mario delpini

L’arcivescovo Delpini a Cornaredo per incontrare lo sport

L’arcivescovo Delpini a Cornaredo per incontrare lo sport. Lunedì 17 ottobre, alle ore 20.45, al Centro Sportivo “Sandro Pertini” di Cornaredo (MI), l’Arcivescovo di Milano incontrerà il mondo dello sport. Durante l’evento, promosso dalla Fondazione Oratori Milanesi (FOM) e dal Servizio per l’oratorio e lo sport della Diocesi di Milano, mons. Mario Delpini, come da tradizione, consegnerà alle ragazze e ai ragazzi che praticano attività sportiva una lettera che quest’anno ha come tema l’eccellenza. «Gli atleti di ogni sport e di ogni età cercano l’eccellenza come un risultato dell’impegno profuso per dare il meglio di sé. (…) La sfida è quindi quella di vincere la mediocrità, quell’assestarsi nella pigrizia, quel deprimersi nella rassegnazione. La vocazione all’eccellenza per i cristiani si accompagna alla persuasione che la vita sia vocazione e che la santità sia la terra promessa verso la quale vale la pena di mettersi in cammino»: così mons. Delpini scrive in un passaggio della lettera che verrà consegnata ai presenti nella serata di lunedì, aggiungendo: «Ci affascina l’idea che la città prenda il volto di un villaggio olimpico: abitato da persone così diverse eppure così apprezzabili, perché si distinguono per l’eccellenza con cui contribuiscono alla bellezza del convivere». Il tema dell’eccellenza è legato a “Orasport on fire tour”, il progetto educativo triennale della FOM che coinvolge oratori, società sportive e scuole di ispirazione cristiana in un percorso verso le Olimpiadi invernali di Milano Cortina 2026, mirando alla crescita integrale della persona fondata sui principi della Carta olimpica. Nei prossimi due anni l’iniziativa punterà su altri due valori fondamentali dello spirito olimpico: la solidarietà e il rispetto. Per l’occasione, lunedì si accenderà per la prima volta la speciale fiaccola di “Orasport on fire tour” che sarà affidata ai rappresentanti della Pastorale giovanile del decanato di Rho: sarà questa, infatti, la prima tappa di un itinerario che toccherà tutto il territorio diocesano attraverso le sette zone pastorali e i 63 decanati in cui è divisa la Diocesi ambrosiana. In ognuna di queste zone saranno contestualmente attivate esperienze formative e sportive coinvolgendo ragazze e ragazzi anche con il contributo di campioni dello sport olimpico e paraolimpico invitati a testimoniare le loro esperienze con video e incontri in presenza. A Cornaredo, interverranno a raccontare come la voglia di dare il meglio di sé abbia animato la loro attività alcuni atleti professionisti: Simone Barlaam, nuotatore con un palmares ricco di medaglie, tra cui un oro alle Paralimpiadi di Tokyo 2020,  Riccardo Cardani, atleta paralimpico di snowboard che si sta preparando per i Giochi del 2026, Paolo Porro, giovane pallavolista della Powervolley Milano con già alcune presenze nella nazionale maggiore, e un calciatore della prima squadra del Monza. Per i ragazzi presenti alla manifestazione saranno organizzati momenti di gioco, animazione e confronto con i campioni dello sport. Oltre a mons. Delpini per la Diocesi interverranno mons. Mario Antonelli, Vicario episcopale per l’educazione e la celebrazione della fede, e don Stefano Guidi, responsabile del Servizio per l’oratorio e lo sport e direttore della FOM. Per altre informazioni su “Orasport on fire tour” clicca qui.

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Il ruggito di Delpini contro l’insulto di Papa Francesco

Il ruggito di Delpini contro l’insulto di Papa Francesco. Perché il vescovo di Milano nei giorni scorsi si è fatto sentire. Ci è andato giù duro, secco e ficcante come un vero milanese. Dritto al punto: perché il Papa ha nominato cardinale il vescovo di Como e non quello di Milano? Questa è la domanda. Perché Francesco sarà pure un sovrano assoluto e un gesuita, ma quando devia così dal percorso dovrebbe avere la cortesia di fornire qualche spiegazione. Milano non ha mai accolto male un Papa ed è vero che avrà la sua tradizione ambrosiana, ma non per questo deve subire gli schiaffi di Roma. Anzi. Semmai andrebbe valorizzata. Sta di fatto che Delpini gli ha ricordato alla milanese che “il Papa tifa River, una squadra che non ha mai vinto niente”. Un modo semiserio per ricordargli che il vescovo di Milano non è l’ultimo dei campesinos, ma una figura che andrebbe rispettata. Che non si tratta solo di uno dei tanti “bauscia” troppo indaffarati (cit.), ma di un rappresentante di primo piano della Chiesa. Sicuramente più del vescovo di posti ricordati solo come luoghi da cui le Lucie se ne vanno. Ma Il ruggito di Delpini contro l’insulto di Papa Francesco probabilmente non avrà altre eco, sarà perdonato per essere dimenticato. Come da tradizione cattolica. Per la città però è uno schiaffo pesante. Che si sia cattolici o meno. Perché è il segno di una mancanza di rilevanza del capoluogo lombardo come non se ne vedevano da generazioni. Un tema su cui riflettere.

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Milano e l’importanza dei suoi vescovi

Milano e l’importanza dei suoi vescovi. Perché di questi tempi l’importanza dei vescovi milanesi sembra scomparsa nelle nebbie del tempo. Eppure senza di loro Milano non avrebbe la stessa identità. Domani si celebra un momento per ricordare Carlo Maria Martini, un nome che è riecheggiato per decenni nelle basiliche e cattedrali milanesi. E che a suo modo ha lasciato un segno importante, magari non tanto quanto quello di Ambrogio, nome che è diventato un tutt’uno con il significato di milanesità. Il grande vescovo del passato remoto ha lasciato un’orma così profonda che il termine ambrosiano è diventato sinonimo di milanese. A lui si devono molte particolarità della “cultura milanese”, ci si perdonino le virgolette ma non aderiamo al concetto che tutto è cultura. Le stesse festività meneghine sono diverse dal resto d’Italia perché chi guida una città nel corpo e nello spirito può permettersi di plasmarne le abitudini, i costumi, insomma la vita stessa. Il vescovo milanese dai tempi di Ambrogio è diventato un formatore di comunità unendo le capacità e i possedimenti ecclesiastici a una visione. Così è nato e prosperato lo spirito meneghino che per naturale conseguenza di un lavoro ben fatto ha avuto tra i suoi principi un distacco in ogni aspetto della vita: anche la religione esiste ed è importante, ma è tutt’altro che un freno alla vita civile come a Roma dove oggettivamente sta avendo più la funzione di parassita che di enzima. I vescovi milanesi invece hanno saputo farsi enzima, creando una città che pur essendo piccolissima (è una frazione delle metropoli a cui la si compara di solito) è diventata un’eccellenza riconosciuta in tutto il mondo. Ecco perché è importante e giusto celebrare Milano e l’importanza dei suoi vescovi.

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L’omelia di Pasqua di Delpini: Discepoli sbagliati, continuo ad amarvi!

L’omelia di Pasqua di Delpini: Discepoli sbagliati, continuo ad amarvi!   Non pensavamo di essere così sbagliati. Forse gli altri, ma non io! La reazione di Pietro è quella del presuntuoso che si immagina migliore degli altri. È la presunzione di chi si ostina a contare sulle proprie forze, a ritenere efficaci le sue intenzioni e realizzabili i suoi propositi, senza immaginare la prova che l’aspetta e senza aver coscienza della sua fragilità. Pietro è sbagliato: è presuntuoso. Non sarà indotto a rinnegare la sua relazione con Gesù da qualche tremenda tortura, ma dalle insinuazioni di gente che chiacchiera intorno a un fuoco. Basta così poco per far crollare l’immagine che Pietro si è costruita. Siamo sbagliati se siamo presuntuosi, convinti di essere nel giusto, cultori di una immagine edificante e inconsistente. Suscettibili di fronte alle critiche, troppo severi nei confronti degli altri, troppo inclini ad argomentare per giustificare comportamenti contraddittori. Pietro ha buone ragioni per essere deluso di se stesso. Gli rimane solo un pianto amaro? Ci sediamo spesso anche noi in compagnia della gente delle chiacchiere, mentre nel palazzo si umilia il Signore, si svolge il processo farsa, si decide l’ingiusta morte del giusto. Anche a noi è capitato, o sta capitando o capiterà di rinnegare la nostra relazione con Gesù. La presunzione è sconfitta da una paura minima, dal timore di risultare antipatici, di essere coinvolti nell’impopolarità di Gesù, d’essere riconosciuti come “uno di loro”, cioè gente di Chiesa, di questa Chiesa. Forse abbiamo buone ragioni per essere delusi di noi stessi. Ci rimane solo un pianto amaro? Non contare su di me! La reazione di Giona alla missione che Dio gli affida è quella dello scettico. È convinto che Ninive sia una città perduta e che la missione profetica nella città sia una ingenuità. È convinto che la minaccia della distruzione sia un messaggio improbabile e un argomento inconsistente per convincere un popolo numeroso a conversione. È convinto che non valga la pena di obbedire al Signore che chiama, piuttosto morire in mare che servire il Signore. Giona è sbagliato. Il suo scetticismo è infondato. Neppure l’evidenza dei fatti lo guarisce e lo recupera alla gioia, alla partecipazione ai sentimenti di misericordia di Dio. Gli rimane solo il risentimento? Siamo anche noi sulla barca in viaggio per Tarsis, a cercare un rifugio lontano dalla sollecitudine di Dio per la salvezza degli uomini. Siamo sbagliati perché siamo scettici. Giudichiamo le intenzioni di Dio e la sua misericordia meno credibili delle nostre esperienze. Le esperienze ci hanno indotto a non aver stima della gente, a ritenere irrimediabili le situazioni, a ritenere impraticabile ogni missione di evangelizzazione. Siamo scettici. Ci rimane solo il risentimento? La comunità è un disastro! La comunità che si raduna per la cena del Signore a Corinto è una contraddizione. L’aria che tira è la delusione. L’entusiasmo è diventato una confusione, la libertà è diventata capriccio, le differenze sono diventate divisioni. L’aria che tira è sbagliata, perché domina la delusione. Pensavano di essere un esempio, invece non sono migliori degli altri, addirittura sono uno scandalo per quelli di fuori. La comunità è un disastro. Rimane solo il rimprovero dell’apostolo? Abitiamo un po’ tutti nella comunità di Corinto. Abbiamo tutti molte critiche verso la nostra comunità. Il malcontento, il malumore si ritrovano spesso come il clima dominante delle nostre comunità. Abbiamo tutti da dire di tutti: dei preti, dei presenti, degli assenti, della pratica della carità, del modo di celebrare, di cantare, di leggere. Una specie di indiscutibile delusione copre tutto di un grigiore scoraggiante. La comunità è un disastro. Siamo delusi. Ci rimane solo il rimprovero? Non pensavamo di essere così sbagliati, presuntuosi, scettici, comunità scoraggianti. Ci rimangono solo le lacrime, il risentimento, la delusione? Rimane l’alleanza nel sangue di Gesù. Quello che rimane è piuttosto l’alleanza, l’alleanza nuova, l’alleanza eterna. Lo scandalo che sconcerta tutti i discepoli è la decisione irrevocabile, amorevole, ostinata di Gesù di fare alleanza con questi discepoli sbagliati, con questi profeti ribelli, con queste comunità disastrate a prezzo del suo sangue. Gesù constata che le sue parole non hanno ancora convinto e convertito i discepoli alla via che Dio ha scelto per salvare il mondo; Gesù constata che i segni compiuti non hanno ancora attratto le folle a riconoscere il regno promesso presente in mezzo al suo popolo; Gesù constata che le discussioni con i rappresentanti del potere e della religione non hanno ancora aperto una via nuova desiderabile per esercitare il potere e praticare il culto gradito a Dio. Ma invece di abbandonare la missione, Gesù celebra la alleanza nel suo sangue. Dichiara che non abbandonerà mai nessuno, che accetta il tradimento, la fuga, l’ottusa incomprensione e stringe alleanza con questa gente sbagliata. Ancora, ancora, sempre! Ecco dunque quello che ci rimane: l’eucaristia. Ci rimane, ogni giorno, ogni domenica, sempre l’eucaristia, il pane da condividere, il sangue versato per fare di noi il popolo dell’alleanza, per celebrare la morte del Signore finché egli venga. Continuiamo a celebrare l’eucaristia, sbagliati come siamo, perché ci trasformi, ci conformi a Gesù e noi, così sbagliati come siamo possiamo, per grazia, diventare memoria di lui.

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