Gabriele Volpi

Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/6: Il report su Volpi, Carrai, Berlusconi ed Esposito

Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/6: Il report su Volpi Carrai e altri. Abbiamo visto negli articoli precedenti come attraverso una serie di mail anonime si siano creati i primi passi per cercare di costruire una rete di fake news intorno al management di Eni spa. Specialmente riguardo agli affari nigeriani della compagnia. Perché l’obbiettivo del gruppo all’opera per costruire la rete di informazioni false è entrare nei ricchi affari che si realizzano nel continente nero. Lì valgono molto meno alcune regole a cui bisogna sottostare in Europa. Dopo aver aperto la campagna con le mail anonime, il gruppo decide di iniziare a metterci la faccia andando dai pubblici ministeri a raccontare alcune storie. La prima che abbiamo visto è del 2015 e racconta di un presunto rapimento in via Watt a Milano. Per seguire lo stesso filone del racconto Alessandro Ferraro, avvocato campano trasferitosi a Milano, sembra decidere di proseguire sulla stessa strada. E dai pm a raccontare che anche intorno alla sua casa di Siracusa ci sarebbero movimenti sospetti: “Da diversi giorni appena torno a Siracusa trovo persone piazzate sotto casa mia che pare controllino i miei movimenti” dichiara. Il racconto segue sempre il filone della spy story già iniziato con le mail infarcite di miniere d’oro, segreti industriali, spie nigeriane e italiane, con il contorno di amanti spregiudicate. Ma siamo a settembre 2015 e Ferraro e un suo socio decidono di metterci il carico da novanta depositando anche un report dettagliato (alcune parti le trovate nelle immagini di questo articolo). Massimo Gaboardi, il socio di Ferraro, fa la sua entrata  in scena in modo deciso: il report infatti parla di chiunque, ma parte subito svelando la sua fonte. Si tratterebbe di Pietro Varone “grande accusatore nel processo per corruzione internazionale intentato contro il dott. Paolo Scaroni, Eni spa, Saipem spa e altri dirigenti (che in più occasioni mi ha manifestato la sua volontà di ritrattare le accuse contro il sig. Paolo Scaroni perché, a suo dire, inventate per compiacere l’organo inquirente “.  Niente meno. Quindi le informazioni riservatissime di cui sarebbe in possesso arrivano da un ex manager che avrebbe accusato di corruzione il suo capo perché lo volevano i magistrati. Ecco perché Gaboardi chiede “a tutela della mia incolumità personale” che le informazioni vengano trasmesse ai “vertici dello Stato”. E poi via, si ricomincia: il primo nome dopo Varone è Gabriele Volpi. Il ricchissimo imprenditore che secondo le ricostruzioni viste fin qui sarebbe al centro di trame di ogni genere. Infatti nel report viene citato come colui che mette in contatto Varone con membri corrotti dei servizi segreti nigeriani, tali Pesal e Abuchta Sani. Personaggi che avrebbe visto tra Barletta e Siracusa. Insieme avrebbero orchestrato una manovra per far nominare Umberto Vergine ad di Eni spa. Con il supporto di tal Raduan Khawthani che nel giro di due righe diventa rappresentante di imprenditori iraniani e poi siriani (immagine 2). Ma non solo: il soggetto sarebbe in buoni rapporti ambienti americani e in particolare “con la Fondazione Clinton”. Un riferimento alla Clinton non poteva mancare, perché in quel periodo si profila a livello internazionale lo scontro Clinton-Trump. Mente a livello italiano l’uomo potente del momento è Matteo Renzi, ecco dunque che questo iriano-siriano-americano parla di Carrai e Bacci. Il primo (“che è entrato in contatto con Gabriele Volpi”) come si sa è un imprenditore vicinissimo a Renzi e per questo Khawthani lo avrebbe avvicinato, così come successo con l’imprenditore Andrea Bacci ex socio di Tiziano Renzi (e per altro finito nei guai con una condanna a due anni nel 2019 per un impiccio economico sulla sua srl).  Stranamente tutto questo potere internazionale non serve a un tubo e Vergine non diventa ad di Eni. Allora secondo il report i servizi nigeriani decidono di bombardare di mail zeppe di informazioni sensibili i vertici di Eni e non solo. Lo scopo sarebbe sempre quello di destabilizzare i vertici della multinazionale grazie ai consiglieri Zingales e Litvak (parte del complotto secondo il report). E Gaboardi dice di crederci a tutta questa ricostruzione perché successivamente aveva saputo della campagna stampa contro De Scalzi e già in altre occasioni la fonte si era rivelata attendibile come nel caso della “preannunciata condanna del dott. Silvio Berlusconi poi a me confermata dallo stesso giudice Esposito che nel corso di occasioni conviviali in momenti di sua perdita di controllo mi ha personalmente manifestato il suo pregiudizio nei confronti dell’ex presidente del Consiglio”. Quindi a leggere il report con attenzione Gaboardi sostiene che Varone e la sua rete di spie nigeriane e affaristi siro-iranian-americane avrebbero anticipato anche la condanna di Berlusconi nel 2013 da cui scaturì una lunga querelle legale ancora in corso. Già così, un investigatore normale dovrebbe chiedersi perché questa presunta organizzazione avrebbe dovuto interessare uno sconosciuto manager delle future decisioni di un giudice. Ma col senno di poi…sicuramente dopo aver letto questo documento è più chiaro perché le denunce e i report arrivano dopo le email diffamatorie. Perché nell’ottica  di una rete di fake news, una balla rafforza l’altra di fronte a chi deve prendere atto di che succede. Perché di fronte a un investigatore scarso, come l’internauta medio, una denuncia così aveva un fondamento. Ed era piena di richiami alla verità come la potenza di Renzi e i suoi legami con Carrai. L’estremo attivismo della Fondazione Clinton o l’effettiva presenza di Zingales e Litvak nel cda di Eni. Perché per costruire una rete di bugie, come abbiamo visto, serve creare un filo conduttore di fiducia. Qualche imprecisione, interpretazione, ci può stare, se poi il filo regge dall’inizio alla fine. Quindi l’articolazione dell’operazione è essenziale. E ci vogliono “menti fine” per metterla in piedi. Anche se qui pare di avere a che fare più con affaristi arraffoni che geni della truffa. Sicuramente gente  con un grosso pelo sullo stomaco, perché anche in Italia raccontare balle ai magistrati non è cosa da poco. Comunque sia, ora abbiamo chiaro come è iniziata la tessitura: mail con dentro

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Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/4

Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/4. Come abbiamo visto nelle puntate precedenti, ci sono stati diversi tentativi da parte di un ignoto, di usare mail con il nome di Roberto Scaroni per veicolare presunte informazioni scottanti sulla dirigenza Eni. Negli indirizzi a cui sono state girate queste informazioni abbiamo trovato giornalisti importanti, come magistrati e senatori. Un evidente tentativo di colpire più bersagli contemporaneamente contando sull’interesse di almeno uno di loro a parlare pubblicamente di queste “informazioni confidenziali”. L’ultimo tentativo del luglio del 2014 è ancora più sfacciato, o grossolano: la mail diventa scritta in prima persona da un protagonista di questi racconti: Roberto Casula. La mail utilizzata infatti è roberto.casula@gmx.com  come potete vedere dall’immagine all’inizio dell’articolo. La tiritera è sempre la stessa: Casula sarebbe insieme a Gabriele Volpi, ricchissimo magnate italiano trapiantato in Africa e oggi proprietario dello Spezia, al centro di una serie di losche trame per guadagnare posizioni di potere e denaro a più non posso. Insieme con la moglie, ex proprietaria della discoteca punta nera di Punta Ala a quanto si capisce dal testo della missiva. Nel mirino avrebbe avuto tante persone tra cui Descalzi, Antonio Vella, Rita Marino. A questo punto ecco che qualcuno deve aver consigliato a Casula di controllare la propria casella mail perché lui si accorge di aver avuto una traccia dell’apertura dell’account su gmx.com: una mail infatti lo avvertiva dell’attivazione del prodotto. Perché come spesso  accade,  l’informazione era arrivata ma nessuno se ne era accorto. Ecco perché è sempre saggio dedicare anche solo un paio di minuti ogni due o tre giorni al massimo a dare un occhio alla propria casella mail. Specialmente se è quella di lavoro e soprattutto alla cartella “spam” dove spesso si annidano mail da indirizzi senza i giusti certificati o quelle che vengono scambiate per email commerciali. Perché di sicuro non ci mette al riparo da ogni rischio, ma può aiutarci a non cadere nello stesso problema riscontrato da Casula, con qualcuno che apre un indirizzo a nostro nome e noi manco ce ne accorgiamo. Sarebbe troppo facile dire: “Questo fa pure il dirigente e non è capace a usare la mail”, perché è un errore in cui possono incorrere tutti. E infatti chi si dedica a diffondere fake news sa che per costruire una rete di notizie false la collaborazione della distrazione altrui è un alleato potente. Distraendo le persone si possono raggiungere grandi risultati, come ciascun marketer sa bene. Perché come nel commercio è importante non far pensare il cliente, nella costruzione di fake news è altrettanto importante non far pensare il pesce per farlo abboccare. 

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Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/3

Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/3. Nella scorsa puntata di questo viaggio nelle carte del processo Eni Nigeria, che ha tenuto impegnata buona parte della Procura milanese per anni, abbiamo visto come nelle mail di una presunta fonte si parlasse di miniere d’oro grazie alla quali alcuni gruppi industriali creavano fondi neri per corrompere e guadagnare. Se parliamo di presunta fonte è perché per chi indaga, ci riferiamo soprattutto ai giornalisti, è sempre meglio partire dal presupposto che ti stiano mentendo. Specialmente se non si presentano con nome cognome e carte alla mano. Le email di cui stiamo trattando sono per lo più carta straccia: potrebbero contenere alcuni spunti, è vero, ma sono solo una presunta fonte. Cosa ben diversa da una fonte vera e propria. Anche perché già chi si presenta con le carte in mano non è detto che abbia carte vere. Eppure queste email sono state utili: agli investigatori per ricostruire la vicenda, a noi per distinguere le fonti dalle presunte fonti che spesso sono l’origine delle fake news. Torniamo dunque alle carte: la mail precedente non ha causato grandi sobbalzi all’apparenza, dunque l’anonimo torna alla carica. Se non bastano soldi, sesso e servizi segreti, ci aggiunge la famiglia. Oltre ad altri nomi come Mario Draghi, Gianni Letta, Antonio Catricalà, Romano Prodi, Fabio Ottonello e Gabriele Volpi. Perché ormai si sa che negli anni Duemila le tangenti è sempre più difficile versarle in contanti: l’epoca di Mani Pulite ha lasciato almeno su questo un’eredità positiva, perché non ha eliminato le mazzette e ha colpito molti innocenti, ma almeno ha reso più complesso corrompere qualcuno. La soluzione però è sempre a portata di mano per le menti fini e spesso si è parlato di consulenze e affini. Ecco dunque che il nostro anonimo mette a sistema alcune informazioni di base come la fuga londinese dei figli dei ricchi: negli anni Duemila si era ben lontani dalla Brexit e i figli dei ricchi italiani avevano letteralmente invaso Londra. Anche i poveri ci andavano, ma a fare i camerieri. Così imparavano l’inglese venendo pagati invece che pagando. I figli dei ricchi invece perfezionavano gli studi in Bocconi e poi entravano nelle grandi aziende. Ecco dunque che il nostro anonimo, che nel frattempo ha cambiato nickname (ora è Giuseppe Recchi), inizia a parlare del fatto che il vero sistema di corruzione si basa sul far assumere i figli nelle grandi aziende con sede a Londra. Anche in questo caso torna il discorso sul verosimile: visto che buona parte dei figli dei ricchi italiani ha studiato economia in Bocconi è abbastanza normale che trovi lavoro a Londra dove ci sono le sedi di moltissime multinazionali. Ma vista con l’occhio del sospetto anche la situazione più lineare pare avere qualcosa di non chiaro. E forse proprio per solleticare il complottismo di ognuno di noi “Recchi” racconta di come questa loggia mafiosa internazionale abbia agganci e potere ovunque, “soprattutto nella Procura di Milano”. Motivo per il quale sono “protetti” da qualunque indagine. E ovviamente non mancano i riferimenti ai contatti nel mondo dei media come Luigi Giubitosi. Ma neanche l’immancabile “guardate la villa di Scaroni a Cortina d’Ampezzo”, una soffiatina sull’invidia sociale. Domani invece vedremo come l’ultimo tentativo su questo canale, sarà fatto con un diverso tipo di mail e di come Roberto Casula si sia accorto che è sempre meglio tenere d’occhio la propria mail…

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