Nome dell'autore: Michelangelo Bonessa

Giornalista per inclinazione allo scrivere e al non essere allineato, direttore editoriale dell'Osservatore Meneghino per le mille e imperscrutabili vie della vita. Ho scritto per Narcomafie, Corriere, Giornale, Fattoquotidiano, LaPrealpina, Stile, 2duerighe.com, MilanoPost, l'Esagono e molti altri.

Milano cerca un sindaco. Ma soprattutto cerca sé stessa

Milano, mia Milano. La città che più d’ogni altra in Italia ha saputo farsi capitale senza esserlo mai davvero. La città che lavora quando il resto d’Italia sonnecchia, che produce quando il resto consuma, che corre mentre tutti aspettano un autobus. Ebbene, oggi Milano si prepara, con due anni d’anticipo, a scegliere un nuovo sindaco. Ma da quel che vedo, sento e leggo, a Milano non si cerca una guida: si cerca un nome da affiggere sui manifesti. Lo spettacolo è desolante. E lo è in primo luogo per la sua inconsistenza. Il centrodestra e il centrosinistra, quelle due vecchie dame che da decenni si contendono la scena politica cittadina come due attrici in una commedia che non cambia mai copione, sono in piena agitazione. Si consultano, si chiamano, si smentiscono. Fanno circolare nomi come se fossero figurine rare: un ex manager, un professore, un volto televisivo, perfino uno chef stellato. Tutti uomini e donne di successo – per carità – ma che con Milano hanno spesso lo stesso rapporto che ha un turista con una guida turistica: superficiale, episodico, talvolta infatuato, mai autentico. Il punto è questo: nessuno, né a destra né a sinistra, pare interessato a discutere di Milano. Dei suoi problemi veri. Del traffico che strangola ogni quartiere dentro e fuori la cerchia dei bastioni. Della casa che è diventata un lusso persino per un impiegato con contratto a tempo indeterminato. Del verde che manca, delle scuole che cadono a pezzi, delle periferie che tornano ad affacciarsi sull’abisso della marginalità. Della sicurezza, della coesione sociale, della trasformazione urbanistica che procede come un treno giapponese ma con passeggeri lasciati sulla banchina. Di tutto questo, poco o nulla. E perché? Perché parlare di temi è difficile. Richiede studio, analisi, compromessi. Richiede visione. E visione è una parola che fa paura ai partiti italiani, specialmente quando si tratta di amministrare. Meglio allora il nome: il candidato buono a tutte le stagioni, l’uomo immagine, la donna di successo, la figura che può tenere insieme un’alleanza traballante o strappare qualche titolo di giornale. Ma Milano non ha bisogno di un nome. Ne ha avuti anche troppi. Alcuni hanno fatto bene, altri hanno fatto poco, altri ancora hanno fatto danni. Milano ha bisogno di una guida. Di un programma serio, concreto, misurabile. Di una visione politica e culturale. E ha bisogno che questa visione venga prima del nome, non dopo. Perché se l’ordine è invertito – e lo è – allora la democrazia amministrativa si riduce a un casting. E la politica a una fiera del marketing. Sento già le obiezioni: “Ma è troppo presto per parlare di programmi, le elezioni sono nel 2027!” Appunto. È proprio oggi, nel 2025, che si deve cominciare a parlare di città. Perché le soluzioni non si improvvisano, si costruiscono. E perché i milanesi meritano di più di un cartellone pubblicitario con uno slogan e un volto rassicurante. Meritano risposte, idee, passione. E soprattutto rispetto. Nel dopoguerra, Milano seppe risollevarsi perché seppe guardare avanti. Non aspettò che fosse Roma a dettarle l’agenda. Non aspettò che fosse la politica a salvarla. Se la fece da sé, con pragmatismo e ambizione. Oggi deve tornare a quello spirito. Ma per farlo, deve rifiutare la logica del casting e pretendere contenuti. E deve farlo ora. Chi pensa di poter governare Milano con i selfie e le strette di mano dovrebbe ricordare che questa città non perdona la superficialità. Ti osserva, ti misura, ti giudica. E prima o poi ti presenta il conto. Soprattutto se sei entrato a Palazzo Marino senza sapere perché. E senza sapere dove andare.

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Terzo mandato M5S approvato

Terzo mandato M5S approvato. Nel panorama politico italiano, la notizia Terzo mandato M5S approvato è ormai un leitmotiv ripetuto dal Movimento 5 Stelle per sottolineare la portata del cambiamento statutario. Le modifiche approvate tra il 21 e il 23 giugno 2025 con una partecipazione pari al 50,13 % degli iscritti (49.769 votanti su 99.274 aventi diritto) hanno segnato una svolta significativa: l’introduzione del terzo mandato parlamentare e amministrativo, la valorizzazione del Comitato di Garanzia, e una normativa più strutturata per le cariche interne. Il Terzo mandato M5S approvato porta con sé una riorganizzazione interna del Movimento. Per la prima volta si gettano le basi per una leadership con continuità, che rifugge dagli ideali di turnover perpetuo degli esordi e opta per una prospettiva di lungo periodo. Pur restando una forza politica nata sull’onda dell’innovazione e dell’anti-casta, oggi il M5S dimostra di voler consolidare la propria presenza istituzionale in Parlamento e nelle amministrazioni locali. Questa esigenza di stabilità si accompagna al potenziamento del Comitato di Garanzia, ora dotato di poteri reali: può annullare votazioni, intervenire su candidature non consentite, e convocare assemblee degli iscritti in autonomia . Parallelamente, ruoli come tesoriere e presidente vengono incardinati in regole precise: eletti tra gli iscritti, con legami diretti alla base, e soggetti a max due mandati consecutivi. Ecco un riepilogo dei cambiamenti: Aspetto Regola precedente Nuova regola Mandati parlamentari 2 3 (con pausa o ruolo diverso) Pause fra mandati Inesistenti 5 anni dopo due mandati Mandati locali Sempre conteggiati “Mandato zero” per cariche minori Comitato di Garanzia Solo consultivo Piena autorità su votazioni e candidature Tesoriere · Presidente Regole vaghe Elezione base, max 2 mandati Sul fronte politico e comunicativo, il Terzo mandato M5S approvato rappresenta un messaggio chiaro: si privilegia l’esperienza e la memoria partitica. Con questa svolta, Giuseppe Conte rafforza la leadership interna e mette in sicurezza il gruppo dirigente. Resta però il nodo ideologico: questo mutamento rischia di allontanare parte della base storica, nostalgica di quell’imprinting radicale e antielitario che ha contraddistinto il Movimento nelle sue fasi embrionali. La tensione tra stabilità e partecipazione diretta continua dunque a essere al centro del dibattito interno.

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Risiko bancario: di cosa parla l’esposto di Unicredit tra Consob e Procura

Risiko bancario: di cosa parlerebbe l’esposto di Unicredit tra Consob e Procura. Il condizionale è d’obbligo, perché le notizie che si susseguono intorno al risiko bancario sono tante. E spesso contraddittorie. Un esempio? Il Procuratore di Milano Viola ieri ha smentito la presenza di un esposto di Unicredit che solleverebbe dubbi sull’operazione che sta cercando di portare Caltagirone e Milleri, il tutore degli eredi di Del Vecchio, a capo sia di Mediobanca che di Generali. Peccato che nella stessa giornata la notizia sia stata confermata e rilanciata da Lettera43. Ma sempre nella stessa giornata qualcuno dalle parti di Unicredit (la dichiarazione non ha un nome e un cognome) smentisce che la banca abbia presentato un esposto per denunciare un presunto concerto nella scalata a Mediobanca tramite Mps. Il motivo, verrebbe da pensare potrebbe essere che lo Stato ha avuto e ha tutt’ora un grosso ruolo nella vicenda. E molto attivo. Tant’è che uno dei nodi cruciali del grandissimo caos che si è scatenato nel tentativo di cambiare tutti gli equilibri del mondo bancario è la cessione da parte del governo del 15% di Mps alla cordata guidata da Caltagirone. L’esposto, che in effetti risulta a molti esistere ma depositato prima in Consob e poi trasmesso in Procura a Milano, partirebbe da qui. Anche perché è uno dei punti su cui si sarebbero incastrati i giochi in corso, detto in altro modo: mentre Unicredit e altri si muovevano come da regole di un mercato libero in stile europeo, si sarebbero scontrati con la volontà di Giorgia Meloni e soci di avere un ruolo nella gestione dell’economia nazionale. Sta di fatto che dopo mesi di schermaglie e qualche boutade come chi ha suggerito a Alberto Nagel di dimettersi per sciogliere ogni questione ora siamo arrivati alle carte pesanti, perché tra denunce per diffamazione a carico di Osvaldo De Paolini per gli articoli scritti su ilGiornale e le denunce incrociate, ora c’è chi rischia il patrimonio (come i figli di Del Vecchio che sono stati affidati a Milleri) ma magari anche altri guai. Perché tra le ipotesi varie la situazione potrebbe precipitare. Tant’è che, secondo quanto dicono alcuni dirigenti ministeriali e di importanti istituti bancari francesi, persino Emmanuel Macron avrebbe fatto presente a Giorgia Meloni che la situazione sta sfuggendo di mano e ai francesi non piace come si sta mettendo la questione. Ma entriamo nel tecnico. Il primo esposto pesante di cui si parla è quello che avrebbe depositato Unicredit. Alcuni dicono Orcel direttamente, motivo della smentita di Unicredit. Ma vediamo di cosa tratterebbe: il punto (come conferma il Corriere) è la procedura di vendita a Banco BPM (5%), ad Anima (3%), a Delfin (3,5%) e a Caltagirone (3,5%) del 15% di Monte dei Paschi, detenuto dal MEF fino al 13 novembre 2024. Perché? Facciamo un piccolo passo indietro. Dopo il salvataggio della banca di Siena da parte dello Stato, costato ai contribuenti quasi 7 miliardi, la Commissione Europea – Autorità competente in materia di aiuti di Stato – aveva imposto al Tesoro di ridurre la propria partecipazione in MPS al di sotto del 20%. Dopo aver offerto al Mercato, attraverso due procedure di Accelerate Book Building (ABB), il 25% di MPS nel novembre 2023 e il 12,5% nel marzo 2024, il MEF era sceso al 26,7%. Nel novembre 2024 il MEF aveva annunciato la cessione di un ulteriore 7% di MPS per rispettare le indicazioni dell’Europa e aveva incaricato Banca Akros di gestire il terzo ABB in qualità di Global Coordinator e Bookrunner. (qui il comunicato del MEF) Le prime due procedure di collocamento sul Mercato, tramite ABB, avevano visto la distribuzione del 37,5% di Piazza Salimbeni tra circa un centinaio di investitori istituzionali mentre la procedura conclusasi il 13 novembre 2024, oggetto della protesta di Piazza Gae Aulenti, ha visto spartita tra soli quattro investitori una partecipazione perfino maggiore di quella inizialmente annunciata al Mercato (15% il luogo del 7%). (qui il secondo comunicato) Lo sfogo del numero uno di Unicredit, riportato nei mesi scorsi dal Financial Time, ha acceso un faro sul ruolo giocato dal Gruppo BPM in occasione di quella che alcuni analisti hanno definito un “private placement”: BPM e Anima hanno infatti portato a casa il 53,3% delle partecipazioni che il MEF doveva offrire al Mercato per rispettare le indicazioni della Commissione Europea. La quota residua è stata ripartita al 50% tra la Delfin di Milleri e Caltagirone. Ulteriori dubbi sulla regolarità della procedura di collocamento sul Mercato delle partecipazioni precedentemente detenute dal MEF dipenderebbero dal fatto che BPM e Anima appartengono al medesimo gruppo bancario di cui fa parte il bookrunner Banca Akros. La stessa banca in cui si sarebbe presentata la Guardia di Finanza con un ordine di esibizione nelle scorse settimane. A quanto risulta all’Osservatore, la banca in quel momento avrebbe avuto già il fascicolo pronto per i militari perché la Consob aveva inoltrato all’istituto la stessa richiesta poco prima. Quindi sembra proprio che la Procura della Repubblica voglia fare luce sulla regolarità della procedura che ha portato quattro investitori formalmente indipendenti a formulare similari offerte di acquisto della banca senese. Il tutto mentre il MEF si era impegnato a non vendere per 90 giorni la sua partecipazione residua in MPS, pari all’11,7%, e in pendenza dell’OPA su Anima Holding annunciata il 06 novembre 2024 da Banco BPM. La centralità dell’operazione segnalata dal Orcel rispetto al risiko che sta mettendo in discussione la stabilità del sistema bancario risulterebbe evidente: 12 giorni dopo la vendita del 15% di MPS, Unicredit ha annunciato un’OPS “ostile” nei confronti di Piazza Meda, schierandosi frontalmente contro il Governo e contro Caltagirone che, al 9 dicembre 2024, era salito al 5,3% di Anima in vista dell’adesione all’OPA lanciata da BPM. Nel mese di dicembre il Mercato ha assistito ad un importante e parallelo investimento da parte di Delfin (salita al 9,86%) e di Caltagirone (salito al 9,96%) in MPS che, il 24 gennaio, ha annunciato l’OPS “ostile” nei confronti di Mediobanca. Se l’OPS annunciata da BPER il 6 febbraio nei

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Le voci sull’ago della bilancia nella resa dei conti su Mediobanca

Le voci sull’ago della bilancia nella resa dei conti su Mediobanca. Lunedì è infatti atteso lo showdown all’assemblea dei soci di Mediobanca. Lo schieramento raccolto attorno a Francesco Gaetano Caltagirone e alla Delfin, guidata da Francesco Milleri, con l’ausilio di diversi fondi pensione e casse di previdenza tra cui l’Enpam di Alberto Oliveti e l’Enasarco di Antonino Mei, è accreditato di una percentuale intorno al 40%. Non è detto che tutti votino espressamente contro: taluni potrebbero astenersi per celare ciò che tante voci ripetono nei corridoi, ovvero un concerto sul voto. Il risultato sarebbe il medesimo: è sufficiente che la proposta di OPS su Banca Generali non raggiunga la maggioranza dei voti assembleari per ottenerne la bocciatura. Lo schieramento che si è espresso a favore della proposta è più variegato (o forse solo meno concertato), e comprende quasi tutti i soci del patto di consultazione e la stragrande maggioranza del mercato: fondi di investimento e altri soci finanziari che hanno espresso il pieno appoggio alla proposta del management. Anche questo schieramento è accreditato di una percentuale che potrebbe essere vicina al 40%. L’ago della bilancia potrebbe essere nelle mani di un cavaliere misterioso. Voci insistenti sul mercato sussurrano che Unicredit, sotto la guida di Andrea Orcel, avrebbe raccolto silenziosamente un quantitativo cospicuo di azioni Mediobanca, sino a portarsi vicino alla soglia del 3%, superata la quale dovrebbe informare l’Autorità di vigilanza. Unicredit, si dice, avrebbe prestato le azioni, con diritto di voto, ad intermediari finanziari, e si fanno i nomi di Jefferies e Barclays. Sarà vero? Non è dato saperlo. Certo un’operazione del genere, se fosse confermata, potrebbe destare qualche perplessità: Unicredit ha una rilevante parte in commedia, detenendo una partecipazione significativa anche in Assicurazioni Generali, partecipazione con la quale la seconda banca italiana ha già appoggiato una volta le mire di Caltagirone e Delfin, votando la loro lista di minoranza nella recente assemblea di Generali. Unicredit, forse, vuole accreditarsi con il Governo, sperando in una mano più leggera nell’uso del golden power? Certo è ben noto che ISLA, l’associazione che gestisce e regola i contratti di prestito su titoli, non gradisce che queste operazioni vengano effettuate al solo scopo di incidere sulle maggioranze assembleari. Il contratto di prestito dovrebbe avere una finalità economica indipendente. Come che vada, ne vedremo delle belle

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CMB chiude un 2024 da record: crescita significativa di fatturato e utile netto

Il Gruppo CMB ha recentemente approvato il bilancio relativo all’anno 2024, registrando risultati eccellenti che testimoniano una decisa crescita in termini di fatturato, redditività e solidità finanziaria. L’impresa carpigiana ha raggiunto un giro d’affari di 878 milioni di euro e un utile netto superiore ai 18 milioni, performance significativamente superiori alle aspettative iniziali e ai risultati dell’esercizio precedente. Questi dati riflettono, come ha spiegato il Presidente Carlo Zini, sia una congiuntura favorevole nel settore delle costruzioni, sia una strategia aziendale mirata che ha permesso al Gruppo di concentrarsi su mercati e prodotti ad alta specializzazione. Marcello Modenese, Direttore Risorse Finanziarie e Pianificazione del Gruppo, ha sottolineato come anche la struttura finanziaria dell’azienda abbia raggiunto livelli storici, con una posizione finanziaria netta vicina allo zero, segno di una gestione ottimale dei flussi di cassa che dura da oltre un decennio. A trainare questa crescita sono stati soprattutto i progetti di costruzione, come le tranvie di Bologna e Firenze, il portale CityWave e la Life Tower a Milano per conto di A2A. In fase di completamento risultano altre opere prestigiose, tra cui la ristrutturazione dell’Ex Zecca e Poligrafico dello Stato a Roma, il complesso industriale per STMicroelectronics a Catania e il complesso WaltherPark a Bolzano. Degni di nota anche i cantieri ospedalieri di Odense in Danimarca, Santa Chiara a Cisanello di Pisa e l’I.R.C.C.S. Gaslini di Genova, che rappresentano un elemento di eccellenza nel portfolio di CMB. La strategia commerciale adottata dal Gruppo ha portato a superare gli obiettivi commerciali con acquisizioni di lavori e servizi per circa 904 milioni di euro, portando il portafoglio ordini a un robusto valore di 3,4 miliardi di euro. Particolare attenzione è stata dedicata anche alla crescita occupazionale, con un organico giunto a 649 unità e un investimento in formazione che nel solo 2024 ha raggiunto le 14.000 ore erogate, focalizzate sullo sviluppo delle competenze tecniche e gestionali dei dipendenti. (Negli ultimi anni, il percorso di crescita di CMB è stato accompagnato anche da alcune sfide significative, tra cui procedimenti giudiziari relativi alla sicurezza e questioni legate ad alcuni cantieri. Nonostante ciò, la cooperativa è riuscita a mantenere un percorso di costante rafforzamento e sviluppo.) All’Assemblea dei Soci che ha approvato il bilancio, tenutasi presso la sede centrale di Carpi, erano presenti importanti figure istituzionali, come il sindaco di Bologna Matteo Lepore, il segretario generale Fillea CGIL Antonio Di Franco e il presidente di Legacoop Simone Gamberini.

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Regione Lombardia e i nervi scoperti della politica: tra sanità, crisi idriche e legalità

Regione Lombardia e i nervi scoperti della politica: tra sanità, crisi idriche e legalità. Nella cornice del Consiglio regionale della Lombardia, il question time si è trasformato da semplice momento di confronto istituzionale a radiografia impietosa delle urgenze (e delle tensioni) che attraversano il territorio. Dall’assistenza agli anziani alle infrastrutture sanitarie, dalle crisi idriche alle politiche antimafia, i temi affrontati oggi mettono in luce ciò che funziona, ma soprattutto ciò che ancora manca. A prendersi la scena sono stati soprattutto i nodi sanitari. Il tema dei costi delle rette per i malati di Alzheimer nelle RSA, sollevato da Davide Casati (PD), richiama una questione tanto tecnica quanto drammatica: chi paga quando lo Stato tace? Incertezza giuridica e disparità di trattamento sono ormai croniche, e la risposta del sottosegretario Mauro Piazza – che punta il dito verso Roma – appare come un tentativo di rimbalzo che non tranquillizza né le famiglie né gli operatori. Al contempo, l’ospedale di Gavardo (BS) torna sotto i riflettori, simbolo di una sanità territoriale che fatica a mantenere le promesse. Le assunzioni recenti sono un segnale positivo, ma gli effetti strutturali si vedranno solo tra mesi, se non anni. E mentre si discute di ospedali in crisi, quello di Vimercate resta il monumento al paradosso lombardo: un’ex struttura abbandonata, da anni in attesa di un destino, nel cuore di una delle province più produttive d’Italia. Lisa Noja (Italia Viva) ha riportato l’attenzione su un altro punto dolente: l’accessibilità dei taxi negli aeroporti per le persone con disabilità. Un problema “risolvibile da subito”, ha detto. Ma qui, come altrove, il tempo politico si scontra con l’urgenza civile. Roberta Vallacchi (PD) ha chiesto interventi strutturali per la crisi idrica. La risposta della Regione? Più invasi, più tavoli. Ancora troppo poco, a detta delle associazioni ambientaliste. L’eco delle emergenze climatiche viene ascoltata, ma la reazione continua a essere più amministrativa che trasformativa. Infine, la querelle tra Regione e università sulla funzione assistenziale del personale accademico apre scenari delicati sulla governance della sanità. In gioco non c’è solo una firma, ma il confine tra autonomia universitaria e centralismo regionale. Due gli interventi che chiamano direttamente in causa il senso civico dell’Istituzione. Da un lato, l’annuncio della costituzione di parte civile nel processo antimafia Hydra: gesto simbolico, sì, ma necessario. Dall’altro, il nodo del caporalato agricolo: la Regione si dice vigile, ma le opposizioni chiedono una legge quadro. Tradotto: serve meno difesa d’ufficio e più progettualità concreta. Il question time di oggi racconta di una Regione che, tra mille ambiguità, è costretta a fare i conti con se stessa. L’assenza della Giunta in aula, segnalata dal Presidente Romani e attaccata da Majorino (PD), è forse il simbolo perfetto di questa giornata: la politica che si sottrae mentre il territorio chiede risposte. Nel frattempo, province come Monza e Brianza restano appese ai progetti incompiuti, alle infrastrutture in bilico, e ai silenzi della burocrazia. La speranza? Che i prossimi dossier vengano scritti non solo con le interrogazioni, ma con azioni.

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