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Il Professor Manfredi Saginario: il buon samaritano della medicina.

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Se n’è andato in silenzio, come i grandi. Non tanto in silenzio, perchè ancora lo cercano e fanno eco nelle nostre menti. Purtroppo, il Professor Manfredi Saginario, per tutti semplicemente “il Professore”, ci ha lasciati a 94 anni, tre anni fa, nel 2022, dopo una vita spesa nel servizio agli altri, nella medicina, nell’amicizia e, specialmente, nella fede. Peraltro, anche dopo la passione professionale come quella per il Parma, per la psichiatria moderna e per l’animo umano, curava ogni sua sfumatura. Lo saluto con il soprannome che gli fu dato tanto tempo fa da un anziano primario e che ancora oggi commuove per quanto sia vero: “il buon samaritano della medicina“. Un uomo che ha fatto del bene, come scelta quotidiana, con naturalezza e dedizione. Ha vissuto la medicina non come un mestiere, ma come una vocazione ed un destino. Era un medico. Ma era molto di più un neuropsichiatra, un psicoterapeuta, un innovatore, un formatore, un padre, un marito, un amico ed una guida. Una di quelle figure che si incontrano raramente nella vita e che, una volta incontrate, lasciano il segno per sempre. Settant’anni di professione, migliaia di pazienti visitati, ascoltati e sostenuti, anche fuori dall’ambulatorio. Sempre pronto ad una parola, una visita ed una telefonata. La sua porta era davvero sempre aperta. Era pronipote di Francesco Forgione, padre Pio, e con il Santo di Pietrelcina aveva un rapporto speciale. Fu proprio lui a “canalizzarlo” verso la medicina, in uno di quegli episodi che, raccontati, sembrano leggende ed invece sono realtà, profondamente radicate nella vita spirituale e personale del Professore. “Farai del bene con il camice“, gli disse. E così fu. Con quel camice ha camminato per decenni accanto alla sofferenza altrui, spesso come unica speranza, sempre con umiltà e forza. Nel 1951, fresco di laurea, presentò uno studio visionario a un congresso di psichiatria a Bologna e si cimentava nel parlare di psicofarmaci, quando ancora nessuno osava farlo. Lo accolsero con disapprovazione e persino lanci di banane. Ma aveva ragione lui. Fu il quarto al mondo a parlare pubblicamente del potenziale degli psicofarmaci. E da lì cominciò una carriera brillante e instancabile. Aprì reparti, fondò centri specialistici, formò generazioni di medici. Il suo reparto di neurologia a Fidenza (PR) venne classificato tra i migliori d’Italia. Parma era casa sua, e lui era un pezzo di Parma. Tanto da diventare una specie di espressione popolare: “Mandalo da Saginario” dicevano, e si capiva tutto. Era più che un medico, si confermava una certezza. La città lo ha onorato con il Premio Sant’Ilario, la cittadinanza onoraria a Fidenza, riconoscimenti ospedalieri prestigiosi. Ma il premio più bello, diceva, erano le telefonate dei pazienti. Quelle chiamate che non smettevano mai di arrivare, anche durante il lockdown, aveva imparato ad usare le piattaforme online in modo tale da non lasciare soli i suoi assistiti. Il suo primo amore è stata la medicina, ma l’amore più grande è stato Giuliana, la moglie di una vita, compagna per 61 anni. Insieme hanno cresciuto due figli splendidi, Antonio e Maria Grazia, che hanno seguito le sue orme nella cura delle persone. E poi c’erano gli amici, i colleghi, i tantissimi pazienti che oggi piangono non solo un grande medico, ma un uomo buono, presente, ironico, affettuoso, capace di indignarsi e di emozionarsi. Il suo angolo di follia era lo stadio. Ultrà del Tardini, espulso dalla tribuna per aver “urlato troppo”, ma sempre con correttezza. Infatti, raccontava con ironia quel piccolo orgoglio: “Se urlo a casa mia moglie mi dà del matto, se urlo per strada chiamano il 118 e, così, urlo allo Stadio!”. Però incitava i più deboli, non i più forti, perché anche nel calcio cercava di curare e di dare forza a chi ne aveva bisogno. Oggi mi stringo idealmente ai suoi cari, Giuliana, Antonio, Maria Grazia e la nipote Sofia, e a tutte le persone che hanno incrociato il cammino di Manfredi Saginario (anch’io l’ho conosciuto). L’uomo che sapeva fare il medico con la testa e con il cuore. Che credeva nella scienza, ma anche nei miracoli. Che ha dato voce ai pazienti quando nessuno li ascoltava. Che ha avuto il coraggio di innovare e l’umiltà di servire. Mi mancherà, Professore. Ma continuerò a sentirla, ogni volta che un medico visiterà con attenzione, che un paziente verrà ascoltato e che un gesto di gentilezza nascerà spontaneo in un ambulatorio o in una corsia ospedaliera. Perché il bene non muore mai. E Te ne ha seminato tanto.

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