Roma – Cultura

Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/9: Encase e la registrazione di Gaboardi

Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/9: Encase e la registrazione di Gaboardi. Perchè abbiamo lasciato questo complicatissimo intrigo alla puntata in cui il pm Longo si esponeva,  parlando tra le altre cose di questa registrazione che vi riproponiamo nella sbobinatura completa dei consulenti tecnici della Procura nella gallery. In questo testo ci sono almeno due aspetti interessanti: da una parte infatti c’è la descrizione tecnica di come vengono trasformati in atti ufficiali i dati contenuti nelle chiavette usb o in generale i supporti che usiamo per conservare file di vario genere. Per questo abbiamo messo nel titolo Encase. Come poteve vedere facilmente si tratta di una soluzione tecnologica usata per le indagini forensi, perché le informazioni che vengono estratte dai nostri dispositivi devono seguire percorsi precisi per tutelare i dirtti delle parti in causa. “EnCase è la tecnologia condivisa all’interno di una suite di prodotti per le indagini digitali di Guidance Software. Il software è disponibile in diversi prodotti progettati per l’uso forense, della sicurezza informatica, dell’analisi della sicurezza e dell’e-discovery” spiega la pagina di presentazione di Encase. Ma dietro c’è molto di più, perché la digital forensics ha compiuto passi da gigante in questo periodo storico. Gli Ordini dei Giornalisti, in particolare quello della Lombardia, hanno dedicato molti corsi a questa branca delle attività forensi. La seconda parte interessante di questo testo è invece il contenuto di questa registrazione, A partire dal fatto che forse è la prima registrazione audio in cui viene annotato anche che uno dei due interlocutori annuisce. Ma di solito che annuisce non emette suoni, si limita a rispettare il significante del verbo muovendo il capo su e giù. Ma ormai se avete seguito la nostra serie di approfondimenti sul processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news sapete che i documenti proposti da Gaboardi sono spesso patacche create ad arte. E in questo caso sembra non smentirci: perché nella registrazione del colloquio al bar, Gaboardi rimette insieme tutto il racconto che aveva già iniziato a mettere per iscritto con le sue testimonianze e report a Longo. I presunti affari loschi nei dintorni di Barletta e Siracusa in cui sarebbero coinvolti Gabriele Volpi, il Paperone d’Africa italiano, i suoi emissari nigeriani, una serie di personaggi come Zingales (che questa volta non viene nominato esplicitamente, ma avrebbe avuto in mano uno o più giornalisti del Sole24Ore), insomma i soliti nomi come quello del giudice Esposito e di Berlusconi (il fratello, viene precisato nel colloquio). Questa volta però ci inserisce pure Beppe Grillo e Massimo D’Alema che viene citato per via di quello che viene indicato come un suo super amico: Roberto De Santis. Come sempre nel pateracchio vengono fuori nomi di destra, sinistra, centro, giornalisti, politici, imprenditori, in una sorta di racconto giallo. Appassionante, ma sempre meno credibile.

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Lamorgese che si fa? Continuano le aggressioni alla Polizia

Lamorgese che si fa? Continuano le aggressioni alla Polizia. E’ successo a Casoria venerdì 15 aprile, ma le cronache ne hanno parlato poco. A Napoli, un poliziotto fuori servizio, dopo essersi accorto che due malintenzionati stavano forzando il suo scooter per rubarlo, si è diretto verso i soggetti qualificandosi. Gli uomini a quel punto si sono messi a correre cercando di dileguarsi, ma il poliziotto, un agente dell’Ufficio Prevenzione Generale, li ha inseguiti aspettando rinforzi. A quel punto i due malviventi hanno fatto dietrofront massacrato di botte l’agente fuori servizio, addirittura con lo stesso casco del collega, colpendolo ripetutamente in testa e continuando ad accanirsi con una violenza spropositata, tirando calci e pugni. Grazie all’arrivo di alcuni passanti, gli aggressori hanno deciso di dileguarsi. Fortunatamente attraverso alcune telecamere di sorveglianza, uno dei due soggetti è stato identificato e fermato dalla Polizia. Il video mostra immagini che non possono avere giustificazione alcuna. Servono sanzioni più severe. Non ci stanchiamo e non ci stancheremo mai di ripeterlo. Dice Stefano Paoloni, Segretario Generale del SAP: “Non c’è più rispetto del ruolo e della funzione degli agenti di polizia. E’ come se vigesse ormai il principio dell’impunità e questa non è una cosa che possiamo permetterci. Questi soggetti sono consapevoli che spesso non devono rispondere delle malefatte operate, quindi si sentono autorizzati a delinquere”. “Questo non lo possiamo permettere, servono più garanzie a tutela dei nostri colleghi e di tutti gli operatori delle Forze dell’Ordine, che quotidianamente mettono a repentaglio la propria vita per il bene collettivo. Auspichiamo che in questa circostanza, quantomeno gli autori possano rispondere di quanto fatto, visto che le immagini non lasciano alcun dubbio su quanto accaduto. Immagini incontrovertibili e di una violenza inaudita. Speriamo ne possano rispondere pienamente senza attenuanti che giustifichino il loro agire e gli consentano sconti sulla pena”. Facciamo i nostri più sentiti auguri di pronta guarigione al collega di Stefano Paoloni

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Seminario Giovedì 12 Maggio Exposanità

Seminario Giovedì 12 Maggio Exposanità. Di cosa parlerà lo spiegano gli stessi organizzatori: “In questi anni abbiamo avuto modo di osservare, in qualità di fornitori, come le diverse modalità di recepimento nel nuovo Nomenclatore abbiano impattato fortemente sulla diffusione e l’utilizzo efficace delle Tecnologie Assistive Digitali tra gli aventi diritto. Numerose e importanti sono le criticità nelle procedure d’acquisto che sono state adottate da Aziende Sanitarie e Centrali d’Acquisto Regionali: le più significative sono il non tener conto delle specificità prescrittive e delle necessità degli utilizzatori, assai eterogenee. Il Seminario intende illustrare, in accordo con altri protagonisti del processo di fornitura, gli strumenti e le procedure che meglio si adattano all’acquisto delle Tecnologie Assistive Digitali da parte del SSN, al fine di garantire ai destinatari finali soluzioni appropriate ed efficaci”. Il tema dunque è nient’affatto secondario perché per la spesa sanitaria si impiegano (fortunatamente) parecchi miliardi, ma proprio per questo spesso si creano inefficienze, storture e truffe. In questo caso il convengo sembra dunque concentrarsi su come vengono spesi i soldi di tutti dalle “centrali d’acquisto” cioè quegli enti deputati ad esempio a comprare le garze con cui poi veniamo medicati in ospedale. E quando si parla di tecnologie molto evolute i costi salgono, dunque salgono pure i rischi di spendere male i soldi pubblici. Un tema su cui c’è una particolare attenzione dell’Associazione Luca Coscioni e altre realtà del terzo settore. Scarica qui il volantino per tutte le informazioni Assoausili Exposanità 2022

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Salgari e Brooke non si (ri)conoscono nell’isola sommersa

Anche la Malesia ha il suo fim epico all’hollywoodiana. Giustamente Ai confini del mondo, del regista statunitense Haussman in una cineproduzione che vede, nell’anno del loro massimo attrito, ancora collaborare angloamericani, malesi e cinesi, è incentrato sul grande eroe locale, James Brooke, il Rajah bianco, sterminatore di pirati. Al terzo tentativo la Brooke Heritage Trust dei discendenti, l’ottantunenne artista Lionel ed i figli Jason e Laurence, tornati a Kuching, capitale del Sarawak fondata dal trisavolo, solo nel 2011, è riuscita a mettere sullo schermo le gesta del sovrano inglese d’India. Il primo tentativo era stato il progetto di documentario The life and times of Sir James Brooke of Sarawak del filmaker bolognese Cavazza per la sceneggiatura dell’artista Zecchini. Poi la Margate House Films aveva annunciato nel 2017 la cinebiografia per mano del regista russo Bodrov ma solo ora esce il titolo (non proprio nuovissimo, Edge of the world, il confine del mondo) grazie al pool riunitosi attorno all’amministrazione di Sarawak che ha potuto contare sulla digitalizzazione dell’archivio di Brooke. Non deve meravigliare l’entusiasmo con cui sono stati accolti gli ultimi (non) pretendenti al trono bornese; malgrado che due passi, nel minuscolo Brunei ci sia il sultano Hassanal Bolkiah, il monarca più ricco della terra, nella più grande palazzo del mondo, che ha introdotto ultimamente anche una sharia stretta e che è pure Ammiraglio onorario della Royal Navy. Nell’ampia parte del mondo, quasi tutta non europea, influenzata dagli anglosassoni, James Brooke resta un mito su cui escono biografie a getto continuo e che hanno ispirato una messe di autori da Conrad a Coppola, da MacDonald Fraser a Kipling. Nell’epoca del politicamente corretto, è tornata utile la riscoperta della sua omosessualità, che prima veniva fatta passare per un’invalidità dovuta alle ferite ai genitali, ricevute nella guerra anglo birmana del 1825. Le sue passioni vengono ricordate in India, Uk e Malesia dove si strinse ad un nobile cortigiano del 23° sultano del Brunei, Saifuddin II. Questo amore nel film diventa la passione omosessuale per Brooke (non ricambiata) dello zio del sultano, il Rajah Hashim, che nella realtà storica fu un prezioso alleato per l’inglese d’India, permettendogli di conquistare, poco a poco, la corte malese, con l’esplorazione di più di cento chilometri di costa del Borneo e del fiume Sarawak, con la repressione di quella che oggi chiameremmo rivolta sindacale dei minatori di antimonio e carbone contro Hashim e con la vittoria su nemici molto diversi tra di loro come i pirati della costa, i daiacchi ribelli detti uomini serpente, capitanati dal rivale Rajah Mahkota, ed i cinesi repressori degli stessi daiacchi. Per altro verso anche il quadretto romantico dell’amore dell’avventuriero per la bella malese Fatima, nipote del sultano, che Brooke sposò con rito islamico, avendone la figlia Fatima Brooke, risulta utile per sottolinearne l’anticolonialismo addirittura antinglese (di un Sir, cavaliere della Regina!), il pacifismo, l’amore per i fidati daiacchi tagliatori di teste, storicamente oppressi da cinesi e indiani, che Brooke preservò anche dai tentativi di conversione dei missionari cristiani (ma i civil servant erano tutti d’origine inglese). La passione del Rajah bianco per le effettive bellezze naturali della jungla sarawakiana, su cui si sofferma il film, è confermata da naturalisti come Wallace, Hooker ed il nostro botanico fiorentino Beccari che gli dedicarono le scoperte di nuove farfalle, piante carnivore e ben 130 specie di palme. Nell’avanzata colonialista ottocentesca in Asia, in presenza di regni organizzati e secolari, era una prassi la conquista mascherata da concessioni e rapporti di vassallaggio ad opera di coloni, armatori, militari e commercianti avventurieri. L’americano Lee Moses si prese dal Brunei in concessione il Sabah o Nord Borneo, dalla baia di Kimanis al fiume Seboekoe (passato poi al compatriota Torrey, Maharaja del Borneo del Nord, poi nel 1878 all’austriaco von Overbeck, Maharajah di Sabah e raja di Gaya e Sandokan, infine nel 1891 al britannico Dent). Anche il sultanato arabo di Solu fece la stessa fine mentre quello di Sambas che contendeva a Brunei la sovranità virtuale sull’inesplorato Sarawak, andò agli olandesi. Brooke era quindi in buona compagnia. Il Royalist, corvetta armata da 6 cannoni, gli permise di dettare legge sul Sultano, in difficoltà tra ribellioni, potenze coloniali e sfruttamento minerario di oro e carbone su terre in effetti poco conosciute; e gli venne concesso per 2500 sterline un Raj, governatorato sotto teorica autorità imperiale. Se non era pacifista, come lo descrive il film, Brooke però era nipote acquisito di Saifuddin II, uno di famiglia, insomma; il che gli permise di ottenere la piena sovranità su Sarawak da un lato, mentre si rifiutava, dall’altro, di cedere il trono alla Compagnia delle Indie cui consegnò solo l’isola di Labuan di cui venne nominato governatore. La sua vicenda, unica e da romanzo, diede origine ad una dinastia, durata un secolo. fino all’abdicazione di Anthony. Proprio come i monarchi inglesi della regione afghana del Kafiristan, raccontati da Kipling ne  L’uomo che volle farsi Re del 1888. La sua corte nel palazzo Astana a Kuching era pittoresca e stravagante, carica di esotici arredi europei e cineserie, con tutta la varietà delle tribù bornesi e la fedele ed adorante guardia daiacca acconciata con le decorazioni di guerra. Per gli inglesi nati in India come James, originario di Benares sulle rive del Gange, già sottufficiale del VI° Fanteria Indigena dell’esercito del Bengala della Compagnia delle Indie orientali era normale l’abitudine alle pratiche schiavistiche, poligami religiose locali, una promiscuità fisica e mentale assai poco vittoriana, che poi non impediva di garantire ordine e repressione. Ad un certo punto questo caravanserraglio acristiano scatenò il discredito inglese contro l’avventuriero sottufficiale, troppo poliforme. Pacifista che sparava con cannoni navali; scapolone gay, sposato musulmano, con due figli (oltre Fatima, ebbe George da una cameriera inglese riconosciuto tardivamente); Sir colonialista alfa ma nipote del Sultano. L’anatema però glielo diede nel 1896, Salgari ne I pirati della Malesia, terza opera del suo ciclo indomalese. Lo scrittore veronese tratteggiò il personaggio, realmente esistito, a trent’anni dalla sua morte avvenuta in Inghilterra mentre a Sarawak regnava il nipote Charles. L’ira salgariana non era

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Quell’islam tutto moda all’uzbeka

Il karakul, agnello persiano, sgambetta con occhio docile e passo elegante tra bellissimi fiori di loto. Il suo manto dal pelo scuro si svolge, si tesse e si indossa, praticamente, come seta. È la pelliccia rapida, futurista delle bisnonne; di un unico colore, e multicolore nei suoi riflessi di petali intarsiati. Il suo successo nella moda è stato vichiamente un corso ed un ricorso storico fino allo scontro frontale con l’animalismo. I persiani audaci e tinti colorati di Tivioli in futuro saranno ecologici. Perché l’astrakan, la pelliccia non superflua, non morirà mai, come l’omonima antica tartara capitale del Turkestan sulle sponde del Volga caspico, nella russa regione di Bukhara, dell’ex canato di Xacitarxan. Non c’è solo il pelo piatto lucido, seguono i contrasti cromatici, le geometrie, a fasce più o meno larghe alternate su sfondi predefiniti, del tessuto splendido che risponde al nome di Ikat. Combinando le sete, l’oro bianco dei cotoni, il cashmire di Samarcanda e Buchara, fortezze da deserto dei tartari, l’ikat tramanda l’altissima qualità dei tessuti, eterno miraggio mesopotamico e persiano per i mercanti occidentali che ne erano ossessionati come dall’indaco. Il sacrificio fatto per esaudire il desiderio è stato altissimo; sull’altare della moda è stato donato, regalo votivo, un mare, il Lago d’Aral, già secondo specchio d’acqua dell’Asia Centrale (dopo il Caspio). Per produrre un milione annuo di tonnellate di cotone, 50 kg ad abitante, già nei tempi sovietici, vennero deviati fiumi del lago per irrigare nuovi campi intensivi di cotone; poi il paese, sesto produttore al mondo, diventò da indipendente, il secondo esportatore di cotone, dietro solo agli Usa. Non c’è studente o insegnante che non diserti le aule in autunno per correre a raccogliere l’oro bianco. Intanto però, senza flussi d’acqua, con l’evaporazione naturale e l’uso di diserbanti si sono accumulate irreversibilmente sul fondo del lago d’Aral sabbia e sostanze tossiche che hanno condotto quasi al prosciugamento, con conseguenze sulle attività di pesca e l’innalzamento delle escursioni termiche della regione. I 68mila km2 originali del lago salato di origine oceanica, al confine tra Uzbekistan e Kazakistan sono oggi 7mila. Il delta del fiume Oxus, modernamente Amu Darya, si è ristretto per i canali di irrigazione, tra cui il più grande, quello del Karakum, che corre dall’Amu Darya fino al Mar Caspio. Il consumo d’acqua, particolarmente fondamentale per la moda, determina problemi ambientali spesso sottovalutati. Ci vogliono 2700 litri di acqua per una sola t-shirt mentre un jeans richiede l’acqua necessaria al fabbisogno umano di acqua di 100 giorni. Karacul, Ikat, Aral, Bukhara, astrakan, cotone, l’Oxus tutto questo, nel bene e nel male, sono l’Uzbekistan, terra persiana, greca, russa del mitico Turan, sito ariano dei turcomanni contrapposti all’Uran persiano zoroastrista. Per forza di cose, l’Uzbekistan era destinato ad essere fonte di idee estetiche e fornitore della moda; fino a farsene protagonista esso stesso. Così è nato il New Uzbek Fashion degli Ikat di Kamola Rustamova, Surayo Rashidova e Gayratkhon Khujamuratov fantasmagoricamente colorati e intrecciati come tappeti. Grande e lugubre protagonista è stata la stilista e cantante GooGooSha, al secolo Gulnora Karimova,. figlia del defunto presidente monarca uzbeko Karimov. La donna per vendicarsi dell’ex marito, gli ha chiusa l’azienda, imprigionati e deportati i parenti in Afghanistan, anche con intervento di killer. Già classificata una delle peggiori figlie del mondo, Gulnora è stata messa agli arresti domiciliari dal 2014. Il contesto politico ha facilitato lo scambio economico e la dialettica estetica. Le nuove ma vecchie elites ex-comuniste delle repubbliche turcomanne e russofone (Karimov, Rahmon, Nazarbayev, Emomali) hanno mantenuto, anche con la forza, regimi laici, partecipi sia delle intese occidentali che del Patto di Shangai russocinese. L’ Uzbekistan ha offerto basi aeree agli USA durante la guerra in Afghanistan, ha partecipato al Northern Distribution Network in Afghanistan ed ha sostenuto gli accordi di Doha per il ritiro americano. Insieme inviava combattenti in Afghanistan fra le fila di Tawhid wa Jihod, Daesh ed al-Nusra. L’erede del primo presidente, al potere per 26 anni Karimov, è dal 2016 Mirziyoyev, già primo ministro dal 2003, che ha lanciato un programma parlamentare di diritti umani senza più repressioni politiche, contando sulla ricchezza potenziale delle grandi riserve di gas e petrolio per le quali opera l’ENI. Non è semplice mantenere l’eredità laica sovietica in un contesto di vincente islamismo. Aiutano però le madrasse scite mistiche ispirate al sufismo, largamente tollerante e tradizionalmente inviso ai fondamentalisti sunniti, in un paese molto popoloso dell’area, non quanto l’Afghanistan (il Kazakistan è già un grandissimo esportatore mente il Kirghizistan detiene la più grande riserva mondiale di uranio). Il Gorbaciov dell’Uzbekistan (secondo la definizione del prof. Fumagalli Violence and Resistance in Uzbekistan, Routledge, 2017) rischia, senza tagliare duecento teste, di lasciare agli islamisti campo libero di diffusione e propaganda che possono raggiungere il consenso generale locale come si è già visto in situazioni geopolitiche simili. Tra le riforme uzbeke, l’acceleratore è spinto su moda e design. Il locale NIFAD ha stabilito contatti diretti con la famosa Scuola di Moda Polimoda di Firenze mentre accordi sono stati stabiliti tra l’Uzbekistan Textile and Garment Industry Association ed il Milan Fashion Center e tra l’Università Europea di Design (UED) di Pescara e il Tashkent Institute of Textile and Light Industry partecipando alla Tashkent Fashion Week. Tra i milioni di giovani uzbeki, orfani del padrepadrone. generalmente destinati a lavori umili in Russia, si fanno largo dunque anche gli stilisti ed i designer, forti di tradizioni secolari multiculturali, di ricami decorati, di tessuti floreali, di una straordinaria artigianalità, attraverso numerose cooperazioni con aziende italiane. L’abbigliamento uzbeko esprime storia, cultura, orgoglio e gloria dello stato. Divenuta una delle locali forme d’arte più popolari, il design uzbeko si ripropone, tra neoetnico e haute couture, come il ritorno dello stile che meravigliò González de Clavijo nel Viaggio a Samarcanda alla corte di Amir Temur detto Tamerlano. L’ingegnosità del re astronomo Ulugh Beg, del noto Avicenna e di Al-Khorazm, inventore dell’algebra, persa nella notte dei tempi e l’eleganza sovrana della shapka corona di karakul, adorna di gemme, indossata dagli scià persiani e dagli aristocratici russi ed

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Il lavoro di Antonio Pennacchi come attore web

Il lavoro di Antonio Pennacchi come attore web. Il grande scrittore di Latina infatti ha recitato una parte della docu-serie “Paludi Pontine tra storia e identità”, un progetto di quattro scuole di Latina per ricostruire un’identità storica al territorio a cui Pennacchi era tanto legato personalmente e professionalmente. Il grande scrittore è stato proprio testimonial del progetto per il quale è stato creato anche un sito internet che trovate a questo link e sul cui canale Youtube è possibile trovare una presentazione del progetto raccontata dello stesso Pennacchi. L’identità è infatti un tema cruciale per un territorio come Latina, una città con meno di 100 anni è una rarità in Italia dove anche l’ultima frazione dell’ultimo paesino in mezzo al nulla ha una storia secolare. E così come lo è stato per il Pennacchi scrittore, lo è stato per il lavoro di Antonio Pennacchi come attore web. Sull’importanza della storia del suo territorio lo scrittore ha regalato grandi pagine di letteratura, ma anche dimostrato l’apertura a progetti innovativi come le scuole di Latina che coordinate dall’Istituto Vittorio Veneto – Salvemini hanno posto un piccolo grande mattone per la costruzione di una storia del territorio più incentrata sulla realtà dei fatti che alle sole interpretazioni politiche legate al ventennio fascista. E che ha lanciato una importante visione sull’approccio all’istruzione moderna con la creazione della prima lezione in 3 dimensioni sulla storia delle Paludi Pontine: grazie a una collaborazione con H-FARM infatti l’Istituto Vittorio Veneto – Salvemini ha avviato il primo laboratorio di realtà virtuale in una scuola pubblica italiana. Una ventina di Oculus, i visori 3D usati fin’ora soprattutto per giocare ai videogames più innovativi, serviranno invece per vivere in prima persona un’esperienza immersiva nella storia del territorio pontino. Un gesto di speranza per un territorio ancora molto legato all’agricoltura e in cui l’innovazione è spesso relegata all’iniziativa di aziende private (non è un caso che ci siano alcuni produttori di vaccini). E l’ultimo regalo di cultura e innovazione lasciato da Antonio Pennacchi al suo tanto amato agro pontino.    

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