san gerardo

Morde i poliziotti inveendo contro la dittatura sanitaria

Morde i poliziotti inveendo contro la dittatura sanitaria. Nella giornata di lunedì, 8 maggio, verso le ore 13.30 giungeva presso la Sala Operativa della Questura di Monza, una chiamata da parte di personale medico dell’Ospedale San Gerardo di Monza che richiedeva l’intervento degli agenti della Polizia di Stato al Reparto prelievi della struttura sanitaria. Sul posto veniva inviata una pattuglia dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico – Squadra Volante ed allertato il locale posto di polizia presso l’ospedale, con gli agenti che prendevano contatti con alcuni medici i quali segnalavano come una donna 66enne che aveva accompagnato un uomo di 81 anni ad effettuare un prelievo ematico, si rifiutava di indossare la mascherina di protezione, disposizione prevista dalla normativa vigente. La donna, milanese d’origine e residente a Monza, all’invito dei medici di indossare la mascherina, ad oggi obbligatoria all’interno delle strutture sanitarie, rispondeva, apostrofando gli stessi, che, essendo terminata la pandemia, non aveva l’obbligo di indossare il suddetto dispositivo. A tal punto, i sanitari si vedevano costretti ad invitare la donna ad allontanarsi dalla zona data la sua inottemperanza alle disposizioni e vista la non urgenza del prelievo da dover effettuare. La 66enne iniziava a dare in escandescenza, insultando il personale sanitario, tanto da indurre questi ultimi richiedere l’intervento della Polizia. Gli Agenti quindi prendevano subito contatti con la donna, la quale diceva di essere stata allontanata bruscamente dai medici e asseriva che gli stessi facevano parte di una “dittatura sanitaria” imposta dal governo e da lei non condivisa. I poliziotti cercavano di spiegare alla donna il motivo del comportamento dei medici, in linea con le normative tutt’ora vigenti, e chiedevano alla stessa di esibire un documento di riconoscimento. La 66enne però si rifiutava, inveendo e apostrofando i poliziotti, e iniziava a prendere per la giacca l’81enne, in quel momento seduto lì accanto, per andar via, non tenendo conto delle difficoltà deambulatorie dell’uomo. A questo punto, gli Agenti, a fronte della condotta aggressiva della donna provavano a calmarla, e nel tentativo di tenerla ferma, un poliziotto veniva ripetutamente morso dalla donna alle dita delle due mani la quale gli procurava diverse ferite lacerocontuse. Solo con l’arrivo di un’altra Voltante, i poliziotti sono riusciti a porre fine al momento d’ira incontrollata della donna, divenuta visibilmente pericolosa per l’incolumità sua e degli altri. Anche in seguito, presso il Pronto Soccorso, dove Agenti e la donna si erano recati per medicare le ferite del poliziotto e assicurare eventuali cure alla signora, quest’ultima si rifiutava più volte di farsi visitare dai medici poiché complici del complotto, a suo dire, organizzato contro di lei. L’agente di polizia veniva pertanto medicato, riscontrando lacerazioni alle dita della mano destra e sinistra, con una prognosi di gg. 7 s.c. Sussistendo la flagranza dei reati di violenza, lesioni, oltraggio, minacce e resistenza a pubblico ufficiale la donna è stata tratta in arresto e posta a disposizione della Procura della Repubblica di Monza.

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Conclusa l’esperienza presso l’Ospedale Fiera Milano del team della ASST Monza

Ieri, venerdì 28 maggio, si è conclusa l’esperienza presso l’Ospedale Fiera Milano del team della ASST Monza. Il Modulo N (questo il nome operativo del modulo da 14 posti letto gestito da ASST Monza in Fiera Milano) è stato, fra tutti, quello che meglio ha rappresentato l’idea di collaborazione interaziendale di istituti sia pubblici che privati. Guidati dalla dott.ssa Egle Rondelli (Responsabile Medico) e della dott.ssa Simona Vimercati (Coordinatore Infermieristico) si sono infatti alternati medici anestesisti ed Infermieri di Area Critica provenienti da Ospedale San Gerardo di Monza, Ospedale di Desio, Ospedale di Vimercate, Policlinico San Matteo Pavia, ICS Maugeri, Clinica Città Studi e Casa di Cura Villa Igea. Insieme, nel periodo compreso tra il 2 novembre 2020 ed il 28 maggio 2021, hanno trattato 92 pazienti molto gravi, tutti intubati e ventilati provenienti da tutta la Lombardia. La mortalità rilevata è stata del 20%, un numero straordinariamente basso comunque lo si consideri. Solo 3 pazienti hanno richiesto il ricovero in un ECMO Center, tutti gli altri sono stati gestiti all’interno dell’Ospedale in Fiera che ha dunque mostrato le caratteristiche di un vero Ospedale di I livello. “Hanno dovuto affrontare – spiega il prof. Giuseppe Foti, Direttore del Dipartimento di Emergenza Urgenza della ASST Monza – oltre alla pandemia Covid anche l’epidemia di germi aggressivi resistenti a tutti gli antibiotici e questo ha comportato la necessità di aggiungere isolamento all’isolamento, ridurre la capacità ricettiva ed affrontare infezioni difficilmente governabili. Nonostante ciò l’esito clinico è stato straordinariamente positivo. Non tutto il personale aveva la stessa esperienza nel gestire pazienti così complessi ma lo straordinario entusiasmo, la cooperazione fra pari, lo spirito di squadra e lo scambio di esperienze diverse immediatamente applicate nel contesto operativo hanno fatto la differenza. Un grande grazie a tutti loro”. “La struttura della Fiera – sottolinea il Direttore Generale della ASST Monza Mario Alparone – ha rappresentato un aiuto fondamentale per il sistema sanitario Lombardo. Senza il supporto aggiuntivo del modulo da 14 posti letto in fiera, l’occupazione nei nostri ospedali avrebbe raggiunto livelli non sostenibili: 43 il picco di posti letto per malati di terapia intensiva in un solo giorno raggiunto durante la seconda ondata e 37 quello durante la terza ondata che si aggiungono a quello di 71 pazienti della prima ondata al San Gerardo. Un plauso quindi alla iniziativa dell’Ospedale in Fiera e ha chi ha saputo gestire così bene ambedue i fronti su cui siamo stati impegnati”.

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Sette anni di feriti libici negli ospedali italiani

Sette anni di feriti libici negli ospedali italiani. Oggi se ne torna a parlare per l’accoltellamento tra alcuni di loro, ma è almeno dal 2013 che l’Italia accoglie nei propri ospedali i feriti della guerra libica. Un business basato sul gran numero di feriti e su un ricco fondo stanziato allora da ciò che rimaneva dello Stato libico proprio a questo scopo: la Libia pagava e gli ospedali italiani curavano raccogliendo risorse fresche sempre utili visti i tempi di crisi economica. E si parlava i soldi veri: la media nei primi anni dell’accordo variava dai dieci ai ventimila euro a seconda della gravità delle ferite. Non sappiamo di preciso quanti siano stati accolti nelle strutture italiane, ma di certo è che la Grecia (i greci erano l’altro Stato che si era buttato a pesce sull’affare)  nel 2013 ne aveva già accolti 1500. Essendo l’Italia più grande è facile che si parli di cifre più consistenti. Però, in modo tipicamente italiano, sulla questione vige il massimo riserbo e dunque si moltiplicano gli interrogativi sul tema. Anche un consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, Marco Fumagalli, ha provato a chiedere le cifre esatte attuali, ma gli è stato risposto che c’è un tema di privacy. Eppure i dubbi di Fumagalli restano: quanti sono i feriti libici? Chi ha controllato, se controllo c’è stato su chi fossero? Non è che l’Italia ha ospitato qualche criminale di guerra senza dire niente a nessuno? O qualche macellaio che però al momento è alleato nel braccio di ferro col burattino Haftar? I dubbi si moltiplicano in epoca di “prima gli italiani”: non risulta da nessuna statistica che gli ospedali italiani abbiano una sovrabbondanza di letti o spazi per i pazienti, eppure si trova spazio per i militari di altre nazioni? Salvini, Meloni, ma anche tutti gli altri si sono interessati della questione? Perché ancora prima dei porti chiusi o aperti per gli italiani è prioritario potersi curare. Sé e i propri cari. Quindi se i posti mancano per un buon motivo possono stringere i denti, ma se c’è carenza perché si fanno affari con Stati in guerra forse è il caso di informarne i cittadini. Questo business potrebbe anche essere uno dei motivi per i quali lo Stato italiano mantiene alcuni rapporti privilegiati in Libia, ma anche in questo caso non è più il caso di nasconderlo. Sembra dunque arrivato il momento in cui un faro si deve accendere su tutta la faccenda, affinché non resti nessuna ombra su questi sette anni di feriti libici negli ospedali italiani. Partecipa al sondaggio Per quale partito voterai alle elezioni amministrative di Milano  VOTA

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