelle europee. Quindi bisogna essere nell’assise europea per poter fare qualcosa di rilevante per il proprio popolo, i seggi nazionali servono più alle carriere individuali anche fuori dalla vita pubblica. Per occuparsi di res pubblica serve l’Europa. E per capirlo è stato necessario che i popoli scegliessero in autonomia nuovi tribuni come i Gracchi ai tempi degli Antichi Romani. Forse sembra strano, ma è tutto indica che proprio grazie al sovranismo l’Europa è tornata rilevante.

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Fascisti a Niguarda?

Qualcuno dice che sono attacchi di fascisti che nella notte avrebbero dato fuoco a una corona di alloro dedicata a un partigiano e messo un adesivo degradante sull’immagine della partigiana Lia. Se fosse vero sarebbero senz’altro atti da condannare per una lunga serie di motivi, ma in questo caso permetteteci di dubitarne. Primo perché gli antichi racconti di gente che gridava al lupo al lupo nel momento sbagliato hanno per noi ancora un fascino. Secondo perché è una notizia commentata da Pisapia e quando lui parla noi crediamo sia meglio dubitarne due volte. Terzo perché essendo l’Osservatore curato da giornalisti liberi da pressioni “noi ci ricordiamo”, come diceva Morpheus in Matrix. Ci ricordiamo proprio di una polemica rilanciata da tutti i giornali possibili per la rottura della targa che intitola un giardino alla partigiana Lia. Solo un consigliere di municipio si era permesso di sollevare un dubbio, ricevendo subito il solito canovaccio di insulti e odio. Andrea Locati, questo il nome del consigliere, ha avuto  la pazienza e la forza di aspettare cercando di rispondere con calma all’onda di “odiatori giusti” (quelli che si ritengono dalla parte giusta sono tra i più cattivi e violenti).  Qualcuno si prese la briga di andare sul posto della presunta aggressione alla targa partigiana e scoprì che alcuni operai erano in azione con ruspe e muletti lì intorno. Dunque c’erano le stesse possibilità che loro per sbaglio avessero colpito la targa o che le vibrazioni ne avessero causato la rottura. Oggi il problema si ripropone. Un accendino che potrebbe esser stato usato da una delle tante bande di ragazzi abbandonati ai loro iPhone per movimentarsi la serata e un adesivo messo da chissà chi, non ci faranno titolare “ancora aggressioni fasciste”. Quando e se succederà lo scriveremo, perché non temiamo le ritorsioni di nessuno. Ma per adesso ci ricordiamo di Lia e altri e ci permettiamo di dubitarne. Se invece arrivassero conferme, essendo giornalisti onesti, correggeremo quanto detto riportando i fatti. Mestiere che in pochi ormai svolgono. (Ringraziamo Locati per averci contattato per alcune precisazioni: più ancora di giornalisti onesti servono politici corretti).

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Lo striscione di oltraggi

Sono giorni funesti per l’Italia. E a Milano anche di più, presa com’è da una serie di atti a dir poco oltraggiosi. Ad aprire le danze sono stati gli ultras della Lazio, giunti a Milano per la semifinale di Coppa Italia: hanno disteso per pochi minuti uno striscione con scritto “ONORE A BENITO MUSSOLINI”. Le polemiche sono subito esplose per una provocazione che ha colpito nel segno visto il calendario. Intanto mentre una minoranza di una minoranza, perché non tutti i tifosi della Lazio sono fascisti (e pure tra chi è di destra c’è chi non sarà stato d’accordo), ha centrato l’obbiettivo di finire su tutti i giornali e canali comunicativi. Un oltraggio al 25 aprile perpetrato con la complicità degli stessi che hanno reso Salvini un fenomeno mediatico. Poi sono arrivati i geni di Facebook con la brillante idea di pubblicare la foto dello striscione capovolta, un chiaro riferimento alla fine del Duce appeso in piazzale Loreto per lo spasso degli stessi che poco prima riempivano le piazze dove straparlava nei suoi comizi. Anche diversi giornalisti di testate importanti lo hanno fatto, un altro oltraggio al loro mestiere, alle loro aziende e, più grave, ai loro lettori. Chi ha studiato la Storia poi sa che questo non è stato un Paese antifascista, fino alle prime sconfitte pesanti la maggioranza della popolazione sosteneva il regime. Caduto il Duce poi siamo diventati tutti partigiani. D’altronde siamo famosi per essere un Paese di traditori avendo sempre cambiato bandiera a seconda delle convenienze nell’ultima guerra. Un altro oltraggio, questa volta all’onestà intellettuale, alla Storia e alla decenza (carattere a cui i milanesi una volta tenevano). Infine aspettiamo l’ultimo oltraggio, quello alla verità. Oggi in tanti sventoleranno, molto probabilmente sui social, bandiere, magliette e cache gorge rossi in omaggio all’ideale comunista. Lenin e Stalin furono più truci persino di animali come Hitler, ma questa informazione sembra non penetrare nelle teste degli italiani. Ancora oggi i venezuelani e alcuni popoli asiatici soffrono sotto il tallone di dittature comuniste sanguinarie, ma sembra che nessuno se ne sia accorto. O che non voglia saperlo. Eppure abbiamo avuto anche fenomeni come le Brigate rosse fino ai primi anni Duemila. Sarà questo l’ultimo oltraggio di una lunga serie in questo 25 aprile, vedremo chi vincerà questa gara verso il basso. Una lunga striscia, anzi uno striscione di oltraggi.  

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Una Pasqua senza stile, magari

Una Pasqua senza stile, magari. Milano a quanto pare si deve rassegnare a non vederla mai. Nella città nota per il fashion, anche se ormai quel settore è tutto a Parigi, sarebbe bello santificare le feste. Sarebbe bello vedere il primo cittadino con un vestito serio, uno sguardo serio, celebrare uno dei tanti simboli religiosi della città. Non solo per la religione in sé, ma per la religione fuori di sé: i simboli non sono per forza professioni di obbedienza a un santone, ma l’adesione a valori comuni. Sono sun-bolè dal greco antico “con volontà”, cioè con un’idea dentro che unisce e fortifica l’anima, prima che il conto in banca. La Pasqua dovrebbe essere un momento in cui si celebrano i valori che ci tengono uniti, invece il buon Sala ha deciso di schierarsi. Male. A dargli una grossa mano il periodico Style di Urbano Cairo che gli ha dedicato una prima pagina con due bambini lievemente “colored”. Ora diciamolo: si poteva fare meglio. Il sindaco sicuramente è contento che Majorino gli lasci lo spazio di “amico dei migranti”, anche perché come “uomo che fa cose” Sala ha fallito: nessun grande progetto dopo Expo è stato portato a casa. E l’onda lunga di tutto ciò su cui siamo (come comunità) passati sopra sta arrivando (sì come l’Inverno, ci sta mettendo tante stagioni ma arriva). Non gli resta che rubare il posto a Majorino per dare un significato alla sua Amministrazione, o almeno provarci: se Majo aveva il coraggio di andare fino in fondo abbracciando anche nelle prime pagine neri, gay, e tutto ciò che la destra odia, Sala prende la ragazzina con tinta nordafricana in compagnia di un ragazzino in secondo piano e non biondo. Una visione rilassante per la borghesia dell’accoglienza “sì ma se sono puliti e non troppo neri”. La stessa per dire che bruciò le speranze del povero Nichi Vendola quando venne a Milano. Voleva abbracciare rom, neri, gay, insomma tutti quelli che elessero Pisapia, ma fece prendere a Giulia Maria Crespi il classico sciopun. E la (ahimè) ancora potentissima donna richiamò all’ordine “l’avvocato Pisapia” che subito piegò ginocchio e giunta agli ordini dei suoi veri capi. La prima pagina di Style segue la stessa identica logica: il sindaco, giustamente identificato con uno seduto al posto giusto, con i due ragazzini né troppo bianchi né troppo neri. E un titolo quasi forte, “Milano città aperta”, con un bel richiamo a un vecchio film utile a far sentire gli anziani più giovani e contestualizzati in un periodo storico di cui non capiscono un piffero (viene da fare una carezza a chi l’ha scritto). Ovviamente si scelgono i ragazzini perché un uomo con lo Style di Sala vuoi che si faccia una foto con un bel gambiano di un metro ottanta per 90 di muscoli e magari una cicatrice? Stonerebbe. E magari sporca il vestito da 3mila euro, oltre a spaventare i vecchietti come Giulia Maria che per migrante intendono il cameriere, il bambino a cui mandare 50 euro al mese o la donna violentata da accogliere a spese dello Stato. Peccato che sui gommoni in transito (eh già Salvini, arrivano ancora nonostante il tuo storytelling) queste categorie siano in minoranza. Ma Style deve avere stile, quello dei vecchi ovviamente. Sala invece no, ha preferito così: una Pasqua con Style. Peccato. Noi dell’Osservatore speriamo ancora nell’altra: una Pasqua senza stile.

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