inchiesta

Via Lamarmora: altro cantiere, altra indagine

Un altro progetto immobiliare è finito sotto la lente d’ingrandimento della Procura di Milano. Si tratta della costruzione di un edificio in via Lamarmora, che sorgerà al posto  di tre palazzine storiche in stile eclettico-liberty realizzate nel 1909 di cui è in corso la demolizione. Sembra che ad attirare l’attenzione dei magistrati sia stato un articolo pubblicato da Urbanfile in cui erano espresse delle perplessità per l’operazione in corso, poi parzialmente ripreso da La Stampa che per prima ha segnalato il caso. Il pool di PM che si sta occupando delle indagini diretti dalla procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano, è lo stesso che sta seguendo tutte le altre dello stesso filone riguardante l’urbanistica del Comune di Milano e ha per ora aperto un fascicolo modello 45 senza indagati né ipotesi di reato che consente loro di approfondire il caso. Il sospetto è che anche in questo caso il Comune abbia  dato il via al progetto senza approvare un piano attuativo in grado di prevedere i servizi necessari per i nuovi residenti, come stabilito dalla legge. Compito degli investigatori della procura anche stabilire se tutti i vincoli paesaggistici previsti per il centro siano stati rispettati oltre alle norme che regolano la demolizione di palazzi con un grande valore storico. Secondo quando riferito da Urbanfile, un primo progetto del 2015, che prevedeva di mantenere intatta soltanto una facciata vincolata, per poi ricostruire appartamenti in affitto e in vendita a prezzi accessibili, oltre a un’area espositiva destinata a ospitare circa 50 opere della collezione Gastaldi-Rotelli, era stato respinto dalla Commissione Paesaggistica, che ha poi aveva approva la successiva revisione nel marzo del 2023. Questa inchiesta si va ad aggiungere a quelle già aperte per il palazzo di Piazza Aspromonte, la torre di via Stresa i grattacieli di Crescenzago e la palazzina liberty abbattuta in via Crema. Un totale di cinque indagini in corso, ancora lontano dalle 150 temute dal Sindaco Sala, ma il numero è in lenta e costante salita, chissà di quanto crescerà ancora?

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Riparte inchiesta su caso Trivulzio

Ripartono le indagini sulle morti degli anziani al Pio Albergo Trivulzio di Milano nella prima ondata Covid del 2020, dopo che nei giorni scorsi il gip Alessandra Cecchelli non ha accolto la richiesta di archiviazione per il dg Giuseppe Calicchio e per la stessa struttura. E ha disposto nuovi accertamenti che dovranno portare ad una perizia nel contradditorio tra le parti. Nei prossimi giorni, infatti, saranno ascoltati i parenti di alcuni deceduti (circa 400 tra gennaio e aprile di due anni fa). “E’ già arrivata a quei parenti che avevano presentato denuncia – ha comunicato l’associazione Felicita, che rappresenta i familiari e si era opposta all’archiviazione – la convocazione per le prossime settimane da parte della Guardia di Finanza. A distanza di due anni – aggiunge l’associazione – le loro voci potranno finalmente essere ascoltate in relazione ai fatti di cui sono stati testimoni diretti o indiretti”. La riapertura dell’inchiesta, spiega Felicita, è “un importante passo avanti sulla strada verso l’accertamento dei gravi fatti occorsi al Pio Albergo Trivulzio, in vista di un processo che individui le responsabilità penali e civili a carico dei dirigenti della struttura”. Il giudice nel disporre nuove indagini ha indicato ai pm di effettuare due passaggi prima della perizia. Devono sentire i “familiari dei soggetti deceduti” per verificare il ricovero al Pat di persone dimesse con diagnosi di polmonite da altre strutture, la “eventuale compresenza, nella medesima stanza, di soggetti sani” e persone con “sintomatologia sospetta”, le “attività di trasferimento di pazienti tra reparti”, la “commistione del personale”. E acquisire “ulteriore documentazione informativa dal Pat”. Poi, la perizia per superare “i limiti” della consulenza già effettuata dai pm. ANSA

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Il GIP non archivia l’inchiesta sul Pio Albergo Trivulzio

l gip di Milano Alessandra Cecchelli non ha accolto la richiesta di archiviazione dell’inchiesta sugli anziani morti al Pio Albergo Trivulzio, storica ‘baggina’, nella prima ondata Covid del 2020, e ha disposto una perizia nel contradditorio tra le parti. I pm avevano chiesto l’archiviazione del dg Giuseppe Calicchio, indagato per omicidio e epidemia colposi e violazione delle regole sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, e della struttura. Si era opposta l’associazione Felicita che rappresenta i familiari degli anziani, coi legali Luigi Santangelo e Luca Santa Maria. Cita anche la “raccomandazione” da parte del Dg Giuseppe Calicchio di “far rimuovere dal Pio Albergo Trivulzio”, a fine marzo 2020, un “cartello” sulla “corretta gestione dell’emergenza Covid”, il gip Alessandra Cecchelli che, rigettando la richiesta di archiviare il caso delle circa 400 morti di anziani, parla di “omissioni” e “colpose negligenze” della dirigenza sanitaria. Omissioni che negli atti dell’indagine, tra cui testimonianze, acquisizioni di documenti e chat, si rivelano “in tutta la loro gravità anche nel periodo successivo quando ormai erano noti gli effetti pandemici”. Tra l’altro, il giudice nel disporre nuove indagini, anche per “individuare tutti i soggetti coinvolti”, indica ai pm di effettuare altri due passaggi prima della nuova perizia. Dovranno essere sentiti ancora i “familiari dei soggetti deceduti” per verificare il ricovero al Pat di persone dimesse con diagnosi di polmonite da altre strutture, la “eventuale compresenza, nella medesima stanza, di soggetti sani” e persone con “sintomatologia sospetta”, le “attività di trasferimento di pazienti tra reparti”, la “commistione del personale”. E gli inquirenti dovranno anche “acquisire in tal senso ulteriore documentazione informativa dal Pat”. Poi, la perizia dovrà superare “i limiti” della consulenza affidata dai pm ad esperti, i quali, come scrive il gip, hanno lamentato anche di aver avuto poco tempo a disposizione. Per il gip, comunque, gli stessi consulenti avevano evidenziato dei “fatti” accaduti, elencati ad uno ad uno nel provvedimento, mentre i pm hanno parlato solo di “suggestive circostanze”.

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PM: archiviare inchiesta sul Pio Albergo Trivulzio

La Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta con al centro gli anziani morti al Pio Albergo Trivulzio, storica ‘baggina’ milanese, nella prima ondata del Covid dei primi mesi del 2020. “La decisione della Procura di Milano – spiega Alessandro Azzoni, presidente dell’Associazione Felicita che riunisce i parenti – ci trova totalmente amareggiati ma non sorpresi”. La domanda “di verità e giustizia”, secondo l’associazione, è stata “elusa dalla procura (e non solo)”. La Procura milanese, a quanto si è saputo, ha chiesto l’archiviazione anche per tutti gli altri procedimenti simili relativi a morti nelle Rsa milanesi. La Procura milanese ha chiesto all’ufficio gip di archiviare l’inchiesta in cui risulta indagato, per omicidio colposo, epidemia colposa e violazione delle regole sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, l’ex dg Giuseppe Calicchio, oltre alla stessa struttura sulla base della legge sulla responsabilità amministrativa. Non è stata “acquisita alcuna evidenza di condotte colpose o comunque irregolari, causalmente rilevanti nei singoli decessi, in ordine all’assistenza prestata”. Lo scrivono i pm milanesi nella richiesta di archiviazione per il caso del Pio Albergo Trivulzio. Anzi, si legge ancora, “con riguardo ai singoli casi, neppure sono state accertate evidenze di carenze specifiche, diverse dalle criticità generali” riguardo le “misure protettive o di contenimento” del Covid “che possono con verosimiglianza avere inciso sul contagio”. Manca in sostanza, secondo i pm, la prova del “nesso causale” tra morti e condotte nella rsa. “Sin da subito, con fiducia – ha spiegato Azzoni – l’associazione Felicita per i diritti nelle RSA, già Comitato Giustizia e Verità per le vittime del Trivulzio, quale parte diligente e attiva si è messa a disposizione degli inquirenti, raccogliendo le testimonianze di numerosi familiari dei degenti della struttura e degli operatori sanitari”. Intanto, nel corso di questi 18 mesi di indagini, “che hanno visto il lungo e impegnativo lavoro degli inquirenti, della Guardia di Finanza e dei periti, ma non hanno mai dato spazio all’ascolto di nessuno dei 150 firmatari dell’esposto collettivo presentato dall’Associazione Felicita – ha aggiunto – Abbiamo assistito alla diffusa rimozione della tragedia nell’intento di cancellare il conflitto tra gli interessi dei cittadini direttamente colpiti e i diversi interessi delle parti economiche, politiche e istituzionali a vario titolo coinvolte nella catena di responsabilità, e per questo convergenti nell’ignorare la verità attraverso una comune narrazione auto-assolutoria”. “Una narrazione – si legge ancora in un nota – volta a giustificare e a rendere accettabile un’immunità giudiziaria generale (tutti colpevoli, nessun colpevole) e a sottrarre al diritto penale il giudizio sui fatti in nome del carattere straordinario, incontrollabile e imprevedibile del fenomeno pandemico. Il diritto alla particolare protezione degli anziani in quanto popolazione fragile, garantito dalla Costituzione, comporta l’obbligo/dovere del sistema sanitario e assistenziale ad approntare strumenti adeguati alla complessità del compito”. Nell’attesa di leggere gli atti depositati dalla Procura, Alessandro Azzoni, “presidente di Felicita, in settimana terrà una conferenza stampa per esprimere un giudizio più compiuto sull’archiviazione e comunicare tutte le azioni che l’associazione intende mettere in campo”.

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Inchiesta rider: Glovo ricorre

Glovo, una delle piattaforme di delivery finita al centro, assieme ad altri colossi del settore, di un’indagine della Procura di Milano sulle condizioni di lavoro e sicurezza dei rider, “ha presentato ricorso gerarchico alla Direzione dell’ITL (Ispettorato del Lavoro) di Milano in merito ai verbali consegnati lo scorso 23 febbraio”, contestando “la riqualificazione dei rapporti di lavoro” con i fattorini e “ritenendo di aver ottemperato agli obblighi previsti per i lavoratori autonomi secondo la normativa vigente e applicabile nel periodo di riferimento delle indagini”, ossia tra marzo 2016 e ottobre 2020. Lo annuncia in una nota la stessa società, “piattaforma spagnola presente in Italia con oltre 120 dipendenti, 10.000 rider attivi e oltre 15.000 esercizi commerciali partner”. Il ricorso, viene chiarito, “parte dal presupposto che la riqualificazione dei rider come lavoratori cosiddetti etero-organizzati non può essere presa in considerazione. Non sono dunque state adeguatamente considerate le caratteristiche del modello di business di Glovo e il rapporto instaurato tra l’azienda e i corrieri”. I corrieri di Glovo, spiega la nota, “hanno infatti la libertà di accettare o meno una proposta di consegna, la possibilità di scegliere in totale autonomia gli orari di collaborazione in base alle proprie esigenze e le loro prestazioni non presentano elementi di continuità, esclusività e regolarità”. I rilievi sollevati sui “processi interni difficilmente possono essere ascrivibili, così come sottolineato nei verbali dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, all’articolo 2 del D.Lgs. n.81/2015 (il cosiddetto “Jobs Act”), che applica la disciplina del lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative ed etero-organizzate, anche mediante piattaforme digitali”. ANSA

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Inchiesta della Procura sulle mascherine U-Mask

La Procura di Milano ha disposto il sequestro in dieci farmacie milanesi e nella sede della società di 15 mascherine U-Mask complete di filtro e di 5 filtri per effettuare le analisi sulla loro effettiva capacità di filtraggio e se conforme a quanto dichiarato dall’azienda. L’inchiesta coordinata dai procuratori aggiunti Tiziana Siciliano ed Eugenio Fusco è stata affidata alla Polizia locale e alla polizia giudiziaria del dipartimento Salute, Ambiente e Lavoro. Nell’indagine, nata da un esposto di una ditta concorrente, è indagata per frode nell’esercizio del commercio l’amministratrice della filiale italiana della società. L’indagine è stata aperta in seguito alla denuncia di una società concorrente con allegati gli esiti di analisi di laboratorio secondo i quali la capacità di filtraggio della mascherina biotech con il filtro che dura 150-200 ore sarebbe del 70-80% a fronte del 98-99% dichiarato ufficialmente. L’amministratrice della filiale italiana della società londinese è indagata come atto dovuto. La procura ora ha affidato a un consulente l’incarico di analizzare le mascherine sequestrate per stabilire l’effettiva percentuale di filtraggio. Il reato contestato è il 515 del codice penale in quanto l’ipotesi su cui sono in corso verifiche è che il prodotto abbia caratteristiche non conformi a quanto dichiarato. “Il prodotto U-Mask rispetta pienamente le norme e le leggi in materia. Tutta la documentazione tecnica relativa ai nostri dispositivi è stata a suo tempo inviata, come prescritto dalla legge, alle Autorità competenti, ossia il Ministero della Salute, che preso atto della correttezza della documentazione allegata e delle prove tecniche effettuate, ne ha disposto l’approvazione e la registrazione come dispositivi medici di classe uno”, si legge in una nota dell’azienda. ANSA

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