Quanto accaduto a Viterbo, in occasione della solenne celebrazione della Festa di Santa Rosa, il 3 settembre, ieri, è la testimonianza concreta ed eloquente di quanto il nostro sistema di sicurezza sia oggi in grado di rispondere con efficacia ed intelligenza operativa a minacce gravi e potenzialmente destabilizzanti per la sicurezza nazionale. Erano in procinto di commettere, due uomini di origine turca, pesantemente armati e, loro malgrado, già attenzionati dagli apparati di sicurezza, sono stati arrestati grazie ad una brillante operazione condotta dalla DIGOS in collaborazione con le unità operative territoriali, e con il supporto attivo delle due principali agenzie di intelligence italiane l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE) e l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna (AISI). È fondamentale sottolineare come il risultato sia frutto di un lavoro di sinergia finalmente efficace tra intelligence interna ed esterna e, peraltro, hanno operato con coordinamento impeccabile, condividendo informazioni tempestive e agendo con riservatezza, lucidità, e tempismo. Il successo dell’intervento è figlio di un approccio preventivo, ma non reattivo. Si è intervenuti prima che il piano, potenzialmente terroristico, si concretizzasse, scongiurando una possibile tragedia e preservando la sicurezza di migliaia di cittadini presenti all’evento. Non possiamo che esprimere un ringraziamento profondo ed istituzionalmente doveroso a tutto il comparto della sicurezza, in particolare alla DIGOS, alla Polizia di Stato, ai NOCS, alle unità cinofile e ai servizi di sorveglianza territoriale che hanno garantito, nonostante l’altissima tensione, il regolare svolgimento della manifestazione. Presente alla celebrazione anche il Ministro degli Esteri, Vicepresidente del Consiglio e Segretario Nazionale di Forza Italia Antonio Tajani, mentre l’ambasciatore israeliano Jonathan Peled, atteso tra gli ospiti, ha scelto con prudenza di non partecipare, a causa di informazioni di rischio emerse nelle ore precedenti. Questa scelta prudente e il contesto in cui si inserisce, testimoniano quanto simbolicamente rilevante potesse essere l’obiettivo di colpire rappresentanti istituzionali italiani e stranieri, durante una festa popolare religiosa, con conseguenze umane e politiche devastanti. In questo quadro, è lecito parlare di un attentato sventato non solo sul piano operativo, ma anche su quello simbolico. Colpire in una cornice religiosa, di festa, di tradizione condivisa, avrebbe significato attaccare il cuore stesso della coesione civile, la fiducia nelle istituzioni e la libertà di partecipazione pubblica. È un segnale chiaro che il terrorismo, in forme dirette o ibride, è ancora una minaccia concreta per l’Italia, e non solo nei grandi centri urbani o durante eventi internazionali. Il bersaglio può essere ovunque anche in un piccolo comune, durante una processione e in un momento di fede. Questo impone una riflessione collettiva e un rinnovato impegno sulla cultura della sicurezza. Il successo dell’operazione di Viterbo deve ora essere valorizzato come modello operativo con un rapido scambio informativo tra le agenzie, il coordinamento, senza gelosie, istituzionale, la capacità investigativa sul territorio e l’uso integrato delle tecnologie, e degli apparati locali. Ed, peraltro, è anche la dimostrazione che l’Italia, se vuole, può esprimere eccellenze non solo nella reazione a fatti compiuti, ma specialmente nella prevenzione intelligente e strategica. Il lavoro delle intelligence italiana, sia sul fronte interno che su quello estero, merita il massimo rispetto ed apprezzamento da parte delle istituzioni democratiche. Operano nell’ombra, ma sono la prima linea di difesa del nostro Stato di diritto. A loro, alla DIGOS, alle forze speciali e a tutti gli operatori coinvolti, va il mio grazie. Senza di loro, oggi staremmo raccontando un’Italia ferita. Invece, possiamo raccontare un’Italia che ha saputo proteggersi, in silenzio, ma con fermezza.
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