Una durissima lettera e un esposto, scritti su mandato del Direttivo dell’“Associazione Azionisti UBI Banca”, “alla luce delle recenti pubbliche e reiterate dichiarazioni di esponenti apicali del Gruppo UBI nonché a seguito delle allarmanti notizie pubblicate dalla stampa nazionale ed internazionale” , quella inviata dal presidente Giorgio Jannone alla Consob, al Cda di UBI Banca e alla società di revisione incaricata Deloitte & Touche S.p.A. Molti degli argomenti erano già stati affrontati nelle domande poste da Jannone nel corso dell’ultima Assemblea dei Soci , domande a cui non era stata data dagli organi statutari della Banca alcuna risposta esaustiva. Ma se letti ora, quei quesiti rivelano un qualcosa di profetico. Si contestano con vigore i contenuti del “Piano Industriale 2022 aggiornato” di UBI che, secondo Jannone, non ha tenuto in debita considerazione le comuni previsioni prospettiche delle principali istituzioni economiche, nazionali (Banca d’Italia, Istat, Confindustria, etc.) e mondiali (tra le altre, Fondo Monetario Internazionale, Unione Europea, agenzie di rating, etc.).Un Piano Industriale che “è stato costruito su pilastri già altamente discutibili prima, e chiaramente irrealizzabili dopo, gli effetti della “Pandemia Covid 2019”. Appare di conseguenza davvero velleitario il mantenimento degli obbiettivi di stabilità economico-patrimoniale e persino di distribuzione di dividendi paventata al mercato, agli azionisti ed agli stakeholders”. Il tutto in contrasto con le previsioni delle principali agenzie: da Moody’s a Fitch. Nella lettera, di cui ci è pervenuta copia, un durissimo atto di accusa : “Il Piano Industriale presenta risultati universalmente ritenuti eccessivamente ottimistici, tra l’altro nell’ambito di un contesto delicatissimo, in cui gli azionisti sono chiamati a scegliere, anche sulla base delle informazioni da Voi diffuse, se accettare o meno le condizioni poste dall’OPS proposta da Intesa San Paolo”. Nella missiva si chiede poi per quali ragioni tecnico-contabili le riserve di valore, definite dal management di UBI Banca “tesori nascosti”, sono magicamente comparse nell’aggiornamento al Piano Industriale e non nel Piano Industriale originario o nelle poste dei bilanci di esercizio precedentemente approvati. E ancora se è corretto dichiarare pubblicamente agli azionisti che è in itinere una proposta di fusione/aggregazione entro fine anno (mancano 5 mesi), quando l’Autorità Garante della Concorrenza del Mercato, nel provvedimento del 16 luglio u.s. con il quale ha autorizzato con condizioni l’OPS (oggi OPAS) di ISP su UBI, ha rilevato che “Nel corso dell’istruttoria UBI, sostenuta sul punto da Unicredit, ha affermato di essere l’unico possibile soggetto aggregatore di istituti bancari, alternativo ad ISP e Unicredit e, per conseguenza, di essere l’unico operatore in grado di raggiungere dimensioni paragonabili a quelle dei principali player italiani (ISP e Unicredit) e di competere alla pari con loro. … Al riguardo, occorre rilevare come agli atti del fascicolo istruttorio, e in particolare dalla documentazione fornita dalle Parti, non sono emerse evidenze, né certe né univoche, in merito alla reale possibilità di UBI di costituire un terzo polo bancario – diventando il soggetto aggregatore di medie realtà bancarie italiane quali ad es. BPER, MPS, BPM – in quanto gli elementi controfattuali forniti dalle Parti si limitano a mere ipotesi di lavoro relative a fasi molto preliminari di progetti di aggregazione di UBI con altri operatori, non condivise o presentate né a livello di CdA, né di assemblea.” Jannone poi ricorda che : “La sottovalutazione dei rischi da parte della governance di UBI ha portato infatti l’agenzia Fitch a declassare il debito di UBI fino a portarlo sotto la soglia di not investment grade (c.d. junk/spazzatura) proprio a causa della qualità degli attivi di UBI”. La lettera dell’Associazione Azionisti UBI riprende poi un vecchio cavallo di battaglia, il caso ”Ubi Banca International” e “Parvus”. A proposito si legge che “nelle ultime settimane numerosi quotidiani nazionali hanno riferito notizie in merito alla pendenza di indagini penali che coinvolgono Parvus Asset Management Europe Ltd in qualità di azionista di UBI Banca S.p.A. e, più in particolare, a rapporti che sarebbero intercorsi tra Parvus e Ubi Trustee S.A., ancora oggi appartenente al Gruppo UBI (fino al 02 Novembre 2017 Ubi Trustee S.A. era controllata da Ubi International S.A.). Nel corso dell’Assemblea dei Soci di UBI dell’8 Aprile 2020 avevo chiesto espressamente se UBI Banca o le sue controllate intrattenessero rapporti di natura patrimoniale economico finanziari o creditizi di qualsiasi tipologia con il fondo Parvus Asset Management Europe LTD o con il titolare del medesimo fondo, Edoardo Mercadante, che risulta essere referente ufficiale dell’8,6% del capitale di UBI Banca a titolo di gestione non discrezionale. La speranza che venga fatta luce sulle ombre che aleggiano sulla nostra Banca riguarda altresì da anni Ubi International S.A. e Ubi Trustee S.A. , anche in merito ad un presunto coinvolgimentonella cartolarizzazione di crediti collegati indirettamente alle organizzazioni criminali della ‘ndrangheta. A riguardo, tra i moltissimi articoli di stampa, In data 08.07.2020 “Milano Finanza”, riprendendo l’autorevolissimo “Financial Times”, ha pubblicato una inquietante inchiesta dal titolo: “Quei bond in odore di ‘ndrangheta e la strada che porta a Bergamo”“un’operazione complessa di cartolarizzazione con sottostanti fatture emesse in alcuni casi da società in mano alla malavita calabrese è finita nei portafogli di investitori finali, secondo il ft. il veicolo estero che ha effettuato l’operazione è legato a Ubi”. Sul punto siamo in attesa di una nota di chiarimento da parte degli Apicali della Banca del Gruppo UBI interessata dall’inchiesta del Financial Time, rimandando ai nostri precedenti atti inerenti la repentina ed ingiustificata cessione della controllata UBI International SA (cessione immediatamente successiva ai nostri esposti) ed al documentato coinvolgimento di UBI Trustee nello scandalo “Panama Papers” di Panama”. Ma la parte forse più aggressiva della missiva di Jannone la riserva alla netta opposizione della governance di UBI all’OPS di Intesa San Paolo. Si legge : “In merito alle spese sostenute per la campagna pubblicitaria ‘LA FIDUCIA NON SI COMPRA’ stigmatizziamo la scelta del management di destinare ingenti somme di denaro della nostra Banca per opporsi, senza alcuna preventiva autorizzazione dell’Assemblea dei Soci, all’OPS di Intesa Sanpaolo.”. Gli Amministratori pro tempore della Banca hanno il dovere di garantire una sana e prudente gestione e, soprattutto, di astenersi da ogni azione