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Inaccettabili i rincari di Trenord

Inaccettabili i rincari di Trenord. Mentre in tutta Europa Governi e Regioni cercano di recuperare l’utenza persa durante il Covid (-30%) con tariffe scontate o gratuite (Spagna) Trenord e quindi la Regione Lombardia fanno scattare un aumento inaccettabile dal 1 settembre del 3,82% per i titoli ferroviari e dell’1,91% per quelli integrati (Treno + bus). Dopo un nuovo anno di continui disservizi, soppressioni di treni, carrozze surriscaldate e numerosi ritardi adesso i pendolari lombardi dovranno pure pagare i rincari di un servizio inefficiente. Nonostante i generosi contributi pubblici statali continua la pessima gestione monopolista delle ferrovie lombarde che ha raggiunto il suo culmine con la chiusura di un mese del nodo del Passante di Milano. Non bastasse il 27 settembre prossimo ci sarà l’ennesimo sciopero il decimo nell’ultimo anno per una vertenza locale, il quindicesimo se si contano pure i cinque proclamati dai sindacati autonomi e confederali a livello nazionale per il mancato accordo sui turni di lavoro con le rappresentanze sindacali unitarie di Cgil Cisl Uil e Orsa.  Un nuovo duro colpo alla mobilità sostenibile mentre la crisi energetica ed economica morde sempre più.

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Malpensa: cargo city al posto del terminal 2

Malpensa: cargo city al posto del terminal 2. Il Master Plan 2035 non fa tesoro degli errori fatti da SEA nella programmazione e gestione di Malpensa 2000 da quando l’aeroporto è nato nel 1999. Proporre ora una seconda Cargo city fuori dal sedime aeroportuale danneggerebbe irrimediabilmente la brughiera e la biodiversità del Parco del Ticino. Anche dal punto di vista trasportistico e dei costi d’investimento sarebbe una scelta inspiegabile. La futura domanda di traffico è stata sovrastimata per giustificare l’investimento. Nel 2000 si erano previste un milione di tonnellate merci/anno per il 2007 che chiuse l’anno con 486 mil/tonn, nemmeno la metà rispetto alle aspettative. L’unica seria e sostenibile possibilità per realizzare una seconda Cargo City a Malpensa è quella di costruirla sull’attuale sedime aeroportuale, senza cioè consumare nuovo suolo e invadere l’area del parco del Ticino o le aree verdi circostanti. Si tratterebbe di abbattere l’attuale Terminal 2 adibito ai soli passeggeri, che è obsoleto e non più funzionale, e attualmente è in uso solo per il servizio passeggeri delle compagnie low cost e che la Sea vorrebbe tenere chiuso fino al 2026. Per continuare a utilizzarlo sarebbe necessario un profondo restyiling e un ammodernamento delle reti elettrica e del riscaldamento per renderlo efficiente sotto il profilo energetico e metterlo a norma. Il T2 è chiuso da due anni per Covid e attualmente la Sea non lo vuole riaprire a causa dei suoi alti costi di gestione e perché le capacità dei tre satelliti del T1 bastano per soddisfare l’attuale domanda di traffico ancora debole a causa della guerra scoppiata in Ucraina. In caso di trasformazione del T2 in scalo cargo, i passeggeri verrebbero finalmente inglobati nel T1, il che costituirebbe una razionalizzazione delle operazioni aeroportuali con un forte risparmio dei costi di gestione e un aumento della produttività. Il T1 può ospitare 44 milioni di passeggeri/anno, mentre nel 2019 ne sono transitati solo 19,6 milioni, a cui si aggiungono i 6,1 milioni del T2 per un totale di 24,7 milioni. Lo scalo di Brescia (Montichiari) ha riconvertito il proprio scalo da passeggeri a merci, trasformando il terminal in un magazzino. Orio al Serio ha anch’esso deciso di ampliare l’area Cargo. Servirebbe quindi una programmazione regionale per mettere ordine allo sviluppo del settore. Trasformare in scalo cargo il T2 di Malpensa ottimizzerebbe l’uso dell’area, peraltro posta in un sito ottimo per i movimenti a terra degli aerei e per l’accesso alle piste. E renderebbe inutile il progettato collegamento ferroviario MalpensaT2-Gallarate: a Gallarate servirebbe il quadruplicamento della linea per Milano oggi satura, non una costosissima infrastruttura che distruggerebbe altri ettari di brughiera. Non solo nonostante i 240 treni giornalieri che collegano Milano e Malpensa la quota di trasporto modale in treno è inferiore al 13% mentre nei maggiori scali europei raggiuge anche il 40%.

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Sardegna, Onlit: basta con la continuità territoriale

Sardegna, Onlit: basta con la continuità territoriale. Con la transizione Alitalia-Ita (il cui esito sarà tutto da vedere) stanno venendo al pettine tutti i nodi che riguardano il trasporto aereo nel nostro Paese. Compreso quello della continuità territoriale sarda, come dimostra l’ennesima impasse per l’individuazione della compagnia aerea a cui erogare i contributi pubblici per la gestione dei collegamenti con il continente. L’attuale modello è da rivedere perché produce più costi che benefici. L’unica continuità che ha assicurato è quella dei ricchi introiti garantiti all’ex compagnia di bandiera grazie ai sussidi pubblici. Il rinnovo della convenzione con la regione Sardegna per i voli a tariffa agevolata per i residenti nell’isola è una buona occasione per sostituire i finanziamenti per la continuità territoriale aerea (ovvero per i collegamenti tra Cagliari e Milano e Cagliari e Roma) con un altro meccanismo di tutela dei sardi. La continuità territoriale è nata quando c’erano solo due compagnie che operavano in regime esclusivo da aeroporti separati: Alitalia da Alghero e Cagliari, e Meridiana da Olbia. Oggi invece Easy Jet, Vueling, Ryanair, Volotea, Fly Wey e altre compagnie sono in grado di rispondere al mercato dei trasporti in regime di libera concorrenza. Con la liberalizzazione dei cieli europei, infatti, la continuità territoriale e i sussidi pubblici sono diventati più costosi degli sconti tariffari che si praticano grazie ai sussidi, e che finiscono col pesare inutilmente sui contribuenti. Le regioni ultraperiferiche dell’Unione europea e i territori d’oltremare degli Stati membri possono beneficiare di disposizioni sulla continuità territoriale solo per garantire i servizi di trasporto agli abitanti in regioni veramente disagiate, o per rafforzare la coesione tra le diverse aree di uno stesso Stato, superando svantaggi connessi alla loro lontananza, irraggiungibilità o di difficile accesso.  In Portogallo, la regola è che i passeggeri residenti nelle isole e nelle ex colonie vengono rimborsati (fino a 190 euro), senza passare per le compagnie. È quindi giunta l’ora di abolire questa normativa protezionista e superata anche socialmente. La caratteristica fondamentale della continuità territoriale, infatti, e la sua base normativa di servizio pubblico, non esistono più: quindi non sussiste più il bisogno di derogare dai principi della concorrenza.

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Agenzia della mobilità di Milano, Ballotta (Onlit): tagli alle linee autobus al posto delle gare

Agenzia della mobilità di Milano, Ballotta (Onlit): tagli alle linee autobus al posto delle gare. Sorprende che l’Agenzia della Mobilità di Milano e città metropolitana, Monza, Lodi e Pavia e le rispettive province (il cui maggior azionista è il Comune di Milano), abbia annunciato tagli ai trasporti locali per due milioni di euro, che significano il venir meno di 400 mila km all’anno di servizio, a danno degli utenti. I collegamenti individuati per i tagli sono le tratte Milano-Lodi e Milano Cadorna-Legnano (area nord-ovest). L’Agenzia è nata nel 2016 con tre obbiettivi: il nuovo piano dei servizi, la riforma tariffaria (entrambi fatti nella precedente gestione) e soprattutto – finalmente – le nuove gare per l’affidamento dei servizi, i cui contratti sono scaduti da anni o addirittura non sono mai stati messi a gara (a Lodi, ma anche a Milano dove il contratto affidato direttamente ad ATM è scaduto nel 2017). Quest’ultimo obbiettivo non solo non è stato raggiunto, ma nemmeno avviato. Peccato (e un danno all’interesse pubblico) perché solo le gare avrebbero garantito la salvaguardia e il miglioramento del servizio. Il comune di Milano ha ceduto alle pressioni del monopolista ATM. Peccato, perché un trasporto pubblico ben gestito ha cambiato faccia nelle aree metropolitane europee ed è diventato il primo mezzo di trasporto per cittadini e pendolari avviando così la transizione ecologica. Milano gestisce i trasporti ancora in una logica municipale. E ancora peccato, perché si tutelano le rendite di posizione di aziende pubbliche (ATM) e private (Autoguidovie, Arriva) senza attenzione per le esigenze dei cittadini, delle casse pubbliche e dell’ambiente.

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Trenord, Onlit(Ballotta): il nuovo contratto di servizio parte malissimo

Trenord, Onlit(Ballotta): il nuovo contratto di servizio parte malissimo. Parte con un triplo passo falso il rinnovo decennale (2022-2031) del contratto di servizio tra Trenord e la regione Lombardia. Il primo è il nuovo sistema di indennizzo per i pendolari in caso di disagi: se in un mese il 10 per cento o più dei treni di una linea supera i 15 minuti di ritardo o viene cancellato, i viaggiatori possono chiedere a Trenord il rimborso del 10 per cento dell’abbonamento. L’indennizzo va richiesto con un rapido iter ed è convertibile in vouchcer o in contanti. Sembra essere una buona notizia, ma è solo un modo di mantenere l’andazzo di sempre: anziché prevedere un decennio finalmente nuovo nel quale vincolarsi a mantenere gli orari previsti senza ritardi ed evitando soppressioni, Trenord mette le mani avanti con un nuovo e aggiornato bonus. Segno che la ristrutturazione organizzativa tanto invocata dai pendolari è ancora lontanissima, e l’azienda corre ai ripari per tenere calme le acque ancora prima di rinnovare il contratto di servizio. Su indicazione dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art), nel contratto tra Regione e Trenord saranno inseriti “gli indicatori da monitorare per un processo di miglioramento progressivo, definito in un piano di raggiungimento degli obiettivi”. Art ha individuato 26 indicatori di efficienza operativa, efficienza riguardo a costi e ricavi, produttività ed efficacia: quelli di riferimento saranno comunicati a Regione Lombardia, la quale fisserà l’importo delle penalità da comminare a Trenord. Ed ecco il secondo passo falso: le penalità non sono un meccanismo che incentiva l’efficienza, come si intende far apparire, ma una partita di giro delle risorse pubbliche, poiché la regione Lombardia è al tempo stesso compratrice dei (pessimi) servizi (sborsando mezzo miliardo di euro l’anno) e azionista di Trenord. In contrasto con le linee programmatiche del governo Draghi, che aveva annunciato più concorrenza nei trasporti locali su ferro e su gomma, arriva puntuale – al contrario dei convogli di Trenord – il terzo passo falso: Trenord si vedrebbe infatti riaffidata la gestione dei servizi ancora una volta senza gara: un modo per condannare a nuovi e duraturi disagi i pendolari lombardi.

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Pedemontana, Ballotta (Onlit): 25mila espropri illegittimi

Pedemontana, Ballotta (Onlit): 25mila espropri illegittimi. Dal  2009 quando il Cipe approvò il progetto definitivo dell’autostrada Pedemontana Lombarda 35 mila lombardi proprietari di terreni, case e fabbriche vennero avvisati che le loro proprietà sarebbero state espropriate per lasciare spazio alla costruzione dell’autostrada  che dovrebbe tagliare in due  la Brianza per 67 km.. Da allora solo il 30% della strada  è stato realizzato e   25 mila proprietari da oltre 12 anni sono ostaggi di Pedemontana, prigionieri in casa loro senza poterla vendere o ristrutturare senza avere disponibili le loro proprietà. Secondo le norme si potrebbe tenere sotto esproprio una proprietà per massimo sette anni. Due anni fa sono stati allungati i tempi  fino allo scorso gennaio. Con un blitz illegittimo favorito da una azione pilatesca del MIT, il Cal (Concessioni autostradali Lombarde), parente stretto di Aria spa,  ha di nuovo prorogato l’esproprio fino al   2023. Una vera e propria violazione delle prerogative dei cittadini che non ha precedenti nella storia del diritto in Italia.Una situazione insopportabile che può sfociare in ricorsi amministrativi per riaffermare il diritto e la  proprietà privata. Certo la storia di Pedemontana non si può definire una di finanza di progetto, seppure sia cominciata con queste intenzioni e regole. Regole che parlavano chiaro: 4 miliardi di costi: il 33% (1,2 miliardi) a carico dello  lo Stato ma il resto doveva essere finanziato in parte dal concessionario (allora 500 mln) e il resto  dal mercato. I lavori sono partiti con i soldi pubblici, saliti dal 33% all’80% ma senza quelli privati, se si esclude un prestito “ponte” da 200 milioni concesso dalle banche socie a tassi esorbitanti (oltre il 7%) che saranno pagati da pantalone.

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