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In Comune la sinistra sta quasi con Gaza, ma non con Assange

E’ stata approvata in Consiglio Comunale una delibera, nata per sostenere la popolazione di Gaza e finita per diventare un pastrocchio che accontenta e scontenta tutti nello stesso tempo. Modificata quasi subito con l’aggiunta della la richiesta di impegnarsi anche per la liberazione degli ostaggi che ancora Hamas tiene prigionieri, ha avuto una gestazione laboriosa durante un dibattito che ha spesso assunto toni accessi, in particolare per quanto riguarda la questione su chi e da dove stiano arrivando gli aiuti umanitari e sul fatto che Israele stia rispondendo a un attacco terroristico. Alla fine come spesso accade in questi casi, il gigante ha partorito un topolino e la delibera, che è stata approvata con il solo voto dei consiglieri di maggioranza, mentre quelli di opposizione hanno abbandonato l’aula, chiede al Comune di Milano di impegnarsi, anche esercitando la propria influenza come Comune leader in Italia e in Europa, affinché venga dichiarato un cessate il fuoco umanitario a Gaza e la liberazione degli ostaggi. Inoltre, fuori da palazzo Marino sarà esposta una bandiera della pace con la scritta “Cessate il fuoco ora”. Dove e da chi sarà lasciato all’immaginazione e ai desideri dei passanti. Nulla di fatto invece per quanto riguarda la concessione della cittadinanza onoraria a Juliane Assange. Proposta tornata in aula per l’ennesima volta (abbiamo perso il conto) dopo essere stata rimandata, poi discussa e mai votata, anche questa volta non ha avuto sorte migliore. Infatti, alla contrarietà del PD a sostenerla che ne avrebbe sancito la bocciatura, si è aggiunta la volontà di tutto il centrodestra di abbandonare l’aula, facendo mancare il numero legale cosa che condanna la proposta a tornare in aula nella prossima seduta per essere nuovamente discussa, votata e se Dio vorrà approvata o bocciata. A puro titolo di cronaca riferiamo che se il voto di ieri fosse stato in numero legale, la richiesta sarebbe stata bocciata visti i soli sette voti a favore ricevuti a fronte di 12 contrari e 7 astensioni dei consiglieri del PD.

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De Chirico (FI): via i manifesti “Save Gaza” dalla città

“Un cittadino israeliano residente a Milano mi ha mandato inorridito la foto di un camion vela pubblicitario con la scritta “Stop al genocidio – #SaveGaza” in piazzale Brescia“. Lo scrive in una nota Alessandro De Chirico, Capogruppo di Forza Italia in Consiglio Comunale. “Sarà un caso che si sia scelto un punto sulla circonvallazione così strategico perché all’ingresso di un quartiere dove la comunità islamica è così radicata? – si chiede il forzista – C’è dietro un fine maldestro di aizzare il sentimento antisionista? Se non ricordo male esiste un regolamento sulla pubblicità che vieta messaggi di questo tipo. Credo che sia lo stesso regolamento a cui si appellano le femministe contro la mercificazione del corpo della donna. Ritengo doveroso che il Comune verifichi immediatamente chi abbia pagato questa campagna comunicativa e provveda alla copertura dei manifesti, non vorrei che ce ne siano già parecchi in giro per la città“. “Stessa cosa – continua – dovrebbe essere fatta per gli adesivi posizionati sopra ai cartelli di divieto di accesso dove campeggia la scritta insanguinata di Gaza. La soluzione della crisi mediorientale non si risolve con la partecipazione di qualche amministratore locale in cerca di visibilità a convegni che vogliono negare il genocidio ebraico o di questi stratagemmi di guerriglla marketing (sob) buoni solo a far crescere l’odio all’indomani della giornata della memoria. Solo la diplomazia può fermare le bombe dopo l’aggresione del 7 ottobre da parte dei terroristi di Hamas”. Conclude De Chirico.

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A Gaza la colpa europea

Sono arrivate immancabili le manifestazioni a sostegno dei palestinesi mentre infuria lo scontro tra Striscia di Gaza ed Israele, razzi a profusione contro cannonate, droni e missili. Sono reazioni solite ad eventi ormai abituali  di conflitto senza fine. Nelle manifestazioni diffuse in tante piccole città e piccoli centri, piccole folle di vecchi e ragazzi, con tanta memoria colpevole e tanta ignoranza incolmabile. Lo scontro più forte lanciato da Gaza, dall’autorità di Palestina 7 anni fa ha lasciato macerie senza ricostruzioni. In compenso ora sono stati accaparrati 11 mila missili (gli M-30 dalla Siria via Iran, i razzi R-160 e i Fajr-5 da 75 km, i Qassam e Grad da 40 km) che ora vengono consumati velocemente, al ritmo di mille in pochi giorni. Non c’è alcuna possibilità che l’ennesima aggressione di Hamas, dominium di governo a Gaza, danneggi seriamente Israele ma è alta la speranza di poter mostrare le vittime, donne e bambini, delle reazioni israeliane, così da ottenere sempre maggiori aiuti internazionali. La strategia militare (servizi segreti Jehaz Amam e struttura militare Al-Mujahiddin al-Filastinun) di Hamas costa ca. $70 milioni l’anno per qualche centinaio di combattenti, approvvigionati ed addestrati, le cui famiglie, possono contare, in caso di morte di pensioni da €5mila. D’altro lato tutto il bilancio pubblico di Gaza è solo di ca. $500 milioni. Un quadro capace di smantellare ogni residuo romanticismo sull’autodeterminazione dei popoli dell’epoca anticolonialista. Sembra proprio che 70 anni non abbiamo insegnato nulla. 70 anni di conflitti, di guerre, di guerriglia strisciante e di terrorismo, quattro guerre, tre intifade, 21 anni di attacchi a sorpresa da Gaza, quasi 70 condanne di Israele da parte dell’Onu hanno condotto ad un punto morto, fin da quel 2005 quando Israele si ritirò da Gaza ed altri territori occupati dopo le guerre. con diverse responsabilità. Il mondo arabo, innanzitutto. L’obiettivo di cancellare Israele dalla carta geografica unisce oggi solo la fazione Hamas, al governo nell’Autorità nazionale palestinese ed Hezbollah, partito armato e filo iraniano al governo in Libano, Lo diceva ancora la Persia del 2005; oggi si limita a sperarlo guardando l’orologio che segna il tempo della profezia al 2040 della fine ebraica. Non lo dicono più Egitto, Giordania, Siria, Libano, Libia, Iraq, Kuwait, Algeria, Sudan, che sostenevano nel ’67 per bocca del presidente irakeno, il nostro obiettivo è cancellare l’aberrazione dell’esistenza di Israele. Non lo dicono più neanche Emirati Arabi Uniti e Bahrei, dopo gli accordi di promossi da Trump e sono sulla stessa via Sudan e Arabia Saudita. Malgrado quel che propagandano le anime belle ci sono delle conseguenze a scatenare tante guerre, perdendole tutte; e ce ne sono ancora di più se il paese che si vuole distruggere, cresce e prospera con un modello di sviluppo inarrivabile tra tutti i vicini mediorientali, Nondimeno l’ostilità a Israele è forse l’unico leitmotiv che unifichi il diviso mondo arabo e islamico, giustificandone l’ostilità al campo americano ed occidentale reo di difendere Israele. Ricco solo se ha petrolio, in corsa nell’immersione nelle novità tecnologiche digitali il cui know how è tutto straniero, il mondo arabo è conscio della frustrazione che l’attaglia; dalla caduta ottomana, i suoi territori sono stati regolati, gestiti, rivoluzionati secondo le ondate altrui di invasione, ritiro, neoinvasione, senza che gli islamici potessero mai toccare palla. Fra queste conseguenze della storia altrui, c’è anche lo sviluppo del Focolare ebraico, che però mai sarebbe divenuto Stato se gli arabi medesimi non avessero venduto le loro terre. Anche il passaggio dalla leadership terzomondista, rivoluzionaria e laica a quella jihadita, consumatasi tra i palestinesi nel 2005, ha seguito il crollo del marxismo nel nord del mondo più che l’avvento del khomeinismo. Ora dopo le recenti guerre, invasioni e posizionamenti militari Usa in tanta parte del mondo islamico, in loco c’è poco da dire, anche perché per ridimensionarli c’è stato bisogno della presenza militare russa. I tempi della Guerra Fredda non ci sono più; Mosca, stabilmente amica della Siria, lo è anche di Israele. La quale, a forza di minacce, è divenuta una notevole potenza regionale, con il più forte esercito del quadrante mediorientale, con tanto di accettazione di Gerusalemme come sua capitale. La revanche islamica è affidata all’emigrazione in Europa ed al politicamente corretto negli Usa. La più giovane parlamentare Usa, la bella portoricana Alexandria Ocasio-Cortez, detta AOC, ha tuonato contro Israele come uno stato di apartheid. Gli estremisti dei diritti umani sostengono gli arabi, a loro dire, discriminati difendendo il loro stile di vita e di governo, che è opposto ai medesimi diritti. I democratici Usa, però, nella foga di cancellare il filoisraelismo trumpiano, si trovano di fronte paletti insuperabili storici ed economici. A Gerusalemme, per evitare le quinte elezioni in due anni, il partito islamista Ra’am di Mansour Abb, potrebbe coalizzarsi alla destra per permettere l’ennesimo governo Netanyahu, con enorme indignazione del moldavo, ancor più destro, Lieberman. In questa dialettica, non proprio da apartheid, mentre il conflitto di Gaza si è esteso a scontri anche nelle città israeliane da Lod a Tiberiade, parte degli arabi sono stufi dell’autorità palestinese che danna loro la vita. E l’opposizione di Yair Lapid non sembra meno di destra. Gli ultimi 20 anni di terrorismo strisciante hanno chiuso tutti gli israeliani alle interferenze del mondo esterno che spesso parlano senza sapere. Il risultato è l’incredibile sorpresa di un possibile governo araboebraico. La verità è che mai i palestinesi sono stati tanto isolati nel mondo musulmano, nemmeno ai tempi del disastro di immagine dell’Olp per corruzione o dalla guerra civile del 2005. Negli anni, dal 2004 in particolare, sono scemati gli aiuti da centinaia di migliaia di dollari delle rimesse dei 20 mila palestinesi e libanesi del Brasile; o i $50 milioni che arrivavano da Arabia Saudita e Stati del Golfo. Quanto all’Iran, i suoi $3 o 100 milioni annui, a seconda dei momenti di maggiore o minore vicinanza politica, si sono sempre tradotti in armi. A finanziare i palestinesi paradossalmente resta l’Occidente con i 65 milioni Usa che Trump bloccò e che Biden vuole ridare all’Autorità. E l’Europa, storica sostenitrice dell’Autorità Palestinese che

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