15 Giugno 2021

Trenord, Onlit(Ballotta): il nuovo contratto di servizio parte malissimo

Trenord, Onlit(Ballotta): il nuovo contratto di servizio parte malissimo. Parte con un triplo passo falso il rinnovo decennale (2022-2031) del contratto di servizio tra Trenord e la regione Lombardia. Il primo è il nuovo sistema di indennizzo per i pendolari in caso di disagi: se in un mese il 10 per cento o più dei treni di una linea supera i 15 minuti di ritardo o viene cancellato, i viaggiatori possono chiedere a Trenord il rimborso del 10 per cento dell’abbonamento. L’indennizzo va richiesto con un rapido iter ed è convertibile in vouchcer o in contanti. Sembra essere una buona notizia, ma è solo un modo di mantenere l’andazzo di sempre: anziché prevedere un decennio finalmente nuovo nel quale vincolarsi a mantenere gli orari previsti senza ritardi ed evitando soppressioni, Trenord mette le mani avanti con un nuovo e aggiornato bonus. Segno che la ristrutturazione organizzativa tanto invocata dai pendolari è ancora lontanissima, e l’azienda corre ai ripari per tenere calme le acque ancora prima di rinnovare il contratto di servizio. Su indicazione dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art), nel contratto tra Regione e Trenord saranno inseriti “gli indicatori da monitorare per un processo di miglioramento progressivo, definito in un piano di raggiungimento degli obiettivi”. Art ha individuato 26 indicatori di efficienza operativa, efficienza riguardo a costi e ricavi, produttività ed efficacia: quelli di riferimento saranno comunicati a Regione Lombardia, la quale fisserà l’importo delle penalità da comminare a Trenord. Ed ecco il secondo passo falso: le penalità non sono un meccanismo che incentiva l’efficienza, come si intende far apparire, ma una partita di giro delle risorse pubbliche, poiché la regione Lombardia è al tempo stesso compratrice dei (pessimi) servizi (sborsando mezzo miliardo di euro l’anno) e azionista di Trenord. In contrasto con le linee programmatiche del governo Draghi, che aveva annunciato più concorrenza nei trasporti locali su ferro e su gomma, arriva puntuale – al contrario dei convogli di Trenord – il terzo passo falso: Trenord si vedrebbe infatti riaffidata la gestione dei servizi ancora una volta senza gara: un modo per condannare a nuovi e duraturi disagi i pendolari lombardi.

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La scissione della sciabola di Livorno

La scissione della sciabola di Livorno Il 1921 per come fu veramente 1921, cent’anni fa il Milite ignoto. Cento anni della Moto Guzzi e della istriana Valli. Cent’anni di Fucini morto e di Sciascia vivo. Cent’anni del Gran Premio d’Italia. Cento anni del Vittoriale e dei 6 personaggi in cerca d’autore. Cent’anni del cerotto e di Chanel. Cent’anni del massacro razzista di Tulsa. Ed anche cent’anni fa si scriveva dei secolo precedente come fece Rovani nei suoi Cento anni, storia di un maggiordomo di famiglia milanese, Galantino, tra 1750 e 1850. In quei cento anni precedenti, i bottoni madreperlati gallonati sulla livrea non cambiarono praticamente mai, né al ritorno delle bianche parrucche cotonate dei codini reazionari, né con l’avvento dei ciuffi neri romantici e degli angolati baffi. L’Europa allargata era (quasi) tutto il mondo ma soffriva dell’epilessia della perdita dell’assolutismo, cui non sapeva trovare un sostituto. La tarantola francese – repubbliche, impero, regni, repubblica, impero e repubbliche – ha trovato pace solo nel generale imperatore, autocrate democratico. Ruolo non facile ad osservare il rosso fuoco delle glabre guance schiaffeggiate di Macron. Accartocciata in lotte dinastiche sanguinarie tra i più anticlericali e anticlericali d’Europa, cioè del mondo, la Spagna si è acquietata nell’assolutismo militare dei reggimenti musulmani che imposero la croce. Ancora chiuso in quell’armatura, l’istinto donchisciottesco la guida a scoperchiare tombe ed a dividere l’opera del Cid. Le Germanie, divise, riunite, divise in tantissimi pezzi, riunite, divise e ora demurate più che riunite, vennero unificate dalla terra più lontana, più brumosa, quasi non tedesca. Proprio come l’ultima pedemontana di contadini soldati usi ubbidir al loro Corsaro Nero di Guasgogna (no, di Savoia) riunì i dialettici e litigiosi italiani. Ci riuscì proprio da non italiana. L’Oriente lontano, la barbarie, i nemici della croce e del diritto erano proprio lì, sull’uscio di casa. Un passo fuori Venezia e ribolliva tutta la schiuma del Sultano erede del bizantino (e tuttora la bellezza di San Marco sta in quella schiuma depredata). Due passi fuori Vienna ed ecco il deserto dei tartari, l’attesa dei mongoli, delle Russie, del Gobi, delle Persie, intrecciate con le fantasticherie cinesi. Pechinesi sembravano i polacchi dalle lunghe scimitarre. Solo l’impalatore mostruoso Drakul poteva fermare l’Ottomano. Eppure tutti i popoli di quelle terre balcaniche, caucasiche, carpatiche, curlande erano e sono Europa. L’assolutismo li manteneva nella favola, nel mito e nell’incubo ed insieme li voleva gestire nella legge e nei comuni reggimenti dei baffi unti di sugo. La fine delle teste coronate aprì il vaso di Pandora e mille tesi, filosofie, credi si riproposero come nuove guerre di religione, vecchie jacqueries sociali. Gli intellettuali che si erano sforzati durante l’assolutismo di dare un senso religioso allo Stato laico, che avevano dimostrato che Dio esisteva razionalmente e che il mondo non poteva essere migliore, possibilmente, si dedicarono alla ricerca della gioia triste dell’inutilità della vita. In un caso era disdicevole quella altrui, nell’altro la propria. Certo, si sarebbe potuto buttare via tutta la storia precedente e fare a chi spara più veloce; oppure fa più danaro, oppure è formidabile a bracciodiferro. Con la clausola di azzerare la memoria ogni giro. L’Europa, lei, no; non è capace. Malgrado tutto, deve sempre tirarsi dietro una rete pesantissima colma di ori e gusci di noce, che risale agli hittiti ed agli egizi, europei della storia enlarged. Così cent’anni fa c’era il vuoto. Più che esserci qualcosa, c’era la fine del senso delle cose. In una epilettica danza Hitler poteva passare da imbracciare il bracciale rosso della Baviera comunista a quello dei Frei Korps; gli ebrei potevano esporre lapidi sulle scuole israelitiche per i caduti della Grande guerra e marciare con repubblicani per aderire all’associazione combattenti e poi finire nei fasci. Tutti erano convinti che tutti fossero uguali e che solo per caso i boemi combattessero per i tedeschi ed i sudafricani per gli inglesi. Sostenevano che la Bessarabia fosse rumena, no russa. Che le frontiere della Francia fossero quelle della Libertà; che i polacchi, appena usciti dal giogo, volessero Wilno, Mosca e Kiev. Che l’Ungheria, senza sbocco al mare, si sarebbe affidata all’ex Ammiraglio austroungarico, così, per nostalgia. Il turco con un secolo e mezzo di ritardo si era fatto illuminista, beveva, bestemmiava e ammazzava meglio di prima greci ed armeni. Il tempo era (ed è) a multistrato, lo zar lo fucilarono due secoli e mezzo ed un secolo e venti anni in ritardo rispetto ai decapitati Carlo e Luigi. Il processo Kaiser lo processarono perché tutti i popoli avevano gli stessi diritti; o no? Allora, si diceva che il più forte, quello che spara più veloce, avrebbe rimesso i debiti (no, i crediti) e governato per tutti; invece si ritirò perché non era ancora il più forte. Il deserto dei tartari, lungi dall’essere controllato, avanzava fino alle colonne d’Ercole. Tutti ne parlavano con acume e analisi. Il cancro europeo veniva studiato, a sangue freddo, nel vivo del carcinoma tra Repubblica, Monarchia, Direttorio, Ottimato, Signoria, Dominium, Città Stato, Principato Vescovado, Città Libera, Repubblica Sovietica, Repubblica Socialista. Ci voleva un nuovo Dio in terra. In Vaticano dicevano che la stella a cinque punte moscovita fosse Satana. Anch’esso, però di natura divina. E comunque anche gli dei falliscono. Infatti alla ribalta arrivarono i Masanielli, gli accatoni re assoluti, che come cantava Bowie, abbronzati pallidissimi, sapevano suonare la chitarra. Tutto è bene quel che finisce bene. Le Europe (che restano quasi tutto il mondo) sono rimaste epilettiche, ma incapaci di far male a sé e agli altri. Doberman senza unghie, leoni senza zanne, animali anziani che si indignano per la cura della cucciolata, la fornitura dei pannoloni ed il passaggio insolito di cloud. Non era così diverso lo spirito dei rappresentanti di 4367 sezioni socialiste riuniti al congresso del gennaio 1921 a Livorno. Avrebbe dovuto tenersi a Firenze ma i convenuti temevano le bravate della fascista Disperata del nobile spiantato Perrone Compagni. Nella città labronica il prefetto Gasperini garantiva la presenza di 3500 uomini tra soldati, guardie regie, carabinieri ed autoblindati. Il ferroviere Barontini, un altro migliaio della volontaria

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RSA lombarde: 23.600 firme per la petizione promossa da SPI CGIL, FNP CISL e UILP UIL

RSA lombarde: 23.600 firme per la petizione promossa da SPI CGIL, FNP CISL e UILP UIL. Il documento consegnato oggi all’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale. Otto punti per rinnovare le RSA lombarde “perché siano luoghi dove vivere serenamente la vecchiaia”. Sono quelli contenuti nella petizione promossa da SPI CGIL, FNP CISL e UILP UIL e che in due mesi ha raccolto quasi 23.600 firme in tutte le province lombarde. La petizione (con le sottoscrizioni allegate) è stata consegnata questo pomeriggio al Presidente del Consiglio regionale Alessandro Fermi e agli altri componenti dell’Ufficio di Presidenza dai Segretari regionali delle tre sigle sindacali Valerio Zanolla, Emilio Didonè e Serena Bontempelli, accompagnati da Federica Trapletti: i rappresentanti sindacali sono stati accolti a Palazzo Pirelli dal Vice Presidente Carlo Borghetti. Nel dettaglio il documento chiede forme di residenzialità aperta e leggera; integrazione tra RSA e servizi sociosanitari territoriali; adeguamento dei minutaggi assistenziali alla reale complessità di cura degli anziani; trasparenza su dati, esiti di cura e rette; copertura del 50% delle rette da parte del servizio sanitario regionale; rette sostenibili per le famiglie; rafforzamento del personale e percorsi di formazione specifici; visite dei familiari in sicurezza. “In Lombardia -hanno spiegato Zanolla, Didonè e Bontempelli- sono presenti circa 700 RSA che ospitano oltre 65mila anziani: il tema della non autosufficienza sta assumendo sempre più carattere di urgenza e priorità, anche alla luce dell’invecchiamento della popolazione e della maggiore longevità, e in considerazione di un numero di anziani soli in forte aumento. Da qui la nostra richiesta all’Assessorato regionale al Welfare di avviare un tavolo di confronto sui temi e le istanze sollevate”. “Il percorso che abbiamo appena avviato questa settimana con l’inizio delle audizioni per la riforma della legge 23 del 2015 -ha sottolineato il Presidente Alessandro Fermi- rappresenta sicuramente l’occasione e il contesto più adatto per approfondire le proposte e le sollecitazioni contenute nella petizione e che sicuramente meritano attenzione. Migliorare sempre di più le condizioni di cura e assistenza ai nostri anziani rappresenta una delle principali sfide della riforma e sono convinto che sapremo centrare al meglio l’obiettivo”. “Il bisogno di assistenza degli anziani non autosufficienti è in forte evoluzione, così come tutto il mondo RSA -ha aggiunto il Vice Presidente Carlo Borghetti-: trovo davvero interessante la piattaforma di proposte presentata dai sindacati pensionati della Lombardia, che mi sento di condividere e che auspico diventi presto elemento di confronto anche per la nuova riforma sanitaria”. “Oggi a margine dell’Ufficio di Presidenza abbiamo ricevuto la raccolta firme promossa dalle sigle sindacali delle Residenze Sanitarie Assistenziali che ci hanno fornito molti spunti di riflessione in vista della riforma Regionale dei servizi sociosanitari – ha evidenziato infine la Vice Presidente Francesca Brianza-. L’invecchiamento della popolazione solleva tematiche di primaria importanza. La politica deve saper affrontare queste nuove sfide per assistere al meglio i cittadini in tutte le fasi della vita ed essere sempre più vicina alle esigenze delle famiglie”.

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