A Roma gli alberi cadono. Silenziosi, malati, piegati dal tempo e dall’incuria. Ma cadono anche sotto i colpi dell’indifferenza politica, della burocrazia che paralizza, delle emergenze ignorate troppo a lungo. È il caso dell’Infernetto, quartiere tra i più verdi della Capitale, dove la presenza di pini secolari è stata per decenni il tratto distintivo del paesaggio. Oggi, però, questo patrimonio arboreo è seriamente compromesso, e la risposta delle istituzioni è, nella migliore delle ipotesi, tardiva. Da anni i pini domestici di Roma sono vittime di un parassita invasivo, la cocciniglia tartaruga, un insetto originario del Nord America che ha trovato nei nostri pini un ospite perfetto. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: alberi disseccati, tronchi ricoperti da melata nera, chiome spoglie e instabili. In molti casi si è già proceduto con l’abbattimento, per evitare crolli pericolosi. Il problema è che a questi abbattimenti non fa seguito un piano di sostituzione sistemico e coerente. Si taglia, ma non si pianta. E quando si pianta, spesso lo si fa senza una visione di lungo periodo. Il leccio come alternativa: una scelta tecnica e sostenibile. Una delle specie arboree più indicate per sostituire i pini è il leccio (Quercus ilex). Sempreverde, resistente, adatto ai suoli poveri e al clima mediterraneo, il leccio è meno vulnerabile ai parassiti e richiede minori costi di manutenzione. È una specie autoctona, che ben si integra nel contesto ambientale romano, e che rappresenta una valida alternativa anche dal punto di vista paesaggistico. In questo senso, la proposta avanzata da cittadini dell’Infernetto di sostituire i pini malati con lecci rientra in una visione responsabile e lungimirante della gestione del verde urbano. Una proposta che però, ad oggi, non ha ricevuto un’adeguata attenzione da parte dell’amministrazione comunale. La responsabilità della manutenzione del verde è condivisa tra più livelli istituzionali: il Comune di Roma, i Municipi, la Regione Lazio, peraltro, è proprio questa frammentazione di competenze che spesso diventa alibi per l’inazione. Il Sindaco Roberto Gualtieri, nonostante le dichiarazioni d’intenti e i piani annunciati, non ha ancora definito un programma chiaro e trasparente di riqualificazione arborea. Le richieste protocollate dai cittadini rimangono senza risposta. Allo stesso modo, l’assessore regionale di Forza Italia Luisa Regimenti, attraverso il suo capo segreteria Francesco Bucci, ha ricevuto sollecitazioni e istanze da parte del territorio, ma non si è ancora tradotto nulla in un impegno operativo concreto. Nel frattempo, l’Infernetto perde i suoi alberi. E con essi, perde qualità della vita, protezione dal caldo estremo e valore ambientale. E, mentre, si continua a discutere su tavoli tecnici, la cocciniglia continua a fare il suo lavoro distruttivo, indisturbata. La gestione del verde urbano non è solo una questione estetica o ecologica: è anche, e soprattutto, una questione di sicurezza pubblica. Troppe volte a Roma gli alberi crollano su automobili, marciapiedi, scuole e troppo spesso si interviene solo dopo l’ennesima tragedia, dopo il “morto”, come amaramente ricordano i cittadini. L’emergenza climatica, con eventi estremi sempre più frequenti, rende ancora più urgente una politica del verde efficace. Gli alberi non sono un ornamento, ma un’infrastruttura verde essenziale per il benessere urbano. Ignorarlo oggi significa pagare domani costi ambientali, sanitari e sociali molto più alti. È una sfida da cogliere e non da rinviare. Roma ha bisogno di una visione strategica del verde, che sappia guardare oltre alla gestione dell’emergenza. La sostituzione dei pini malati dell’Infernetto con i lecci non è solo una proposta tecnica: è un segnale di attenzione e cura per i quartieri, un esempio di una partecipazione civica da valorizzare, e non da ignorare. Se le istituzioni continuassero a “battere la fiacca”, come lamentano i residenti, il rischio è che Roma diventi una città sempre più calda, grigia e insicura. E questo, nella città che vanta il maggior numero di alberi in Europa, sarebbe un paradosso imperdonabile.
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