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Sala assume le deleghe alla transizione ambientale: l’ambientalismo è una lotta politica

 “La battaglia per l’ambiente è una battaglia profondamente politica. Lo sostengo dalla mia candidatura a sindaco di Milano. E oggi più che mai ne sono convinto“. Lo ha scritto il Sindaco di Giuseppe Sala, in un post su Facebook parlando della nuova delega relativa alla transizione ambientale che ha preso in carico dopo il rimpasto di giunta. “I giovani di tutto il mondo chiedono alle istituzioni e ai governi di affrontare questo tema con serietà e urgenza. Abbiamo il dovere di dare loro risposte efficaci. E ormai il problema è talmente evidente che tocca la sensibilità di tutti, non solo dei giovani – ha aggiunto – Per questo motivo ho deciso di accorpare le deleghe relative alla Transizione Ambientale e di prenderle direttamente in carico“. Milano secondo Sala “si fa laboratorio di sperimentazione e modello, in grado di fare fronte comune con le più importanti e grandi città del mondo. Non diremo no a tutto in nome dell’ambiente. Il nostro sarà un ambientalismo propositivo, che vede nelle sfide, dal cambiamento climatico al risparmio energetico, dalla raccolta differenziata dei rifiuti alla mobilità sostenibile, delle opportunità per crescere, innovare e migliorare, a favore della città, dei cittadini e del Pianeta“. “Lo faremo alla milanese, senza pensare di avere la verità in tasca, ma pronti a collaborare con tutti – ha concluso -. E nella certezza che noi continueremo a ricercare soluzioni corrette che corrispondano alla nostra visione di una nuova giustizia sociale e ambientale per la nostra citta’ e il nostro Paese“. ANSA  

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Rinviata al 12 la soluzione del mistero del processo UBI

Rinviata al 12 la soluzione del mistero del processo UBI. Nell’udienza del 4 maggio del procedimento che vede alla sbarra 30 imputati, tra cui nomi pesanti del sistema bancario italiano come Giovanni Bazoli, non si è ancora risolta la questione: secondo l’accusa sostenuta dal pubblico ministero Fabio Pelosi nell’assemblea dei soci del 2013 ci sarebbe stato una fraudolenta alterazione di maggioranza realizzata attraverso molteplici differenti condotte che portarono alla vittoria della lista Moltrasio. Per dimostrare l’effettiva alterazione della maggioranza occorrerebbe “vincere la prova di resistenza”. Il P.M. dovrebbe quindi dimostrare “al di là di ogni ragionevole dubbio” che, senza le numerose condotte contestate agli imputati, sarebbe certamente risultata vincitrice la lista che si è classificata seconda. L’impresa si preannuncia titanica: il P.M. dovrebbe dimostrare che almeno 2.600 voti espressi mediante delega in favore della lista risultata vincitrice non sono stati validamente espressi. Nel corso delle indagini la Guardia di Finanza ha sentito oltre 400 persone e ha contato più di 1.100 voti non validi (perché frutto di deleghe “in bianco”, vietate per evitare il fenomeno di rastrellamento di voti per delega). Il P.M. ha chiesto al Tribunale di acquisire la prova indispensabile per dimostrare la tesi d’accusa: un file Excel contenente i nomi dei 14.000 soci di UBI che si sono presentati all’assemblea del 2013 e il codice univoco assegnato “at random” ad ogni votante. L’abbinamento del nominativo di ogni singolo socio ad un codice numerico è indispensabile per poter ricostruire le determinazioni di voto. Le schede di voto utilizzate da UBI riportavano infatti il codice assegnato ad ogni socio, così permettendo di “tracciare il voto”, cioè di sapere chi ha votato per chi. Ovviamente per consentire questo abbinamento socio – voto è necessario avere a disposizione i due elementi indispensabili: le schede di voto e il database riversato su un DVD che contiene gli abbinamenti tra i nomi dei soci e il codice assegnato. Lo scontro tra avvocati e PM che sta infuocando l’arena processuale si protrae dal 15 maggio e ha ad oggetto l’asserito (dalle difese) omesso deposito del database e delle schede di voto al momento della chiusura delle indagini preliminari, nel novembre 2016. Ma facciamo un passo indietro. Tutto il procedimento è incentrato sull’assemblea dei soci Ubi del 2013, l’ultima svoltasi con il vecchio assetto da banca popolare per Ubi: in sostanza, il gruppo dirigente della banca veniva eletto dall’assemblea dei soci. Ogni possessore di almeno 250 azioni di Ubi aveva diritto a esprimere un voto. E ciascuno poteva avere fino a tre deleghe di altri soci. L’impianto accusatorio sostiene che ci furono persone che rastrellarono deleghe in bianco e si presentarono a quell’assemblea votando per persone a loro sconosciute, dunque in assenza di qualsiasi indicazione di voto. Dal processo stanno emergendo una ad una le molteplici condotte ipotizzate dal P.M. Un esempio: gli apicali del gruppo avevano il divieto di portare deleghe come previsto dal Codice Civile. Eppure alcuni si sono presentati portando deleghe, in alcuni casi anche con decine di deleghe grazie a un meccanismo come questo: il socio si presentava sia come persona fisica, sia come rappresentante di società che possedevano un numero sufficiente di azioni per esprimere un voto. In questo modo sarebbe stato possibile moltiplicare anche il numero delle deleghe perché una singola persona rappresentava sé e le aziende. Il 4 maggio sono stati sentiti anche diversi dipendenti Confiab, Consorzio Fidi fra Imprese Artigiane della Provincia di Bergamo, che avrebbero fatto parte di un altro meccanismo volto a truccare il voto: la cassa del consorzio sarebbe stata usata per consegnare 3200 euro ad ogni dipendente “operativo”. Con questi soldi avevano ricevuto l’incarico di comprare 4 pacchetti da 250 azioni di Ubi, in parte per sé in parte per parenti e amici. Il mistero delle prove al processo Ubi resisterà almeno fino al 12 giugno. Nell’udienza del 4 maggio del procedimento che vede alla sbarra 30 imputati, tra cui nomi pesanti del sistema bancario italiano come Giovanni Bazoli, non si è ancora risolta la questione: secondo l’accusa sostenuta dal pubblico ministero Fabio Pelosi nell’assemblea dei soci del 2013 ci sarebbe stato una fraudolenta alterazione di maggioranza che portò alla vittoria della lista Moltrasio, ma la prova che potrebbe dimostrare la tesi d’accusa ancora non è stata prodotta. Nell’ultima udienza del procedimento i difensori degli imputati, gli avvocati Fabio De Matteis (dello studio dell’ex ministro Severino) e Dinacci, hanno lamentato la mancanza del DVD contenente il file con i nomi dei 14mila soci che avevano partecipato all’assemblea. Quel database dice chi c’era e quante deleghe aveva portato. Per sapere se il Tribunale riterrà utilizzabile la prova chiesta dal P.M. bisognerà aspettare il 12 giugno.

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Altitonante rimette le deleghe, Indagini su Lara Comi

Il consigliere regionale di Forza Italia Fabio Altitonante ha rimesso la delega a sottosegretario all’area Expo per la Regione Lombardia. L’incarico gli era stato già sospeso dal presidente della Lombardia Attilio Fontana martedì scorso subito dopo che Altitonante era finito agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Milano per tangenti negli appalti. Si è inoltre appreso che i pm di Milano stanno indagando su “contratti di consulenza” ottenuti, attraverso Gioacchino Caianiello, ex coordinatore di FI a Varese e ritenuto il “burattinaio” di un presunto sistema corruttivo emerso con gli arresti di martedì, da “una società riconducibile a Lara Comi“, eurodeputata e coordinatrice provinciale di Forza Italia di Varese. “Contratti di consulenza da parte dell’ente Afol città metropolitana” per un “totale di 38.000 euro“. Lo si legge nella richiesta di custodia cautelare dei pm della Dda milanese. Il caso Comi, per cui ora sono in corso verifiche bancarie, è venuto a galla nella richiesta di misura cautelare avanzata dai pm Silvia Bonardi, Adriano Scudieri, Luigi Furno e dall’aggiunto Alessandra Dolci, a proposito del ruolo di Caianiello. Sarebbe stato lui il vero coordinatore varesino di Fi, “in costante contatto con tutti gli esponenti apicali del partito a livello regionale” tra cui anche Mariastella Gelmini e il Presidente Fontana. Inoltre, sarebbe stato così abile da riuscire “con disinvoltura”, tramite la “collaborazione di alcuni suoi uomini di stretta fiducia”, “ad estendere la sua influenza politica e, parallelamente, quella criminale ben oltre i confini della provincia di Varese”. Infatti, annotano i pm, avrebbe fatto ottenere a una società di Saronno, riconducibile all’eurodeputata, che non è indagata, contratti di consulenza da parte della partecipata Afol città metropolitana, di cui Giuseppe Zingale era direttore generale. Contratti “per un totale di 38.000 euro (come preliminare conferimento di un più ampio incarico che può arrivare alla totale cifra di 80.000 euro) – si legge nell’atto – dietro promessa di retrocessione di una quota parte agli stessi Caianiello e Zingale”. Lara Comi in una nota ha precisato di avere un’unica società “la Premium Consulting regolarmente denunciata all’interno della Dichiarazione di interessi finanziari dei deputati” e che “non ha nulla a che spartire con le consulenze sotto inchiesta“. ANSA  

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